venerdì 24 febbraio 2012

"A Europa e Stati Uniti dico che l'Iran non è un problema solo d'Israele"

Non si lascia mai sfuggire una parola di troppo. Puntuali e attente le sue analisi. E’ un diplomatico molto noto quella di Dore Gold. Ha servito Israele, tra l’altro, come consigliere diplomatico del primo ministro Benjamin Netanyahu tra il 1996 e 1997 ed è ancora oggi ricordato come uno dei migliori diplomatici israeliani alle Nazioni Unite.Oggi dirige il Jerusalem Center for Public Affairs, un think tank israeliano. Con lui parliamo d’Iran, di relazioni israelo-statunitensi, di rivolte arabe e di negoziazioni con i palestinesi. “Leggo tante speculazioni sulle relazioni tra Israele e gli Usa che le vorrebbero ai minimi termini. C’è in giro un sacco di gente che parla di cose che non conosce”.Sulla stampa statunitense, perfino su quella italiana, si parla molto delle difficoltà nelle relazioni d’intelligence tra Israele e Stati Uniti. In Italia si è perfino arrivati a sostenere che l’intelligence israeliana abbia immesso informazioni false nei circuiti riservati per testare la velocità con cui tali informazioni arrivavano agli iraniani. E’ plausibile?Non sono un esperto di questo genere di cose. Mi lasci dire però che leggo e sento tante, forse troppe, speculazioni sulla realtà delle cose. Le relazioni di cooperazione militare e d’intelligence tra gli Stati Uniti e Israele sono estremamente forti e non credo ci sia qualcuno che possa negare questo dato di fatto. C’è tanta gente che parla a sproposito e che è out of the loop, fuori dal giro.Secondo lei Israele ha effettivamente le capacità militari – e diplomatiche – per sostenere un attacco contro gli impianti nucleari iraniani in solitaria? Non vorrei fare quelle che in gergo chiamiamo “considerazioni operative". Non servo più lo Stato israeliano ma sono stato formato a non speculare pubblicamente su operazioni militari che possano coinvolgere il mio paese.Parliamo allora solo di Iran. Oggi il ministro delle finanze israeliano Yuval Steinitz ha affermato che gli iraniani stanno investendo molte risorse per lo sviluppo di capacità missilistiche inter-continentali che potrebbero, in un immediato futuro, mettere a repentaglio anche la sicurezza nazionale Usa. Le pare plausibile? Guardi non credo che gli Stati Uniti temano questo genere di minaccia. Comunque è arcinoto che gli iraniani siano già in possesso di missili nordcoreani BM25 con un range di 2.500 - 3.500 km in grado di colpire tutta l’Europa continentale, finanche l’Inghilterra. Il problema si porrà secondo me quando riusciranno a sviluppare la tecnologia per mandare in orbita i satelliti. Quando ciò accadrà, allora saranno capaci di lanciare missili nello spazio. Questo è lo scenario da scongiurare. Comunque sia chiaro a Europa e Stati Uniti: l'Iran non è solo un problema d'Israele.Lei ha affermato che la cooperazione militare e diplomatica statunitense resta comunque molto forte. Eppure le relazioni politiche tra Obama e Netanyahu sembrano della relazioni difficili. Cosa divide maggiormente i due governi?Ciò che divide maggiormente le due amministrazioni principalmente è la postura da assumere rispetto all’Iran. Il presidente Obama ha sin dall’inizio della propria presidenza ritenuto di poter gestire il dossier iraniano con le negoziazioni. E’ chiaro che negoziare con l’Iran non ha senso. Sono convinto comunque che sempre di più a Washington si prenda coscienza che i margini di negoziazione con gli iraniani sono sempre più esigui, questo perché gli iraniani non sono affatto disponibili a rispettare le Nazioni Unite e gli obblighi che la politica onusiana Usa ha sinora loro imposto.Parliamo di Siria. Siamo ormai alla guerra civile. Israele sembra aver assunto una posizione non interventista nella politica interna siriana, di fronte all’uccisione di civili e oppositori armati anti-Assad. E’ la scelta giusta? Assolutamente. La politica d’Israele è votata alla non ingerenza. Se Israele prendesse le parti dell’opposizione siriana, si tratterebbe senza dubbio del più grande regalo che potrebbe fare al regime di Assad. E’ una politica intelligente quella dell’attuale governo di stare a distanza dai movimenti d’opposizione siriani e fa bene a richiedere che la Lega Araba e il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite assumano delle azioni per impedire le brutali uccisioni di civili in corso in Siria. Ogni giorno in Israele vediamo in televisione una marea di video che mostrano le morti di civili siriani. Un tempo nemici, gli israeliani iniziano ora a entrare in una forma di empatia con le sofferenze dei siriani.Lo scorso Dicembre un articolo a sua firma è apparso sul JPOST, nel quale sosteneva che gli islamisti che sarebbero emersi nei paesi attraversati dalle rivolte, avrebbero prima o poi richiesto cooperazione all’Occidente. Secondo lei si può davvero “cooperare” con i governi islamisti? Quando scrissi quell’articolo, mi riferivo principalmente all’Egitto. La sua economia è in una situazione drammatica. Hanno bisogno di investimenti esteri, di commercio internazionale, di turismo. Per far ciò hanno bisogno di cooperare. Allo stesso tempo però è necessario conoscere l’orientamento ideologico degli islamisti della Fratellanza musulmana. Non scordiamo che il fondatore della FM, Hasan Al-Banna, negli anni ’30 del secolo scorso, e che la Fratellanza musulmana avrebbe dovuto contribuire alla conquista di tutti le terre sotto la bandiera dell’Islam, che l’Andalusia della Spagna deve tornare islamica, così come la Sicilia, il Sud dell’Italia, così come il resto dell’Europa. Ora è evidente che se queste cose sono ancora tradotte in inglese e sono tutt’ora la base filosofico - politica dell’islam politico della Fratellanza è chiaro che non può esserci molto spazio di manovra.La regione mediorientale è molto cambiata nell’ultimo anno. Che cosa sta facendo il governo israeliano per riformulare la propria strategia diplomatica alla luce della rivolte arabe e dell’emergere di una regione sempre più ostile, vedi Turchia, Egitto, Iraq? Non si può rispondere a questa domanda con una risposta secca. Sin dalla sua fondazione, Israele ha vissuto circondata da paesi ostili. Quello che il governo israeliano ha imparato a fare in questi decenni è convivere con le incognite, mostrandosi flessibile e capace di riadattare continuamente la propria strategia diplomatica e il perseguimento dei propri interessi rispetto ai cambiamenti che di volta in volta si producevano nella regione. Non è possibile prevedere fino in fondo il futuro, si può tentare di essere il più preparati possibile. Chi può dire se a distanza di cinque anni lo stesso Iraq, liberato dagli americani, sarà effettivamente un paese filo-occidentale oppure semplicemente un satellite dell’Iran? Questi sono scenari con i quali Israele si confronta ogni giorno in una strategia improntata alla flessibilità.Un'ultima domanda sul processo di pace. Le negoziazioni sono definitivamente morte oppure c’è spazio per un rilancio di un negoziato? Quel che i governi degli Stati Uniti e d'Europa non vogliono capire è che il conflitto tra palestinesi e israeliani non sarà mai risolto in un ciclo di negoziazioni unico nel quale ci si chiude in una stanza e se ne esce con una soluzione in mano. Di fatto, i punti di frizione sono tali che pensare che la questione dei profughi, di Gerusalemme e dei confini sia risolvibile in una sola volta è impossibile. E’ un processo che prenderà tempo, molto tempo.http://www.loccidentale.it/

Nessun commento: