mercoledì 29 febbraio 2012

Il film perduto di Yehoshua

Yair Moses è un settantenne regista ebreo israeliano, invitato ai giorni d’oggi nel più cattolico dei luoghi, Santiago di Compostela, per assistere a una retrospettiva dei suoi film e ricevere un premio alla carriera. Lì arriva con Ruth, l’attrice che in ciascuno di essi, fino dai primissimi, ha avuto un ruolo. E lì scopre che la bizzarra compagnia che ha organizzato la rassegna, alla locale scuola di cinema che è ospitata nei locali che all’epoca della guerra civile ospitavano la milizia franchista – prete il direttore della scuola, Juan de Viola, monaco suo fratello Manuel che parla l’ebraico e può fare da traduttore – ha scelto le sue pellicole d’esordio. Sono film visionari e surreali, alcuni letteralmente fatti in casa, in cui l’ex professore di liceo ashkenazita Moses aveva lavorato in coppia col suo ex allievo sefardita Toledano, trasformatosi in sceneggiatore. Poi, tra loro due, era scoppiato un distruttivo litigio, legato alla cancellazione di una scena dall’ultimo dei film fatti insieme, ritenuta fondamentale da Toledano e invece impraticabile dal regista, che l’aveva considerata troppo pesante per la giovane attrice Ruth.Quaranta-cinquant’anni dopo Moses è diventato un cineasta caratterizzato, al contrario, da un verismo quasi ossessivo: può servire ai suoi spettatori la preparazione e la degustazione di un pasto in tempo reale, senza tagliare un minuto, come avviene nel suo ultimo omaggiato film, “Patate”. Perciò la retrospettiva è per Moses un viaggio in un passato perduto (e i film, doppiati in spagnolo, gli sono in più in buona parte incomprensibili), tra archetipi remoti: è un tuffo tra le ombre di una caverna platonica.Quale mano si nasconde dietro questo scherzo che all’ebreo e laico Moses viene giocato in una cittadina che si identifica con la propria cattedrale, colma di pellegrini e adorna di confessionali nelle chiese e angeli di pietra nelle strade? Una cittadina il cui hotel Parador si adorna ciclicamente con tele custodite nel magazzino della cattedrale: nella stanza di Moses e Ruth, guarda un po’, ecco una tela di Matthias Meyvogel, con la sua versione della “Caritas romana”, l’episodio dell’allattamento dell’anziano detenuto Cimone da parte della figlia Pero, che ha ispirato coorti di pittori. E proprio questa, nella sua essenza, era l’idea alla base della famosa scena all’epoca eliminata da Moses contro il parere del giovane e suscettibile Toledano. E così, al termine di questa catena di indizi e strane coincidenze, il regista settantenne, ispirato dalla Santiago capoluogo dell’espiazione e del perdono, si trova a cercare di riparare, nel più folle dei modi, a quella colpa degli inizi…“La scena perduta” è un romanzo col quale Abraham B. Yehoshua fa esplicitamente i conti con la propria parabola creativa: perché Moses, pizzetto a parte, gli assomiglia come una goccia d’acqua e perché le sceneggiature di quei primi film proiettati nella scuola di Santiago, coi loro plotoni di soldati addormentati e con un villaggio di frontiera che cerca un inopinato significato del proprio esistere, sono copiate pari pari da alcune delle sue primissime opere, i racconti visionari e profetici pubblicati in raccolte dal 1962 (in particolare, “L’ultimo comandante” e “Il rapido serale di Yatir”). E perché esplicita è l’intenzione, attraverso questo romanzo, di tornare all’iniziale kafkiana e beckettiana ispirazione narrativa. Perciò il passo con cui il romanzo procede è quello del sogno: di assonanza in metafora, di metafora in associazione. E’ l’accettazione di questa plausibilità onirica il biglietto che Abraham B. Yehoshua ci chiede per condurci in un cammino narrativo che, certo, non è più possente come nei romanzi della sua fase meridiana. Però è lesto e ricco di episodi e personaggi, non per forza fosco, anzi carico di un suo amore per il vivere, una sua affettuosità. Tra l’alfa e l’omega di un’esistenza, con quel seno grande e scuro di vecchia contadina cui l’anziano Moses, alla ricerca di un significato ultimo, come un lattante si avvicina…Presenti i topoi di Yehoshua: il ruolo che il sonno svolge in tutte le sue narrazioni, si tratti di sieste rubate come di dormite con la durata e la potenza di una sinfonia, sonni che contribuiscono al clima peculiare, una frontiera tra veglia e sogno, in cui si collocano sempre le vicende che racconta. Così come l’eros colto nella sua dimensione, non appagata, di puro desiderio (qui quello di Moses per Ruth che riesce a sottrarsi però immancabilmente alle sue mire, ma anche per l’ex moglie che Moses va a visitare una volta tornato in Israele). Assente, com’è nelle storie più surreali dello scrittore, il totem della coppia coniugale che, invece, troneggia solido, oggetto di infiniti interrogativi e luogo di infinite peregrinazioni, in tutti i romanzi che Yehoshua definisce “realisti”.Sul fondo un’ultima metafora, grande come un Paese: la Spagna che è riuscita a seppellire la sua guerra civile e che sembra avere da dire molto, oggi, a un ebreo israeliano.http://larecensioneallantica.comunita.unita.it/ LA SCENA PERDUTA Abraham B. Yehoshua Trad. Alessandra Shomroni pp.367, euro 21 Einaudi

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