lunedì 20 febbraio 2012

Israele è veramente uno "Stato di apartheid"?

Spesso, cercando nei motori di ricerca, la parola Israele si trova accompagnata dall'epiteto "apartheid", a causa di una martellante propaganda secondo la quale lo Stato di Gerusalemme praticherebbe discriminazioni su basi razzistiche verso i palestinesi. Ma è veramente così?Il giornalista di Yediot Aharonot David Haivrì analizza la situazione reale ponendosi una serie di domande.Tralasciando la prima che a mio avviso non ha molto senso, poiché il razzismo esiste anche e soprattutto laddove non esistono le razze (tanto più se consideriamo quel che forse disse Einstein e cioè che ne esiste una sola, che è quella umana), propongo qui le altre: 1) La sicurezza di Israele è minacciata dagli arabi sia internamente sia esternamente ai confini? Se è così, Israele ha il diritto di proteggere i propri cittadini? 2) Le popolazioni in tutti gli altri Paesi, comunità quartieri nel resto del mondo godono degli stessi standard di vita, libertà e diritti? 3) Veramente i residenti arabi in Israele vivono così male? La questione del cosiddetto "apartheid palestinese" è stata usata dai demagoghi leader arabi per distrarre l'attenzione mondiale dalla realtà dei loro paesi. Gli abitanti dei Paesi che circondano Israele sono stati indottrinati per decenni a credere che lo Stato di Gerusalemme fosse per loro la minaccia più grande e la fonte di tutte le loro preoccupazioni, mentre in realtà essi sono stati utilizzati e soprattutto oppressi da dittatori come Gheddafi, Assad, Arafat e altri. Nell'ultimo anno i sottomessi ai regimi arabi hanno cominciato a chiedere libertà e i diritti basilari. Alcuni si sono accorti che Israele non era la causa delle loro dure condizioni di vita.In quest'ultimo Paese (Cisgiordania, cioè Giudea e Samaria comprese), i residenti arabi hanno potuto godere della libertà e della sicurezza che molti loro vicini possono soltanto sognare. Certamente il fatto che gli arabi sono stati oppressi, picchiati e linciati da dittatori loro "fratelli" non porta sollievo a chi deve sottoporsi al controllo di sicurezza nei chekpoints. Ma, questi ultimi sono un segno di razzismo o una necessità causata dai terroristi che provenivano dalle zone arabe e che trasportavano bombe e armi di vario genere nelle aree abitate in maggioranza da ebrei? Nella maggior parte degli aeroporti in giro per il mondo ci sono simili posti di controllo. Anche questi sono una forma di razzismo? Oppure sono un'analoga necessaria reazione ad una minaccia conosciuta? Personalmente chiedo: chi se la sentirebbe di salire su un aereo dove nessun passeggero e nessuna valigia sono stati controllati?L'articolo prosegue con un altro esempio molto in voga tra i demonizzatori di Israele, quello della barriera definita da loro il "muro" e facendo il confronto con la maggioranza dei Paesi arabi dove gli ebrei (e spesso anche i cristiani, soprattutto se hanno il timbro israeliano sul loro passaporto) non solo non possono vivere, ma neanche entrare.Un articolo decisamente interessante che pone domande sulle quali varrebbe la pena riflettere..http://fuoridalghetto.blogosfere.it/

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