lunedì 13 febbraio 2012


La diplomazia (poco olimpica) del Villaggio: come in un risiko

Londra assegna gli alloggi con la geopolitica: Iran e Israele agli antipodi, Germania e Grecia divise. Ma lo dice il passato,gli atleti si mescolano
L’uomo con la mappa si chiama Chris Hale, una vita a lavorare per le grandi catene alberghiere e ora si trova improvvisamente a fare il diplomatico. È lui che deve stabilire chi abita dove al villaggio olimpico di Londra, solo che gli tocca rispettare una lunga lista di precise indicazioni e il lavoro è quasi impossibile.Iran e Israele devono stare ai due lati opposti, meglio piazzare la Grecia lontana dalla Turchia per evitare brutti ricordi, ma attenti a tenere i greci anche distanti dalla Germania perché le tensioni causa euro camminano e ad Atene protestano contro il governo tedesco. Separare le due Coree però senza esagerare, quanto basta a evitare coabitazioni forzate evitando di rendere evidente la scelta e sistemare in due posti diversi Cina e Taiwan, anche se i rapporti diplomatici tra i due Paesi migliorano non è il caso di forzare le mano. Ultima avvertenza: mettere km tra la Gran Bretagna e l’Argentina, le Falkland sembravano lontane ma quando il principe William ci è passato per un addestramento si è capito che la faida è ancora viva. La geopolitica del villaggio diventa complicata, si torna indietro, non ci sono le barricate come ai tempi della Guerra Fredda però lo spirito olimpico latita. Le istruzioni per l’uso dicono mescolare con giudizio.Negli ultimi Giochi a Londra, nel 1948, il villaggio non c’era: albergo per gli stranieri, casa per i britannici. I problemi sono iniziati nel 1952, a Helsinki, il mondo è diviso a metà e le Olimpiadi pure. Due villaggi, uno per il blocco sovietico, l’altro per quello occidentale e al diavolo lo sport che supera le barriere. Per rendere più chiaro il confine l’Unione Sovietica pretende che gli atleti stiano vicino a una loro base militare e nessuno può circolare in solitaria, obbligatori i dirigenti al seguito. Nel 1956 si passa al nuovo mondo e Melbourne se ne frega dei rapporti diplomatici. Sette nazioni boicottano, gli altri liberi di circolare con tanto di cerimonia di benvenuto. Un trionfo interraziale, peccato che la Cina non gradisca la promiscuità. Appena vedono la bandiera di Taiwan ritirano la squadra. Ci pensa Roma, nei rivoluzionari Anni Sessanta, ad aprire il Villaggio. Per la prima volta donne e uomini abitano nello stesso posto e tra l’Unione Sovietica e gli Usa c’è solo una recinzione minimal. I capi delegazione protestano però accettano, chiedono agli atleti di non mescolarsi e l’appello crolla al ritmo del rock’n’roll che invade gli spazi comuni. Il modello Roma piace e regge, il Villaggio diventa una festa, le Olimpiadi un’oasi. Nel 1964 fila tutto liscio, nel 1968 la protesta sociale entra nei padiglioni abitati dagli sportivi. Tommie Smith e John Carlos alzano il pugno sul podio e vengono buttati fuori dal Villaggio. Carlos lascia lì il suo guanto nero e nemmeno lui si ricorda più se fu provocazione o fretta. Il mega party iniziato nel 1960 finisce brutalmente 12 anni dopo: 1972, a Monaco i terroristi di Settembre Nero rapiscono e massacrano 11 atleti israeliani, il villaggio viene profanato.Cambia la prospettiva, gli organizzatori se ne infischiano dei rapporti di buon vicinato e progettano quartieri bunker, nel 1976, a Montreal, tirano su due torri gemelle che sembrano alveari, con le finestre piccole e le torrette di controllo e non basta alleggerire con il mini golf e il giardino botanico. Arrivano le edizioni dei boicottaggi in cui la sistemazione alloggi si pianifica da sola. Nel 1980, a Mosca, manca l’Occidente, nel 1984, a Los Angeles, manca l’Est. I villaggi sono piccoli e c’è poco da unire. Nel 1988, in Corea del sud, iniziano le richieste. Di nuovo tutti presenti ma l’Iran vuole abitare dove «non si vedano neppure le finestre degli Usa». Nel 1992 riaffiora lo spirito dei Sessanta, sì, fioccano diktat in carta bollata e Barcellona ne tiene più o meno conto ma gli atleti si mescolano, si incontrano, vanno in palestra insieme. C’è la mensa enorme, la sala lettura e il parrucchiere dove spettegolare. Avanti così, nonostante la bomba di Atlanta nel 1996, il villaggio resiste alla paura, si scatena a Sydney 2000 e si ingrigisce ad Atene 2004 con i primi segni di un ritorno al passato. Dopo l’11 settembre l’America smette di ricoprire i balconi con le bandiere, la superpotenza si nasconde. Cuba ne approfitta e segna il territorio con un murales di Fidel Castro, la Gran Bretagna si annette l’ingresso con una cabina telefonica. Ognuno riproduce confini in miniatura. Tregua nel 2008 dove vince l’organizzazione militare: a Pechino guardie in marcia per i viali, internet a mezzo servizio. Si controlla quanto si può anche se il Villaggio vive di vita sua, pulsa, si ribella senza dare nell’occhio e sopporta poco le regole. Mr Hale, boss del prossimo college olimpico, dovrà farsene una ragione.http://www3.lastampa.it,GIULIA ZONCA

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