venerdì 3 febbraio 2012

La Malesia “apre” a Israele. Ma i musulmani non ci stanno

KUALA LUMPUR – In Malesia, monarchia costituzionale del Sud-est asiatico, si avvicina il tempo delle elezioni. Il dibattito si scalda, i partiti politici affinano le loro armi. Le posizioni care all’elettorato islamico diventano il pretesto di accese dispute dove i grandi partiti si contendono il ruolo di “guardiano della fede”. Recentemente, un’intervista al Wall Street Journal del leader dell’opposizione, Ibrahim Anwar, ha sollevato numerose critiche a causa di una sua presunta «apertura» verso Israele. Nel Paese asiatico, che non ha mai riconosciuto lo stato ebraico, il sostegno ai palestinesi è una causa ideologica e religiosa dal forte impatto politico.La Malesia, paese di 27 milioni di abitanti, conta al suo interno una maggioranza di musulmani, all’incirca il 60% della popolazione. Mentre la legge garantisce la libertà di culto e tutela le minoranze religiose, la Costituzione sancisce anche l’Islam come religione di stato. I cittadini di etnia malese sono considerati per legge come musulmani e sono costretti, a differenza degli altri gruppi, ad attenersi alle prescrizioni della sharia, la legge islamica, in ambiti come il divorzio, l’eredità, le conversioni religiose, etc. Il consumo di alcool è, ad esempio, illegale per tutti questi malesi.Nel Paese sud asiatico vive da secoli una società multietnica e i musulmani che vivono qui sono tradizionalmente sostenitori di un islam moderato e tollerante. Eppure, da qualche anno sembra che una grande severità religiosa si stia imponendo alla società mentre l’Islam assume un peso politico sempre più considerabile. Uno dei casi che più hanno attirato l’attenzione pubblica è stato, alla fine dell’estate del 2009, quello di una donna malese «beccata» a bere una birra nel bar di un hotel.Kartika Sari Dewi Shukarno, di 32 anni, madre di due figli, diventò per qualche mese la prima persona nel paese ad essere condannata alla flagellazione, una forma di punizione prevista dal credo musulmano, e nella fattispecie a sei colpi di canna di bambù. Dopo diversi mesi di incertezza, dopo che i media e le organizzazioni internazionali avevano attirato l’attenzione sul caso di Kartika, la sentenza non venne applicata e venne tramutata in tre settimane di servizi sociali. Ma il posto di Kartika – il poco ambito primato di prima donna malese ad essere frustata in ottemperanza al codice islamico – fu preso, nel febbraio del 2010, da tre donne condannate a sei colpi di bastone per aver commesso adulterio.http://www.blitzquotidiano.it/

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