giovedì 16 febbraio 2012


Le ragioni dei pessimisti

Del libro di Alberto Mayer, Mabruk! Storie di vita e di morte dei kamikaze palestinesi (Aliberti Castelvecchi 2010), e del dibattito ad esso dedicato giovedì scorso, 9 febbraio, presso il Museo Ebraico di Roma, si è già parlato, sulla Newsletter di venerdì. Alle considerazioni svolte nel corso della tavola rotonda, e riportate nella suddetta cronaca, mi sento di dovere aggiungere soltanto una sensazione e una considerazione di fondo, suscitate dalla lettura del volume, appartenenti, la prima, al terreno delle emozioni, la seconda a quello della razionalità.La sensazione emotiva che il libro suscita nel lettore, purtroppo, è quella di una profonda angoscia. La descrizione analitica del macabro rituale di morte che porta tanti giovani, tante madri, tanti padri, tanti mariti a preparare con meticolosa cura il martirio proprio o dei propri congiunti, ad accettare con serafica indifferenza o con apparente entusiasmo l’idea della morte propria o dei propri parenti, desiderata e procurata per poter così massacrare il numero più alto possibile di ‘nemici’ (quasi sempre civili inermi, vecchi, donne e bambini, colpevoli solo di essere ebrei), non può non gettare nel più profondo sconforto. L’immenso dolore per le vittime si intreccia a una somma di sentimenti, difficilmente decifrabili, rivolti ai responsabili: ripugnanza, orrore, pena, disgusto, incredulità… Che si può provare nei confronti di una bambina destinata, fin dalla nascita, a morire, per dare la morte ad altri? Che si può pensare dei suoi genitori e parenti, della società che le è intorno, che approva questo percorso, ne è orgogliosa o, quanto meno, non proferisce neanche mezza parola di rifiuto, di dissenso, di perplessità?“Lo shahid – nota Mayer – è… un soggetto normotipo”, le sue azioni non sono collegabili ad alcun tipo di patologia psichica, di percepibile alterazione comportamentale: “l’attentato suicida è il punto di arrivo di un percorso estremamente razionale e articolato, all’interno del quale eventuali patologie paranoidi, psicotiche o narcisistiche non sono rilevanti”. Il gesto della cd. shahada, atto a mietere vite umane, a dilaniare decine di corpi, è preparato, accettato da famiglie normali, dove si va a scuola, si parla di calcio, si fanno i conti per la spesa, si guarda la televisione. Un’assoluta “banalità del male”, che lascia attoniti, ammutoliti, convinti unicamente della totale inadeguatezza delle proprie categorie culturali di fronte a un fenomeno che pare appartenere a una logica assolutamente ‘altra’, oscura, impenetrabile, eppure così terribilmente consequenziale, e funzionante.La considerazione razionale è l’amara, amarissima constatazione della completa inconsistenza, in siffatto scenario, di qualsiasi prospettiva di soluzione politica del conflitto mediorientale, per il semplice motivo che la radice, la natura di esso non appare, in alcun modo, di tipo politico. Ė vero, come si dice, che qualsiasi contrasto può trovare soluzione, che anche guerre secolari hanno avuto un termine, ma ciò può avvenire, è avvenuto soltanto quando, da una parte e dall’altra, a un certo momento l’ottenebramento ideologico, il furore distruttivo ha ceduto il passo al paziente linguaggio del dialogo, del compromesso, della mediazione: quando al brutale istinto di morte, con la sua cruda semplificazione, si è sostituito l’umile desiderio di normalità, una minima capacità di ascolto, di accettazione, di ripiegamento. L’umiltà, la pazienza della politica, la fiducia nella forza mite, incruenta della parola, della persuasione. Ma quale politica, quale razionalità si può scorgere in genitori che allevano i loro figli per vederli morire, rivolgendo loro le proprie felicitazioni (“mabruk!”, “auguri!”) per l’annunciato “lieto evento”? I kamikaze, è vero, non rappresentano l’intera società palestinese. Ma è altrettanto vero, ripetiamo, che le voci di condanna del fenomeno sono pressoché inesistenti. Tutti i terroristi liberati nello scambio con Gilad Shalit – alcuni dei quali organizzatori di veri e propri eccidi - hanno ricevuto consistenti premi economici non solo da Hamas, ma anche dall’Autorità Palestinese, e ad alcuni di loro lo stesso Presidente, il “moderato” Abu Mazen, ha voluto personalmente porgere il proprio saluto e apprezzamento.Se le variegate opinioni sui possibili sviluppi del conflitto mediorientale di dividono, fondamentalmente, nei due grandi partiti dei pessimisti e degli ottimisti (o, per lo meno, dei possibilisti), non c’è dubbio sul fatto che il libro di Mayer offra molti argomenti, tanto tristi quanto veri, a uno solo dei due, e nessuno, proprio nessuno, all’altro.Francesco Lucrezi, storico, http://www.moked.it

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