mercoledì 1 febbraio 2012


Naufragi, parole

Come commentare la prima pagina de «Il Giornale» di venerdì, col pezzo a firma del direttore «A noi Schettino a voi Auschwitz»? Affermando che si tratta di un titolo scandaloso, tanto più scandaloso nel Giorno della Memoria, aggressivo in modo sconcertante nei confronti dei tedeschi? I quali tedeschi – obietterebbe qualcuno – dovrebbero stigmatizzare una rubrica molto antipatica di di «Der Spiegel», dove gli italiani venivano tutti assimilati al comandante della Concordia. Potrebbe bastare questo.Oppure possiamo ragionare schiettamente sull’inflazione che il linguaggio della Shoah ha subito negli ultimi anni: i Centri di identificazione ed espulsione (CIE) definiti «lager», la stella gialla sul bavero di Marco Pannella in campagna elettorale, l’attuale presidente dell’europarlamento appellato «kapo» in una sessione divenuta celebre su youtube. La lingua, non solo il lessico della Shoah, è una spia importante della scarsa qualità della nostra democrazia; basti pensare a Silvio Berlusconi, che alcuni mesi fa parlava tranquillamente di «dittatura dei giudici» e di «zingaropoli islamica» (intendendo con ciò la Milano di Pisapia), o la terribile abitudine a trasformare fenomeni ritenuti problematici in masse tumorali: i magistrati o la corruzione «cancri della democrazia», Ilda Boccassini addirittura «metastasi della democrazia».
Ora, questo scadimento è dovuto a vari fattori, fra cui certamente l’uso distorto dei new media. Ma ci illudiamo pensando che la Shoah possa salvarsi da questo gorgo. O saremo capaci di gestirne e dosarne la memoria in modo saggio, evitando la moltiplicazione degli eventi e l’abbassamento della qualità, oppure nessuno potrà impedire che termini come «Shoah» e «Memoria» si trasformino in vocaboli di uso comune, disponibili quando, per vis polemica, serve un’immagine forte. Possiamo ripetere e spiegare all’infinito l’unicità della Shoah: il cervello umano pensa parlando, e quando una parola viene sempre in mente, in tutti i contesti, alla borsa della lingua vale già poco.Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

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