Rehovot
Sguardo a Oriente: la bella storia di Michael, da Israele
lunedì 20 febbraio 2012
...............................................In quel periodo venni a sapere dell’esistenza di un laboratorio molto avanzato, ubicato presso il Weizmann Institute of Science di Rehovot, Israele. Si tratta di un piccolo istituto di ricerca, che conta circa un migliaio di studenti (solo Master e Ph.D.), ma che gli americani hanno eletto come il miglior posto dove fare ricerca all’infuori degli Stati Uniti. Tanto per darvi un’idea, il premio Nobel per la chimica 2009, Ada Yonath, lavora al Weizmann. Decisi così di scrivere una email a una docente di questo laboratorio, chiedendo se c’era la possibilità di cominciare un dottorato. Lei mi rispose subito, e concordammo di parlarne di persona durante una sua visita di lavoro a Padova. Mi propose di partecipare a un progetto cominciato da poco, nel quale le mie conoscenze pregresse potevano risultare utili. Inoltre, come disse più volte in seguito, le faceva piacere poter dare una possibilità a uno studente che aveva voglia di mettersi in gioco trasferendosi per quattro anni in un paese molto diverso dall’Italia. Il progetto mi piaceva molto, ma non accettai subito. Ebbi modo di visitare il laboratorio per un paio di settimane prima di prendere una decisione, per poter vedere il modo in cui si faceva ricerca. Ne rimasi impressionato e affascinato, e acettai la proposta.E così, a ottobre del 2009, mi trasferii in Israele. Lo feci nel giorno del mio compleanno, perché volevo che fosse l’alba di una nuova era. E, in effetti, lo fu. All’inizio ambientarsi fu molto difficile, a causa dello stile di vita diverso dal mio, del fatto che le settimane iniziano la domenica e finiscono il sabato, della totale mancanza di punti di riferimento culturali fondamentali per uno che viene dal Friuli, come l’ora dell’aperitivo in piazza, della mancanza di amici e parenti, della mancanza della macchina. Il cibo è diverso, ma buono (riesco a trovare anche prodotti italiani), il clima è diverso, ma decisamente migliore rispetto al nord Italia, e poi c’è la lingua. Ho provato a imparare l’ebraico, ma è una lingua molto difficile e alla quale bisogna dedicare molte ore di studio, che io però non ho perché sono sempre assorbito dal lavoro. Quindi parlo in inglese, ma non è un problema. Qui tutti parlano l’inglese (non come in Italia…), e addirittura al Weizmann Institute è la lingua ufficiale.Ci ho messo quasi due anni ad ambientarmi e crearmi un giro di amicizie. Vivo da solo in un piccolo appartamento a Rehovot, una cittadina tranquilla (pure troppo) di circa centomila abitanti, poco distante da Tel Aviv. Finalmente riesco a mantenermi da solo con la borsa di studio che percepisco, anche se all’inizio ho avuto problemi a ottenere pagamenti regolari (la burocrazia israeliana è molto simile a quella italiana). Non mi sono iscritto all’AIRE. Per il primo anno non sapevo nemmeno che esistesse. Poi incontrai per caso il console italiano in visita su uno scavo, che mi consigliò di iscrivermi. Alcuni miei colleghi mi dissero che la procedura era lunga, e così per pigrizia non l’ho mai fatto. Torno in Italia per Natale e in estate vado per un paio di settimane nella mia amata Barcellona. A volte mi mandano in giro per conferenze in Europa per presentare i risultati del mio lavoro. Di solito lavoro sei giorni alla settimana, circa 8-10 ore al giorno, perché ho parecchie cose da fare. Ma non è un problema. Faccio quello che mi piace, e ne sono totalmente entusiasta, non mi pesa per niente.Probabilmente qualcuno si starà chiedendo com’è vivere con la possibilità che scoppi una guerra tra Israele e uno dei paesi vicini con cui non è in buoni rapporti (Libano, Siria e Iran su tutti). Be’, fasciarsi la testa prima di essersela rotta non serve a niente. In caso di guerra tornerei in Italia, ovviamente. Poi c’è il problema dei razzi lanciati da Gaza dai miliziani di Hamas contro Israele. Fortunatamente, Rehovot si trova più o meno nel centro del paese, fuori dal raggio dei missili (anche se recentemente ne è caduto uno a circa 5 km da qui). Questo elimina la maggior parte delle preoccupazioni. Poi, ogni abitazione o condominio ha un rifugio antimissile. Durante l’estate però lavoro per sei settimane su uno scavo ad Ashkelon, circa 15 km a nord di Gaza in linea d’aria. Finora non ho mai sentito la sirena in città, ma la scorsa estate alcuni missili sono caduti pochi km a sud del sito archeologico (che si trova all’estremità meridionale di Ashkelon). Se dovessi sentire la sirena sullo scavo, non potrei fare altro che buttarmi dentro una trincea e pregare. Tuttavia, ultimamente le cose sono migliorate, nel senso che l’esercito israeliano ha messo a punto uno scudo missilistico in grado di abbattere molti dei razzi diretti su zone abitate, mentre quelli che puntano su zone disabitate vengono lasciati cadere al suolo. Per quanto riguarda gli attacchi suicidi, tipo invasati che si fanno esplodere in luoghi affollati, è da parecchio che non si verificano. Da quando è stato costruito il muro al confine con la Cisgiordania, questi eventi si sono ridotti a zero. L’unica tragedia che mi viene in mente è la bomba alla fermata dell’autobus a Gerusalemme l’anno scorso, ma non ricordo se hanno poi scoperto il responsabile. In generale, quando vado in giro mi sento sicuro. I telegiornali italiani, invece, danno sempre un’immagine sbagliata di questo stato, come se fosse una zona di guerra. Un peccato, visto che è una terra bellissima.Con l’aiuto di altri connazionali sono riuscito a creare un gruppo di italiani dell’istituto, con cui organizziamo pranzi, cene, serate al cinema, serate a Tel Aviv, gite in giro per il paese nei fine settimana, attività sportive. Ricollegandomi a quanto scrive Claudia, a molti di noi qui manca l’Italia, e per questo ci fa piacere seguirne gli avvenimenti e discuterne per ore. Qualcuno addirittura guarda i canali italiani col satellite (io sono ormai tre anni che non guardo più la tv, la trovo una perdita di tempo, specialmente i nostri programmi). Però, allo stesso tempo, difficilmente ci torneremo, vista la mancanza di serie opportunità di lavoro. Da quanto ho potuto vedere qui, attualmente la maggior parte degli italiani che lavorano nell’ambito della ricerca accademica ad alti livelli puntano verso la Germania e la Svizzera, immagino per la qualità della vita, gli stipendi elevati, e la vicinanza all’Italia. Non sono in molti invece a scegliere gli Stati Uniti, pur non mancando le occasioni di lavoro. Immagino che la distanza dalla madrepatria e lo stile di vita diverso giochino un ruolo importante. Inoltre, molti di noi propendono verso gli stati che non solo offrono un buon posto di lavoro, ma anche condizioni di vita elevate. Ci rendiamo conto dell’importanza di versare i contributi per poter percepire la pensione un giorno, ma vogliamo essere sicuri di averla. L’Italia non mi pare in grado di offrire questa garanzia al giorno d’oggi. E la pressione fiscale non rispecchia i servizi offerti al cittadino. A me sembra che in Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Germania, Danimarca e paesi scandinavi tutto funzioni molto meglio. Ed è a questi standard che guardi quando devi scegliere un paese in cui mettere su famiglia e garantire un futuro a chi verrà dopo di te. Non mi piacerebbe vivere in un paese in cui tutti la pensano come Luigi XV di Francia: “après Nous, le déluge”.Non so cosa farò tra poco meno di due anni, quando qui avrò finito con il dottorato. Il mio desiderio è tornare in Europa per cominciare un post-doc, ma potrei anche finire in America, o rimanere qui. Ormai sta diventando una tradizione di famiglia. Anche mio fratello, ingegnere elettronico, due anni fa si è dovuto trasferire in Slovacchia perché l’azienda per cui lavora ha chiuso lo stabilimento in Italia, e lui è stato uno dei pochi fortunati a cui è stato offerto di andare nella sede slovacca, a stipendio ridotto (ma la sua storia è meglio se ve la racconta lui). L’unica cosa di cui sono sicuro è che non tornerò in Italia. Giunto a questo livello, sarebbe veramente un suicidio professionale.http://www.vivoaltrove.it/2012/02/19/sguardo-a-oriente-la-bella-storia-di-michael-da-israele/
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