venerdì 16 marzo 2012


Egitto: si scrive democrazia, si legge guerra

La notizia è di quelle che gelano il sangue nelle vene, persino a me che pure sono sempre stato pessimista sul futuro della “primavera araba”, eppure quasi non se ne trova traccia sui giornali, concentrati su articolo 18 e Tav. La camera dei deputati egiziana, ora eletta democraticamente, ha approvato all’unanimità una mozione che chiede l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e il ritiro di quello egiziano da Israele, oltre alla rottura delle relazioni commerciali con lo Stato ebraico, che d’ora in poi dovrà essere considerato “primo nemico”. “Dopo la rivoluzione - è scritto nel testo - l'Egitto non sarà mai più amico dell'entità sionista, primo nemico dell'Egitto e della nazione araba”. Si chiede quindi la revisione “di tutti i rapporti e gli accordi” con quel nemico, comprese le forniture di gas (13 finora gli attentati al gasdotto che porta a Israele e Giordania, che hanno causato alle casse egiziane la perdita di un miliardo di dollari). Come se non bastasse, si chiede persino “il boicottaggio di tutti i Paesi arabi contro Israele e le società internazionali” che trattano con quel paese. Queste parole, nell’immediato prive di conseguenze, in prospettiva si condensano in una sola: guerra. Fra Egitto e Israele l’ultimo conflitto risale a quasi 40 anni fa (1973, guerra del Kippur). Poi c’era stato il trattato di pace del 1978, la restituzione del Sinai fino all’ultimo granello di sabbia, lo spettacolare assassinio – nel corso di una parata militare - del presidente egiziano Sadat a opera di una cellula terrorista manovrata dalla Fratellanza musulmana. Lo stesso Sadat aveva pagato con la vita la decisione di pregare in sinagoga accanto al premier israeliano Begin, per questo gesto entrambi insigniti del premio Nobel. Ma la pace, bene o male, aveva retto. Una pace fredda, anche ostile, che però non aveva impedito una certa collaborazione fra i due paesi, con reciproco vantaggio. Da allora non c’erano più stati conflitti generali, anche il confine siriano sul Golan occupato in qualche modo aveva tenuto (“Non c’è guerra senza l’Egitto, non c’è pace senza la Siria”). Ora questo trattato di pace deve essere annullato, chiede il Parlamento egiziano. Il voto per ora è privo di conseguenze, dicevo, ma solo perché attualmente il governo militare provvisorio non risponde al Parlamento del suo operato. Quando il processo elettorale e costituzionale sarà terminato, è facile immaginare il film: il Presidente eletto sarà espressione della maggioranza integralista (Fratellanza musulmana più estremisti salafiti) o comunque ne risulterà necessariamente condizionato; i vertici militari saranno gradualmente sostituiti con elementi islamisti, come è avvenuto in Turchia; attentati e incidenti di frontiera, nel Sinai o a Gaza, saranno un gioco da ragazzi (infatti sono già iniziati); infine verrà la guerra. Resterà, chissà per quanto, solo la pace con la Giordania. Dunque la convinzione – in realtà storicamente del tutto infondata – secondo cui sono le dittature a provocare la guerra, mentre le democrazie mantengono la pace perché espressione dei popoli, si sta rivelando una pia illusione. Ora gli Odiatori di Israele hanno motivo di esultare: finalmente questa vergognosa stagione di pace fra un paese arabo e il nemico sionista sta per concludersi. Gli altri, quelli che troppo presto avevano salutato l’avvento di una nuova stagione di libertà e democrazia, si facciano un esame di coscienza.http://restiamoliberali.blogspot.com/

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