venerdì 16 marzo 2012

"Laboratorio Israele": una nazione 'start-up'

Com'è possibile che uno stato minuscolo, letteralmente isolato e osteggiato dai paesi circostanti, sia diventato negli ultimi venti anni una centrale dell'hi-tech e il paese dove nascono più start-up e dove maggiori sono gli investimenti in ambito scientifico e tecnologico? A questa domanda cercano di rispondere Dan Senor e Saul Singer nel loro Laboratorio Israele. Storia delmiracolo economico israeliano.In effetti c'è da restare sbalorditi nel leggere le vicende e le testimonianze raccolte dai due giornalisti, che hanno intervistato i vari protagonisti di questo miracolo economico, fatto di un'enorme capacità di innovare e, soprattutto, di volgere a proprio favore circostanze inizialmente svantaggiose, facendo anche i conti con risorse naturali limitate e con un mercato regionale praticamente inesistente. Numerosi sono i casi presentati da Senor e Singer: s'incomincia subito con Better Place, la start-up di Shai Agassi, che propone un metodo per diffondere sempre più le automobili elettriche aggirando il problema dei costi delle batterie. In questo caso, il fatto che Israele è una sorta di piccola isola da cui gli automobilisti non possono uscire lo rende un luogo ideale per sperimentare il cablaggio del paese e una rete di punti di ricarica: il sistema perfetto per trasformare in vantaggio un oggettivo handicap.Ma questo è solo uno dei casi più recenti: l'inventività di Israele si è manifestata sin dagli inizi, quando dal nulla è stata creata l'industria aeronautica israeliana - per una precisa volontà politica, stavolta -, dapprima dedita alla riparazione di vecchi aerei malmessi e, successivamente, alla fabbricazione di nuovi aerei. E anche qui lo stimolo è derivato da una limitazione esterna: De Gaulle che nel 1967, alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni, sottrasse il proprio appoggio a Israele, dopo che per anni l'aveva rifornito di armi. Così come la tecnica di irrigazione a goccia, messa a punto dalla Netafim, la società fondata da Simcha Blass nel 1965, che ha permesso di coltivare, con un minimo dispendio di acqua, anche nel deserto del Negev (e Israele è uno dei pochi posti della terra dove il deserto retrocede invece di avanzare).Ci sono poi esempi in cui Israele è riuscito a convincere società estere a investire lì e a trasferirvi il settore della ricerca e dello sviluppo. Il più noto è quello di Intel, che nel 1974 vi aprì il centro di progettazione di Haifa. Nel 1980 il team Intel di Haifa creò il chip 8088, adottato da IBM per la costruzione del primo personal computer. Da allora la Intel israeliana non ha fatto che progredire in questo campo: dal 386 - la cui fornitura è stata garantita con puntualità anche durante la prima Guerra del Golfo - al Pentium fino al Centrino, un chip di nuova generazione che ha saputo frenare il declino della società e riconquistare una posizione predominante sul mercato. Per non parlare poi di tutte le innovazioni che dall'ambito militare si sono riversate nell'ambito civile: basti citare le ricerche di Gavriel Iddan che, partendo dai dispositivi elettro-ottici che guidano i missili verso l'obiettivo, ha creato la Given Imaging, società che produce la pillcam, una pillola con videocamera incorporata da ingerire, che trasmette immagini dall'interno del corpo umano, sostituendo così esami più invasivi.Senor e Singer non si limitano però a raccontare questi episodi di successo, ma cercano di mettere in luce i fattori positivi della cultura e della società israeliana che li hanno resi possibili. Innanzitutto - scrivono - quella israeliana è una società in cui le gerarchie contano poco e in cui "la corrispondente inclinazione al contraddittorio è profondamente impressa non solo nella religione ebraica, ma anche nel carattere nazionale di Israele". Questo amore per la discussione continua si ritrova in tutti gli ambiti sociali, esercito incluso, dove viene attribuita grande importanza alla critica e all'iniziativa individuale, perché è da qui che possono nascere nuove idee o modi diversi, imprevisti, per affrontare situazioni inedite. A questo si aggiunge una propensione al rischio, favorita dal fatto che la paura per il fallimento è minima: un imprenditore che non dovesse farcela - come capita in molti casi, perché la maggioranza delle start-up non riesce ad affermarsi e a durare - non perde la faccia e non ne esce con la reputazione macchiata in maniera indelebile. E' considerato normale che uno possa fallire e, quindi, ritentare. Ma intanto la somma delle innovazioni aumenta. Altrettanto fondamentale è poi il ruolo del servizio militare obbligatorio e del sistema della "riserva" - ogni anno gli uomini adulti vengono richiamati in servizio per un breve periodo di tempo -, grazie al quale gli israeliani stabiliscono relazioni che poi durano tutta la vita e li aiutano anche nel mondo del lavoro. "Il sistema della riserva israeliano non è solo un esempio di innovazione, ma anche un suo catalizzatore. Dove può capitare che un taxista comandi un milionario o che un ragazzo di ventitré anni guidi l'addestramento del proprio zio, la gerarchia risulta necessariamente attenuata; il sistema della riserva, quindi, contribuisce a rafforzare lo stile di vita caotico e antigerarchico che si può riscontrare in ogni aspetto della società israeliana". Non è soltanto questo, però, perché l'IDF - l'esercito israeliano - può permettersi di selezionare i soggetti migliori e, dopo una serie di test, destinarli a unità di élite - come le Talpiot - dove ricevono una formazione scientifico-tecnologica di tutto rispetto che gli tornerà utile successivamente. (Ed è anche per questo motivo che i più svantaggiati, da questo punto di vista, sono quei gruppi che dal servizio militare sono esonerati: gli haredim e gli arabi israeliani).A contribuire al boom dell'economia israeliana, avvenuto negli anni novanta, è stata poi l'immigrazione massiccia dall'ex Unione Sovietica, che ha fatto arrivare masse di individui preparati e altamente scolarizzati - soprattutto in ambito scientifico e tecnologico -, unita alla liberalizzazione promossa dal primo governo Netanyahu, che ha reso possibile lo sviluppo del capitalismo "di ventura", riservato per l'appunto al finanziamento delle startup, mentre in precedenza il sistema finanziario israeliano era molto ingessato e quasi interamente statalizzato.Interessante è poi il confronto che gli autori fanno tra Israele e paesi simili o assimilabili. Il primo confronto è con la Corea del Sud e Singapore: anch'essi, come Israele, sono in qualche modo minacciati dai paesi confinanti e quindi sono stati costretti a sviluppare un modello di esercito simile. Se il paese è troppo piccolo per creare un esercito professionale e se però è necessario un esercito efficiente, allora bisogna usare un sistema basato sulle riserve e sui richiami annuali: è quello che fanno anche Corea del Sud e Singapore. Allora perché in questi due ultimi paesi, malgrado l'enorme sviluppo economico conosciuto negli ultimi anni, non ci sono altrettante start-up e altrettanta innovazione? Dipende sostanzialmente dalla mentalità e dalla cultura, che sono più rispettose delle gerarchie e che attribuiscono un maggiore valore all'ordine e all'obbedienza rispetto alla creatività e alla critica individuali (è il contrasto tra ciò che, in ebraico, si definisce rosh katan e rosh gadol: testa piccola e testa grande). Senza contare che in Corea, per esempio, "chi fallisce non può farsi vedere in circolazione" e la perdita della faccia è una catastrofe, soprattutto dopo lo scoppio della bolla di internet nel 2000, che ha mortificato lo spirito d'impresa locale. Il secondo confronto è invece con gli Emirati Arabi Uniti e, in particolare, con uno di quelli più ricchi: Dubai. Qui ciò che manca è quel tipo di società aperta - alle critiche innanzitutto - che c'è in Israele, oltre che un atteggiamento potenzialmente ostile a offrire cittadinanza ai nuovi immigrati - negli Emirati solo il 15 per cento dei residenti è effettivamente cittadino -, il che permetterebbe a chi vi stabilisce di legare il proprio destino a quello del paese e a progettare un futuro per sé e i propri figli. Dubai "ha dato vita a grandi e prosperi hub di servizi", ma "le attività delle aziende specializzate in ricerca e sviluppo e in innovazione brillano per la loro assenza". Insomma: se qualcuno si trasferisce a Dubai solo per fare affari, se ne andrà una volta che troverà un posto più vantaggioso, soprattutto se non vede prospettive per sé in quel paese. Senza contare che, in generale, "le istutizioni culturali e sociali del mondo arabo versano in uno stato di cronico sottosviluppo", a cui non ovviano più di tanto le branche aperte in loco dalle grandi università straniere, prevalentemente anglo-americane: certamente utili, ma si capisce che diverso è il caso delle università di eccellenza israeliane - l'Università ebraica di Gerusalemme, il Technion di Haifa, l'Istituto Weizmann -, create dagli stessi israeliani, in alcuni casi ancora prima della nascita dello stato ebraico, consci dell'importanza dello sviluppo e della ricerca culturale per la sopravvivenza del loro stato.Il saggio di Senor e Singer comprende poi un appendice, scritta nel 2011, qualche anno dopo la prima edizione, in cui gli autori rispondono alle domande più frequenti che gli sono state rivolte durante le varie presentazioni del libro e in cui ne riassumono il messaggio complessivo: "Israele ha sviluppato un'insolita peculiarità: la capacità non solo di fare fronte a ogni sorta di avversità, ma anche di farvi leva, si tratti della mancanza di mercati regionali, della scarsità di risorse materiali o di un'autentica muraglia di boicottaggi e aggressioni. Nella sua essenza la storia della 'nazione-laboratorio' è l'abilità con cui il paese riesce a trasformare circostanze avverse in una fonte rinnovabile di energia creativa, convogliata in gran parte nell'hi-tech, ma chiaramente riscontrabile anche nell'imprenditorialità diffusa, nella medicina, nelle scienze e nelle arti. (...) Israele può contare su due ulteriori ingredienti fondamentali: un forte senso della missione e una cultura propensa ad accettare il rischio. (...) Israele è esso stesso una startup, un laboratorio. L'idea sionista non era meno improbabile di molti dei piani di business che gli odierni imprenditori israeliani si ingegnano a far decollare".http://cadavrexquis.typepad.com

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