giovedì 1 marzo 2012


Lo stallo israelo-palestinese

Di Yonatan Silverman, http://www.israele.net/
Quando si verifica una situazione di stallo nel gioco degli scacchi, gli avversari si stringono la mano e la partita finisce lì. Le cose vanno in modo diverso quando si tratta di uno stallo politico. In questo caso, quando nessuna delle parti è disposta o può permettersi di transigere sulle posizioni e proposte della parte avversa, la partita non finisce. La sostanza del conflitto rimane sul tappeto, il conflitto rimane aperto e le parti non possono far altro che convivere con questa situazione. Questa è appunto la realtà di fatto del conflitto israelo-palestinese in questo momento: una realtà che gran parte del mondo si rifiuta di ammettere.Il conflitto israelo-palestinese si trova in una situazione di stallo a più facce, che non permette di fare alcun progresso. Di recente si è assistito in Giordania a un tentativo di rivitalizzare negoziati diretti, ma il tentativo è morto nella culla. Documenti recentemente trapelati da quei colloqui indicano che i palestinesi esigono la quasi totalità della Cisgiordania (98,1%). Per soddisfare questa rivendicazione, Israele dovrebbe rimuovere dalle loro case un vasto numero di israeliani che abitano in Cisgiordania (anziché annettere i maggiori insediamenti in cambio di porzioni di territorio israeliano, come proposto da Gerusalemme). Israele non può acconsentire a questa richiesta, e questo costituisce un grosso elemento di stallo.I palestinesi rifiutano inoltre di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha ribadito anche di recente il suo netto rifiuto spiegando che riconoscere lo stato ebraico significherebbe compromettere il “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi. Ma, in ogni caso Israele non potrebbe mai permettere il “ritorno” di milioni di profughi (e loro discendenti) in case e villaggi che non esistono più da decenni. Anche su questo le due parti sono in stallo completo.Non basta. L’accordo di unità palestinese Fatah-Hamas firmato di recente a Doha costituisce forse il maggior motivo di stallo. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu lo ha già dichiarato: Abu Mazen può fare la pace con Israele o farla con Hamas, non con entrambi. Se Hamas e Fatah troveranno davvero il modo di riconciliarsi, Israele non potrà più negoziare coi palestinesi tout-court.Un ulteriore fattore che contribuisce allo stallo è il rifiuto dell’Autorità Palestinese di porre fine all’istigazione contro Israele sui mass-media da essa controllati. Tra l’altro, le trasmissioni della tv dall’Autorità Palestinese citano abitualmente città israeliane come Haifa e Tel Aviv come parte della “Palestina occupata”. In un’occasione, il gran mufti palestinese di Gerusalemme ha affermato in televisione che uccidere ebrei è un dovere islamico, mentre terroristi morti o incarcerati vengono comunemente celebrati come eroi e martiri. L’Autorità Palestinese si rifiuta di fermare questo sistematico indottrinamento all’odio, ma il mondo per lo più preferisce chiudere gli occhi.Alla luce di questo stato di cose, gli sforzi internazionali per rilanciare una qualche parvenza di processo di pace appaiono futili, senza scopo e slegati dalla realtà. A mano che una delle parti non decida di modificare in modo sostanziale le proprie posizioni – prospettiva, allo stato, piuttosto improbabile – siamo di fronte a un conflitto che non può essere risolto sul serio. Purtroppo, però, non si tratta di una partita a scacchi. Lo stallo non ferma la sfida, ne prolunga solo l’agonia.(Da: YnetNews, 27.2.12)

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