venerdì 13 aprile 2012


Le lezioni (economiche) della matzah

Pesach si avvia verso la conclusione ed è tempo di bilanci. Il periodo di Pesach coincide con giornate di frenetica attività per tutti (case da pulire da cima a fondo) ma soprattutto per chi si occupa di prodotti alimentari kasher. E a maggior ragione per i fornitori quell’ingrediente senza il quale, come è scritto nell’Haggadah, la festa non potrebbe nemmeno essere celebrata: la matzah.
Un mercato assai particolare, quello della matzah, specie in un posto come New York dove i preparativi per Pesach coinvolgono l’intera città, che può fornire degli spunti interessanti anche dal punto di vista economico, come racconta Adam Davidson che questa settimana ha deciso di dedicare la sua It’s the Economy, popolare rubrica di economia del The New York Times Magazine, proprio ai segreti dell’industria del pane azzimo.Tutto comincia a Manhattan nel 1916, quando Aron Streit iniziò a produrre matzah nel Lower East Side. Negli anni Venti Streit costruì una macchina speciale per mischiare gli ingredienti, impastare e cuocere. Poi fu la volta di un nastro trasportatore per convogliare le matzot dall’area di produzione a quella di imballaggio. Pochi anni dopo, aprì un negozio per permettere ai clienti di acquistare direttamente alla fonte. Una visita alla Streit è entrata negli anni a far parte delle tradizioni delle famiglie ebraiche del quartiere. Che per lealtà verso i loro fabbricanti di matzot preferiti, rifiutano, generazione dopo generazione, di comprare matzot di qualsiasi altra provenienza. La fabbrica non ha avuto avanzamenti tecnologici significativi dopo la seconda guerra mondiale e continua a detenere una quota di mercato pari al 20 per cento del pane azzimo venduto nella Grande Mela. “A meno che qualcuno non decida di cambiare Pesach stesso, abbiamo vendite assicurate” ha scherzato il pronipote di Streit Aron Yagoda con Davidson durante la sua visita alla fabbrica. Il che, spiega l’editorialista, significa accontentarsi di un margine di profitto sempre più ristretto (se il numero di clienti rimane più o meno stabile, il costo del lavoro e della materia prima continua a salire). Nonostante ciò, la piccola fabbrica del Lower East Side, l’unica industria alimentare rimasta in Manhattan nel nome di una tradizione da rispettare (stesso forno e stessa acqua del rubinetto newyorkese per offrire ai suoi clienti esattamente la stessa matzah che compravano i loro nonni), continua a rimanere sul mercato proprio grazie a quella tradizione, che fa sì che i compratori continuino a rifornirsi da lei nei decenni, impermeabili alla concorrenza di altri brand sul mercato. E questa è la prima lezione che la matzah offre: un rapporto privilegiato con i clienti può consentire di rimanere in vita a un attore economico altrimenti non profittevole e rigido nell’adattarsi ai cambiamenti della società esterna.Strategia opposta alla Streit, e di ancora maggiore successo, è quella della Manischewitz, da cui proviene il 40 per cento delle matzot vendute in occasione di Pesach. Alcuni anni fa, i suoi numeri uno Paul Bensabat e Alain Bankier si sono accorti che, se per i loro clienti tradizionali la matzah rappresenta il Pane dell’Afflizione, ci sono milioni di americani pronti a considerarla come un sostituto del pane senza grassi, povero di carboidrati, privo di additivi e vegano. Insomma un ottimo prodotto dietetico/salutista. Così la Manischewitz ha ridisegnato le proprie scatole dando la prevalenza ai toni di verde per acuire la sensazione di cibo amico della natura e ha lanciato nuove linee di prodotti come la matzah biologica e la matzah al sesamo, proiettandosi su un mercato ben più vasto di quel 2 per cento di cittadini americani che per una settimana all’anno non mangiano cibi lievitati. Si sarebbe potuto pensare che questo avrebbe attirato l’attenzione di grandi industrie alimentari, oppure dell’onnipresente concorrenza cinese. Eppure non è successo. La ragione, ha spiegato Bankier, risiede nel fatto che per un grosso gruppo sarebbe impossibile replicare il loro vantaggio competitivo: produrre matzah kasher è davvero difficile. Ci sono i famosi 18 minuti, il tempo massimo che deve trascorrere da quando la farina viene bagnata al momento in cui la matzah è in forno, ogni minima traccia di impasto della precedente infornata deve essere di volta in volta rimossa dai macchinari per evitare che lieviti, non può essere aggiunta nessuna sostanza che ammorbidisca l’impasto per facilitare il compito dell’impastatrice. Nel 2009 la Manischewitz ha aperto una nuova fabbrica. A progettare il macchinario è stato un team di ingegneri, con l’aiuto di un rabbino che ha girato linee di produzione di matzah in tutto il mondo per carpirne i segreti migliori. Ancora di più, i lavoratori di una fabbrica di matzot devono avere una conoscenza base delle regole della Kasherut e mantenere un alto grado di lealtà al proprio datore di lavoro, un modello di operaio difficile da trovare in una multinazionale. D’altronde un solo lavoratore scontento o poco accurato potrebbe compromettere il certificato di kasherut dell’intera fabbrica.La conclusione di Davidson sul Times? Le grandi industrie si tengono alla larga e il mercato della matzah può insegnare una grande lezione nell’arena economica globale: se il tuo business è facile da replicare, qualcuno, in qualche posto del mondo, lo farà e ti taglierà fuori dal mercato. Chi ha successo sono quelle industrie che seguono il principio della matzah, le case di moda, la meccanica di alta precisione.Anche se poi, come fa notare il The Jewish Daily Forward, anche per le matzot un concorrente in agguato alle storiche Streit e Manischewitz c’è: la matzah israeliana che costa tra il 40 e il 50 per cento in meno di quella americana, e che i negozianti di prodotti kasher spesso regalano pur di indurre i clienti a rifornirsi da loro del ben più costoso gefilte fish. Nel 2009 proveniva da Israele il 28 per cento delle matzot acquistate negli Stati Uniti. Nel 2010 la quota è salita al 40.Forse anche il principio della matzah sta per cedere il passo di fronte al mercato globale.Rossella Tercatin - twitter @rtercatin moked http://www.moked.it/

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