venerdì 27 aprile 2012
Un Paese di 64 anni giovane e robusto
Il Giornale, 26 aprile 2012, Fiamma Nirenstein
«Quando
sarò vecchio e perderò i capelli, fra molti anni, mi manderai
ancora biglietti d’amore con gli auguri per il compleanno e una
bottiglia di vino..». Insomma sarai ancora la mia gratificazione
preferita, il mio narciso sentirà il bisogno indispensabile della
tua esistenza... Chissà, «avrai ancora bisogno di me, mi nutrirai
ancora, quando avrò 64 anni»...A
ritmo più frenetico di quello dei Beatles i Churchill, gruppo rock
israeliano in questi giorni ha prodotto a sorpresa l’antica
canzone. Perchè Israele da ieri sera festeggia per tutta la giornata
di oggi il suo 64esimo anniversario, e i Churchill a suo nome
cantano: Will you still need me? Hai ancora bisogno di me, come
quando l’Onu disse «Yes» alla partizione cercando di restituire
un senso morale alla sua esistenza, come quando Ben Gurion accettò e
gli Stati arabi si lanciarono in g! uerra? Il mondo ha ancora bisogno
di Israele? Crede in lui, nella sua indispensabilità, o potrebbe
lasciarlo andare nelle fauci dell’islam estremo? È pronto ad
affiancarlo di fronte ai pericoli che lo minacciano comprendendo che
minacciano lui stesso? Will you still feed me? Gli porgerà la mano
in questa fase di minaccia di distruzione? Ha ancora bisogno di
Israele, la terra dei pionieri, della vita semplice e eroica, del
sacrificio? E Israele porta ancora quel sè visionario e grandioso
che ha riscattato il mondo intero dalla paura di essere divenuto il
mostro che aveva divorato il popolo ebraico, suo padre, il suo
fratello maggiore, l’inventore della coscienza, della storia etica
di tutto il mondo Occidentale?Israele
è un Paese felice nell’età matura, contento di ciò che ha saputo
costruire col miracolo della volontà. Ieri sera è entrato nella sua
64esima puntata della gioia e della sorpresa di esistere come sempre
con balli e canti dopo una terribile g! iornata, la solita di tutti
gli anni: la sua determinazione al sacrificio degna delle Termopili è
stata testimoniata alla radio, alla tv, nelle cerimonie pubbliche
dalla memoria di madri, padri, fratelli, vedove, fidanzate dei 23mila
israeliani, quasi tutti ragazzi di leva, caduti nelle guerre e di
2500 civili assassinati dal terrorismo. Ognuno ha un nome, una
storia, ogni famiglia raccontava ieri quanto il suo Yossy, Ronni,
Allon, Joseph, era allegro e gentile e innamorato, mai una parola
d’odio nè di rancore verso chi li ha uccisi, sempre con
l’aspirazione alla pace che poi Netanyahu e Peres hanno ripetuto
nei discorsi ufficiali. E alla fine con la determinazione di ripetere
più o meno implicitamente a tutti, anche se si parla della persona
più importante di te stesso: «e nonostante questo, non me ne andrei
mai da qui». When I’m 64, sarò sempre Israele. Di fatto il Paese
che così tanti amano odiare, su cui ogni giorno si gettano
tonnellate di delegittimazione h! a seguitato sempre, come un vulcano
di miracoli, a fornire buoni motivi di ammirazione, di
stupore.Nonostante
le domande degli amici («ma dici che posso partire?») oggi è uno
dei Paesi più sicuri del mondo, uno dei pochi, per i viaggi; i
sistemi sociali di protezione della salute e di garanzia
dell’educazione sono fra i migliori del mondo; il rispetto dei
diritti umani, religiosi, sessuali, la libertà di stampa e di
opinione, il rispetto delle minoranze (certo considerando che si
cerca di evitare almeno parte del terrorismo sempre in movimento)
sono fra i più robusti dei Paesi occidentali, pur sviluppandosi in
un’area mediorientale; il numero di feriti e morti nel conflitto
permanente con un nemico che ti irrora di missili e di attentati e di
odio è fra i più bassi del mondo; il sistema giudiziario il più
determinato a non guardare in faccia nessuno. L’88 per cento degli
israeliani sono fieri di esserlo, il 78 per cento considera
l’esercito in cui si s! erve se maschi per tre anni e se donne per
due, come un simbolo del Paese.Con
tutti i pericoli che li circondano gli israeliani sono fieri che il
codice dell’esercito sia severissimo, come si è visto recentemente
nello scandalo enorme per lo scatto di violenza del comandante Shalom
Eisner, che ha tirato una botta in testa a un dimostrante. È la
forza della coesione di un Paese che crede nel significato della sua
esistenza quella che mette Israele in grado di pensare
contemporaneamente all’Iran, di avere un esercito fra i migliori
del mondo, una democrazia in cui religiosi e laici, pacifisti e
coloni non smettono di scontrarsi, di affrontare con una riforma
micidiale i suoi problemi sociali ed economici (la commissione
Trajtenberg è stata un colpo di frusta all’intera organizzazione
socio-economica).. e insieme di essere il maggiore inventore di high
tech del mondo insieme agli Usa? Come fa Israele a produrre premi
Nobel a catena (l’ultimo a Dan Shechtman per! il quasycristal);
scoperte dirompenti nella fisica e nella medicina al limite di un
imperativo che proibisca infine gli orrori dell’Alzheimer, della
sclerosi multipla e altre dannazioni;innovazioni legate al computer
del livello dell’invenzione del laptop? Nel suo 64esimo, il
messaggio di Ahmadinejad è «Israele è un tronco ammarcito da
distruggere». Anche l’anima si può distruggere, la storia ce l’ha
dimostrato più volte. Ma stavolta sembra che sarà difficile farlo,
a 64 anni Israele è molto giovanile e robusto.
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