domenica 13 maggio 2012

Come cambierà la politica estera d'Israele con l'accordo Likud-Kadima

Nelle prime ore di martedì, dopo un’estenuante trattativa durate diverse ore, Nethanyau ha sorpreso tutti sancendo un accordo fra il Likud, il suo partito, e Kadima, la formazione centrista fondata da Ariel Sharon nel 2005. Mentre sino a poche ore prima egli stesso aveva preannunciato lo scioglimento della Knesset e le elezioni anticipate, l’accordo fra lui e il capo di Kadima Shaul Mofaz, ex ufficiale paracadutista, ex Capo di stato Maggiore e Ministro della Difesa, garantisce al governo di poter arrivare alla scadenza naturale della legislatura nell’ottobre 2013. Il governo israeliano può ora contare su una maggioranza talmente ampia (94 parlamentari) che non si vedeva dal 1984.Kadima ha concesso il suo appoggio solo dopo ampie e pubbliche rassicurazioni su alcuni impegni politici relativi alla politica estera e a quella interna. I punti salienti di tale accordo sono quattro: l’adozione di una legge sul servizio militare che imponga anche agli ebrei ortodossi, finora esentati, l’obbligo di servire il paese in armi; interventi di politica economica volti a ottenere maggiore giustizia sociale; riforma del sistema elettorale e ripresa del processo di pace con i palestinesi. Inoltre tale accordo sancisce l’ingresso dello stesso Mofaz come vice Primo ministro e Ministro senza portafoglio riguardo alcune tematiche importanti come il processo di pace israelo-palestinese e la riforma del servizio militare.Molti commentatori sono propensi a ritenere come gli effetti maggiori di tale accordo sono relativi alla politica interna piuttosto che alla politica estera. Ciononostante Israele è uno dei pochi paesi al mondo, forse l’unico, dove politica interna ed estera si fondono e si compenetrano completamente. Data la sua estensione geografica limitata e i suoi perenni problemi di sicurezza ogni aspetto di politica interna ha un suo diretto effetto in quella estera e viceversa. Di conseguenza l’accordo Nethanyau-Mofaz costituisce un momento essenziale per comprendere l’evoluzione della politica estera israeliana e la sua risposta alle sfide di sicurezza che la affliggono.La visione di Mofaz è meno slegata al mantra del nucleare iraniano e più orientata al raggiungimento di una pace coi palestinesi. Il nucleare iraniano è stato persino assente dalla conferenza congiunta effettuata l’altro ieri dai due leader. Secondo Mofaz, il maggiore problema di sicurezza di Israele è la possibilità che esso perda il suo carattere di stato ebraico a causa della crescita demografica dei palestinesi. La creazione di uno stato palestinese sarebbe la soluzione a questo problema.Nel 2009 Mofaz ha presentato un suo piano di pace che prevede il riconoscimento di uno stato palestinese, la fine della costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania e il risarcimento ai palestinesi delle aree occupate dagli insediamenti già costruiti con altri territori. Egli ha inoltre auspicato un maggiore allineamento di Israele con gli Stati Uniti dopo aver posto una forte enfasi sulla soluzione di problemi economico-sociali che affliggono parte della classe media israeliana.L’ingresso al governo di un partito moderato come Kadima, come segnalato da Robert M. Danin del Council on Foreign Relations, annacqua il potere di veto tenuto negli scorsi tre anni dal Ministro degli Esteri Lieberman, generalmente indicato come un falco. Elliot Abrams (sempre del CFR), paventa addirittura la possibilità che Mofaz possa presto sostituire Lieberman alla guida del Ministero degli Esteri.L’effetto Mofaz sembra poter avere un ruolo determinante in tutti i maggiori dossier di politica estera. Riguardo la questione palestinese, la sua reiterata proposta di un piano di pace che contempla il principio “due popoli, due stati” riavvicina Israele ai governi europei e a buona parte della comunità internazionale. Inoltre, e questo pare l’aspetto più interessante dell’intera faccenda, l’approccio di maggior apertura verso i palestinesi potrebbe garantire ad Israele il miglioramento dei suoi rapporti con i vicini, in particolare con la Turchia, oggi più che mai sensibile al destino del popolo palestinese.Riguardo la questione sul nucleare iraniano, Mofaz ha in passato pubblicamente criticato l’approccio di Nethanyau, contestandogli un’eccessiva enfasi che lo avrebbe portato a trascurare questioni anche più importanti per la sicurezza di Israele. Mofaz non ha mai escluso l’opzione militare, ma ha sempre indicato come essa debba essere l’ultima ratio, da attuarsi solo in determinate circostanze che allo stato non paiono esserci.A dispetto di ciò l’importanza della sua entrata al governo è in particolare legata alla questione sul nucleare iraniano. Fra i commentatori non vi è comunanza di vedute. Alcuni ritengono che ora un attacco all’Iran sia meno probabile, mentre altri indicano esattamente il contrario. Mofaz, al contrario di altri esponenti politici israeliani, pare avere un approccio basato su una visione generale dei problemi internazionali nella quale l’uno è strettamente legato all’altro. In questa chiave la sua volontà di risolvere la questione dello stato palestinese, il suo favore verso l’azione del presidente Obama nei confronti dell’Iran e la critica verso i falchi che parlano già di attacco aereo sembrano essere elementi di una strategia di ampio respiro.Tale strategia pare volta da una parte a rafforzare Israele (e l’entrata di un governo di unità nazionale è il primo fattore di questo disegno), anche con una politica magari più dialogante con i paesi arabi, per far sì che Israele esca dall’isolamento in cui si trova nella regione. Dall’altra, l’altro obiettivo sarebbe quello di indebolirne i nemici (scommettendo sulla forza di USA e paesi europei in particolare) e di forzare l’Iran a trattare efficacemente. In caso contrario, col favore esplicito o implicito di molta parte della comunità internazionale, Israele potrebbe avere molte più carte in regola per effettuare lo strike. Se ci si dovesse chiedere se la guerra è ora più vicina o meno, si potrebbe rispondere con le parole di Mofaz dell’aprile scorso: “ Se vedessimo l’Iran arrivare più vicino ad ottenere la capacità nucleare militare e gli Stati Uniti agissero contro i loro propri interessi permettendo che una spada penda sul nostro collo, io sarò il primo a supportare un intervento di Israele (…) In questo caso non ci sarebbe né coalizione (con gli Stati Uniti -NdR) o opposizione. Ma quella spada ancora non pende”.http://www.loccidentale.it

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