venerdì 18 maggio 2012

Ecco perché la soluzione a due stati “deve” fallire

Di Moshe Dann, http://www.israele.net
La comunità internazionale non riesce a capire come mai non sortiscano risultati positivi tutte le sue pressioni per portare avanti un “processo di pace” che richiederebbe agli arabi palestinesi di rinunciare alla loro lotta contro lo stato ebraico. La risposta è che il conflitto non riguarda il territorio, bensì l’ideologia: cioè il palestinismo, che sta alla base della guerra che da circa cento anni viene condotta contro il sionismo e lo stato di Israele in quanto storica patria nazionale del popolo ebraico. Per gli arabi, per i palestinesi e per gran parte dei musulmani ciò fa parte di una più vasta jihad, una sorta di lotta permanente contro l’infedele. […] Se non si coglie questo concetto, è impossibile capire il palestinismo, la sua missione storica e i suoi leader. È questo concetto che spiega non solo perché “il processo di pace” fallisce, ma anche perché “deve” fallire.Tutti gli sforzi per imporre uno stato palestinese (la soluzione “a due stati”) sono condannati a fallire per una semplice ragione: i palestinesi quello stato non lo vogliono. L’obiettivo primario del nazionalismo palestinese era ed è quello di cancellare lo stato d’Israele, di non permettere che esista. Qualunque forma di indipendenza palestinese che accetti di convivere con una sovranità israeliana su quella che loro ritengono terra musulmana rubata dagli ebrei è, per definizione, un’eresia. È un concetto enunciato molto chiaramente sia nella Carta fondamentale dell’Olp che in quella di Hamas. Il palestinismo non è un’identità nazionale, quanto piuttosto un costrutto politico sviluppato come parte di un aggressivo programma terroristico quando venne fondata l’Olp, nel 1964. Rappresentava un modo per distinguere fra arabi ed ebrei, e tra gli arabi che vivevano dentro Israele sin dal 1948 rispetto agli altri arabi. I termini “arabi palestinesi” o “arabi di Palestina” non sono invenzioni di colonialisti e stranieri: essi compaiono nei loro stessi documenti ufficiali. L’identità palestinese coincide con la lotta per “liberare la Palestina dai sionisti”, ed è diventata una causa internazionale che ha legato fra loro i musulmani nel quadro di una jihad con implicazioni molto più ampie: una sorta di rivoluzione islamica permanente.Il palestinismo ha funzionato come alibi e giustificazione di questa jihad. Ma storicamente gli arabi che vivevano in Palestina consideravano se stessi parte della “grande nazione araba”, come emerge anche dai documenti dell’Olp. Si raccolsero attorno al mufti filo-nazista Haj Amin Hussein non per via di una loro identità nazionale, ma per odio verso gli ebrei. La loro lotta oggi non consiste nel conseguire l’indipendenza accanto a Israele, ma nel sostituire Israele con uno stato arabo musulmano.
Pertanto le proposte su “due stati”, con l’indipendenza palestinese come obiettivo territoriale, di fatto contraddicono il palestinismo, dal momento che ciò significherebbe la fine della loro lotta per sradicare Israele. Il che spiega come mai nessun leader palestinese accetterà di arrendersi alle richieste occidentali e sioniste, e come mai accettare un compromesso è considerato un anatema. Indipendenza (accanto a Israele) significherebbe negare il carattere di “nakba” (catastrofe) della nascita d’Israele nel 1948; significherebbe ammettere che tutto ciò per cui si è combattuto e tutti i sacrifici fatti sono stati vani. Significherebbe abbandonare (cioè, lasciare che si integrino altrove) cinque milioni di arabi che vivono in 58 “campi profughi” sponsorizzati dall’Unrwa in Giudea e Samaria (Cisgiordania), nella striscia di Gaza, in Libano, Siria e Giordania, e centinaia di migliaia di altri sparsi per il mondo: non sarebbero più considerati “profughi”, il che significherebbe la perdita di quel miliardo e passa di dollari che l’Unrwa riceve ogni anno. Indipendenza significherebbe abbandonare la “lotta armata”, vera chiave di volta dell’identità palestinese; significherebbe svelare che il concetto di palestinismo creato dall’Olp e accettato dall’Onu, dai mass-media e anche da vari politici israeliani, è una falsa identità con un falso scopo. Significherebbe che tutte le sofferenze patite per cancellare Israele sono state inutili.L’indipendenza comporterebbe assumersi responsabilità e porre fine all’istigazione all’odio e alla violenza, fare i conti con fantasie come la “archeologia palestinese” o la “società e cultura palestinese”, richiederebbe di costruire un autentico nazionalismo, con istituzioni giuste e trasparenti.Significherebbe anche, naturalmente, porre fine al conflitto, porre fine al terrorismo e all’istigazione, porre fine alla guerra civile fra laici e islamisti, fra tribù e clan, porre fine alla corruzione, all’arbitrio, all’illegalità e dare vita a un governo autenticamente democratico. Accettare Israele significherebbe la fine della Rivoluzione Palestinese: un tradimento in termini nazionali e un’eresia in termini islamici. In questo contesto, per i palestinesi e per gran parte dei musulmani il “processo di pace” non è che una metafora della sconfitta.(Da: YnetNews, 1.5.12)

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