giovedì 17 maggio 2012

Voci a confronto

L’Ambasciatore di Israele all’ONU Michael Oren scrive oggi un interessante articolo sul Wall Street Journal nel quale fa un excursus sulla storia di Israele e sui grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, tra un ’73 nel quale ben pochi accettavano l’idea della nascita di uno stato di Palestina, e il governo attuale che ne riconosce apertamente la legittimità. In un ideale collegamento raccomando anche la lettura di Giulio Meotti che in inglese, su Israelnationalnews, fa una perfetta rappresentazione della situazione reale del conflitto coi palestinesi; oltre a dimostrare come sia inestricabile la situazione (e sicuramente non solo quella di oggi), spiega che non è corretto pensare di ritornare al momento della guerra del ’67, perchè si vuole in realtà ritornare a quella del ’48, quando gli arabi, come ben sappiamo, hanno rifiutato la nascita dello Stato di Israele, creando quella nakba che hanno ricordato ieri (anche con i soliti lanci di razzi taciuti dai quotidiani di casa nostra). Di questa commemorazione, come sempre vista dalla parte dei palestinesi, scrive Michele Giorgio sul Manifesto, e deve riconoscere che le cose sono andate meglio dello scorso anno quando vi fu un tentativo di penetrazione attraverso le frontiere israelo-siriane, notoriamente sbarrate. Ieri, in concomitanza con questo anniversario della nakba, si è anche concluso lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi; grazie alla mediazione delle autorità egiziane, i detenuti hanno ottenuto di poter riprendere gli studi universitari, di poter ricevere visite di familiari anche se residenti a Gaza e di poter acquistare libri vari, pur rimanendo in vigore l’arresto amministrativo (del quale si ricorda sempre che discende dal periodo del Mandato britannico, ma si dimentica che non è certo in vigore solo in Israele). Di questa felice conclusione della protesta scrive Laurent Zecchini su Le Monde, osservando che è una vittoria della lotta non violenta; purtroppo Zecchini dimentica spesso di criticare proprio gli episodi di violenza senza i quali il conflitto avrebbe già perso da tempo la sua ragion d’essere. In Siria arrivano adesso gli osservatori italiani, come scrive Eric Salerno sul Messaggero, ma non vi sarà alcun intervento armato (genere Libia) che favorirebbe solo al Qaeda e farebbe crescere il prezzo del petrolio in un mondo che non ha di sicuro bisogno di questo. Non si parla, al contrario, nei quotidiani italiani, di un enigmatico viaggio dell’ex primo ministro francese a Teheran, in corso proprio in questi giorni; lo ha forse voluto Sarkozy? ma potrebbe essere stato fatto contro il desiderio di Hollande? vedremo. Intanto un editoriale del Foglio scrive che presto il Mek (i Mujaheddin del popolo) potrebbe essere cancellato dalla lista nera del terrorismo negli USA (in Europa è già stato cancellato da analoga lista); è utile ricordare che è proprio grazie al Mek che l’Occidente è stato informato, fin dal 2002, degli atti compiuti dal regime iraniano per dotarsi della bomba nucleare, ma non si deve neppure dimenticare che è stato proprio Obama a cancellare i fondamentali aiuti economici che gli USA fornivano all’opposizione di Khamenei; e lo stesso Obama ha tenuto in questa settimana una riunione con nove dei suoi principali consiglieri, non svelata dai nostri quotidiani; hanno partecipato, tra questi, Peter Beinart, autore del criticato libro “The crisis of Zionism” nel quale invita la gioventù ebraica ad abbandonare Israele e, a lato della semplice menzione del terrorismo arabo, stronca quello ebraico (!). Visto che chiamò Obama “the Jewish president”, forse ora Obama ha voluto dimostrargli di non essere affatto jewish. Ed a riprova di ciò al meeting ha partecipato anche David Remnick che paragona la democrazia israeliana con quelle siriana ed egiziana, e Joe Klein che afferma che l’Iran non cercherebbe di dotarsi della bomba. Due brevi del manifesto e del Messaggero censurano giustamente il leader dell’estrema destra greca che ha conquistato 21 seggi, ma dimenticano di osservare quanto di simile sta avvenendo in tanti altri stati europei. In Francia si discute sull’eccidio di Tolosa, ma a latere si verificano nuovi gravi fatti di intolleranza, e ne parla un articolo de Le Monde; si invita a non confondere antisemitismo ed antisionismo (noi ricordiamoci delle parole del Presidente Napolitano), ma nel frattempo l’Università tace perché l’amministrazione uscente non vuole più intervenire, e quella entrante non è ancora nel pieno delle sue funzioni; è ammissibile una simile affermazione di fronte a gravi episodi? Di antisemitismo e antisionismo (doppia damnatio che nascerebbe a destra) scrive Bruno Gravagnuolo su L’Unità a commento dell’articolo di Mieli del quale Ugo Volli ha scritto a lungo ieri in questa rubrica; siamo davvero sicuri che questa distinzione permanga solo in “qualche anfratto della sinistra radicale dispersa”? Saverio Ferrari dopo un convegno di febbraio, si accorge sul manifesto del rischio di un nuovo fronte tra destra e sinistra radicali, e ricorda che Claudio Mutti, convertitosi all’islam, ha assunto il nome Omar Amin che fu già quello dell’ex SS von Leers rifugiatosi in Egitto. Ci dovrebbero riflettere all’interno della redazione del manifesto. “Ho molti amici ebrei…la lobby è la più influente del pianeta” dice il finiano Fabio Granata accorso in aiuto dell’amico Giovanni Ceccaroni che scriveva che “l’ebraismo italiano…andava contro gli interessi del nostro Paese”. Sono parole non nuove, sappiamo dove portano, e sappiamo anche quale rischia di essere la fine dei cosiddetti “amici ebrei”. Antonio Airò su Avvenire ricorda le parole di Pio XII pronunciate nel radiomessaggio del Natale del ’42: scopo di ogni società è “lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana”; stop. Dirà in seguito il papa che “ogni pubblico accenno doveva essere ponderato e misurato per non rendere più grave e insopportabile la situazione (dei sofferenti)”. “Generico” deve riconoscere Airò, questo riferimento, ma sufficiente per lui per cercare di dimostrare quanto al sottoscritto sembra indimostrabile. Ricordo infine, a conclusione di questa mia rassegna, che domani sera Roma sarà in festa con l’accoglienza del suo concittadino Gilad Shalit in Campidoglio.Emanuel Segre Amar http://moked.it/blog

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