lunedì 8 ottobre 2012

Africa, sui cristiani la minaccia islamica 

C’è una guerra, a bassa intensità ma, proprio per questo continuativa e quindi insidiosa, che sta mettendo in discussione la presenza cristiana nell’Africa centro-settentrionale e in Medio Oriente. Un solo dato, per capire le dimensioni del problema. Nell’Iraq di Saddam Hussein i cristiani erano circa un milione e mezzo. Oggi, a quasi dieci anni dalla detronizzazione del tiranno, si sono ridotti a un terzo. In Siria, anche se i giochi in quest’ultimo caso sono ancora aperti, grande è il timore per il futuro della robusta minoranza, corrispondente al dieci per cento della popolazione, distribuita tra ortodossi, cattolici, assiri, armeni, protestanti e così via. L’emigrazione verso paesi meno ostili alle comunità cristiane sta divenendo un indice del mutamento che sta investendo gli ampi territori che vanno dalla costa atlantica del Continente africano (ed in particolare Il Senegal, la Mauritania, il Marocco) per arrivare al Golfo persico. Rispetto ai decenni trascorsi, dove all’espulsione delle comunità ebraiche nel Maghreb e nel Mashrek non si era accompagnato un identico trattamento per questa grande minoranza monoteista, ora invece le cose sono mutate. La crescente avversione nei confronti dei secolari insediamenti cristiani, al di là delle contingenze che riguardano le singole aree di crisi, è da ricondurre essenzialmente alla crescita dell’islamismo radicale e alla sua capacità di riprodursi come una sorta di organismo flessibile, dai molti volti ma dotato dell’indiscutibile capacità di muoversi come un soggetto transnazionale. Il fondamentalismo, infatti, risponde alla crisi degli Stati nazionali che è particolarmente acuta laddove questi erano già deboli di per sé, essendo il risultato di processi di decolonizzazione incompleti, faticosi e, spesso, dai risultati deludenti. In altre parole, la capacità aggregativa e militante dei gruppi islamisti trova un buon terreno nelle clamorose inadempienze delle élites di potere. La mappatura della presenza fondamentalista, soprattutto laddove essa si manifesta attraverso ripetuti episodi di violenza contro i cristiani, indica al momento nell’Africa i maggiori focolai di crisi. Il nord del Mali, la regione centrale e quella meridionale del Niger, tutti gli Stati settentrionali della federazione nigeriana, il Sudan meridionale e la Repubblica centrale africana insieme a ciò che resta della Somalia, soprattutto nell’area meridionale, e a parte del Kenya orientale, costituiscono i punti più problematici. Al-Qaeda, un network sempre attivo e proteiforme, ha stretto legami di reciprocità ideologica ed operativa con i gruppi salafiti, e di osservanza radicale, che da anni operano nel Continente: così con i somali al-Shabab, i Boko Haram presenti in Nigeria, l’Ansar Ezzedine per l’area mediterranea. Centrale è il rapporto con lo Yemen, dove l’organizzazione che fu di Osama bin Laden ha un fortissimo radicamento, derivante dai contatti con l’Afghanistan. Un collante efficace sono i traffici illegali di armi, droga ed esseri umani, insieme ai business della pirateria e dei rapimenti. Più in generale, tutti i gruppi islamisti si avvantaggiano delle situazioni di guerra, laddove le tensioni creano un terreno favorevole per la violenza e i commerci clandestini, così come della possibilità di indicare nella presenza di comunità cristiane lo «scandalo» contro il quale indirizzare la popolazione musulmana, soprattutto se disagiata economicamente. È tutta l’Africa, compresa tra il Mediterraneo e la fascia sahelo-sahariana a sud del deserto, ad essere stata trascinata in questi ultimi vent’anni dentro le dinamiche del mondo arabo-musulmano. Il jihadismo politico contende all’Occidente (e ai cristiani, impropriamente identificati con esso), ma anche e soprattutto alle corrotte élites locali, e finanche all’islamismo "moderato" dei Fratelli musulmani, il ruolo di figura egemone nel controllo di ampissime aree di territorio nel quale i confini tra paesi sono stati messi in discussione dai mutamenti macroeconomici accaduti in questi anni. In tale gioco, destinato ancora a ridisegnare equilibri e rapporti di forza, ha senz’altro qualcosa da dire la Cina, la vera potenza neocoloniale, anche se di natura diversa da coloro che l’anno preceduta, la quale si sta accaparrando risorse ma anche rapporti privilegiati con i gruppi dirigenti africani. Sta di fatto che dinanzi ai grandi investimenti fatti dai paesi oramai emersi del sistema del Bric, la politica americana arranca, vincolata com’è dalla mancanza di risorse proprie, per non parlare dell’assenza dell’Unione Europea. I jihadisti lo sanno bene poiché non sono privi di una logica politica, ancorché perversa. Noi europei sembriamo invece completamente incapaci di cogliere i mutamenti strutturali che stanno letteralmente cambiano la terra sotto i nostri piedi. Claudio Vercelli, http://www.moked.it/

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