Il romanzo che inventò Israele
«Senza il sole le piante muoiono, ma si possono salvare se si piantano
nel terreno adatto, lo stesso vale per gli uomini. Ed è quello che è
successo qui». Il «qui» è la Palestina dell’Impero ottomano all’alba del
’900. Gli esseri umani in questione sono gli ebrei, da secoli sotto le
tenebre dell’odio. Lo scrive Theodor Herzl, in Vecchia terra nuova
, il romanzo (ora tradotto e curato da Roberta Ascarelli, Bibliotheca
Aretina, pp. 238, € 20) che immaginò e raccontò Israele prima che
Israele esistesse. L’opera visionaria uscì infatti nel 1902, quando il
progetto di convincere gli ebrei della diaspora a trasferirsi nella
terra dei padri abbandonata da un paio di millenni era poco più che
un’idea scandalosa.Il brillante giornalista ungherese padre del
sionismo girava instancabile sinagoghe, salotti, corti, dal Kaiser a
Rotschild al sultano della Porta, per spiegare che il trasloco in Medio
Oriente era un buon affare per tutti. Agli ebrei, ancora vittime di
violenze, pregiudizi, ostracismi, avrebbe dato libertà; agli antisemiti
una comoda soluzione a uno sgradevole problema. Dopo aver stilato il
manifesto politico dello Stato d’Israele (1896), decise di fornirgli
un’anima letteraria per rendere più avvincente il suo sogno
rivoluzionario. Nacque così questo romanzo, narrativamente mediocre (lo
stesso autore lo ammetteva) ma talmente carico di entusiasmo e verve
utopica da diventare realtà, come a nessun’altra opera è mai accaduto,
nemmeno a Verne, Dick o altri compagni di merende fantascientifiche con
le loro intuizioni tecnologiche.Vecchia nuova terra
racconta il viaggio di un giovane avvocato ebreo deluso d’amore che ha
rinunciato alla professione per seguire un milionario misantropo nei
mari del Sud e passa nella Palestina colonizzata dai pionieri sionisti
nel futuro 1923 (Herzl morì nel 1904). La descrizione del paesaggio,
delle città nate dal nulla, dei porti, delle strade, del brulichio
vitale, è incredibilmente simile a ciò che poi sarebbe avvenuto, e che
un altro ungherese, Sándor Márai, (peraltro poco amico degli ebrei)
descrisse con entusiasmo in un suo tour da quelle parti in Sulle tracce degli dei.I
coloni hanno dissodato la terra con entusiasmo trasformandola in un
paradiso fertile, piantando alberi, fondando cooperative agricole. Gli
architetti hanno reso Haifa una delle città più moderne al mondo, perché
Herzl immagina anche l’urbanistica, le tramvie sospese, le gallerie
sotterranee per cavi e tubature.Herzl, come scriveva Zweig, era
bello, cortese, affabile, amatissimo dalla borghesia delle vecchia
Austria. Ma quando chiedeva ai facoltosi di lasciar le ville della
Ringstrasse, affari, incarichi, serate a teatro, per emigrare in
Palestina a fondarvi una nazione, lo consideravano un po’ balzano, se
non quasi pericoloso. Sono quindi i diseredati cresciuti negli
scantinati bui, braccati dall’odio antisemita a costruire la patria di
benessere e libertà. Laggiù rinascono anche nei corpi. Non più
mendicanti curvi, pallidi, macilenti, con gli occhi pieni di vergogna,
ma abbronzati, forti, virili, sani, «sicuri di sé», finalmente
orgogliosi del proprio ebraismo, si compiace di sottolineare Herzl.La
«Nuova società» è giusta («il singolo non viene stritolato dagli
ingranaggi del capitalismo né decapitato dal livellamento socialista»),
rifiuta la politica professionista («una malattia che siamo riusciti a
evitare»), pensando a cariche solo onorarie, affidate a persone
meritevoli sottraendole agli «arrivisti». C’è la proprietà privata, ma
disprezza il denaro, idolatrato come un vitello d’oro dai borghesi fine
secolo. Offre alle donne diritto di voto e parità nei compiti, nei ruoli
sociali. Promuove l’istruzione gratuita, in modo che tutti partano alla
pari nella gara della vita, e l’agonismo dello sport (cricket, calcio,
canottaggio) perché allenare il corpo serve a foggiare lo spirito. E
crede soprattutto nella volontà (il sottotitolo del romanzo è
programmaticamente «Se lo volete non è una favola»), nell’intelligenza,
nell’entusiasmo, nella ragione unica vera religione per un ebreo che si
riconosce laicamente nella tradizione degli avi.Herzl romanziere
ha previsto ogni dettaglio del nuovo Israele. Nel suo messianesimo
laico immagina una società libera, tollerante, cosmopolita che
coinvolgerà anche gli arabi. Prevede che i palestinesi vendano
entusiasti pezzi di deserto, paludi, tuguri che non valevano niente
pensando a un buon affare. E di fatto così accadde con i primi arrivi.
Ma inciampa in un eccesso d’ottimismo. Quando uno dei protagonisti
chiede a un abitante locale: «Siete davvero strani voi musulmani! Non
considerate questi ebrei degli intrusi?», ottiene una risposta che suona
un po’ stonata col senno di poi: «Gli ebrei ci hanno arricchito, perché
dovremmo avercela con loro? Vivono con noi come fratelli, perché non
dovremmo amarli?». L’umanità ci mette del suo a guastare i romanzi.http://www.lastampa.it/
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