Francesco Lucrezi, storico, http://www.moked.it/
venerdì 19 ottobre 2012
Al ripugnante fenomeno del
cd. negazionismo, considerato soprattutto sul delicato terreno dei
possibili strumenti legali di contrasto esperibili nel quadro di uno
stato di diritto (che, com’è noto, avrebbe nel diritto della libertà di
espressione uno dei suoi fondamentali pilastri) ha dedicato di recente
un interessante e acuto studio Daniela Bifulco, giurista raffinata e
particolarmente sensibile al tema della difesa dei diritti umani e, in
generale, della necessaria e possibile etica del diritto nel mondo
moderno (la, in particolare, come curatrice dell’edizione italiana del
fondamentale saggio di Antoine Garapon Chiudere i conti con la storia.
Colonizzazione, schiavitù, Shoah, Raffaelo Cortina, Milano, 2008):
Negare l’evidenza. Diritto e storia di fronte alla “menzogna di
Auschwitz” (Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 124). “Val la pena di
chiedersi – nota l’autrice, nell’introduzione al saggio - cosa spinga
un ordinamento giuridico a punire, addirittura con la privazione della
libertà personale, chi osi negare il fatto che un evento storico sia
effettivamente avvenuto, sacrificando così vistosamente la libera
espressione del pensiero, ovvero il bene che, a partire dal
consolidamento dello Stato liberale di diritto, ha fornito linfa e
sostanza primaria al costituzionalismo”. “L'unica certezza – aggiunge
l’autrice - è che quando il diritto pretende di ‘dettar legge’ a
proposito di eventi storici, e del correlativo ‘dovere di memoria’,
rischia sempre di entrare in scena con la stessa grazia di un elefante
in una cristalleria: tra una trovata maldestra e l'altra, le decisioni
di legislatori e giudici daranno senz'altro adito a critiche più o meno
argomentate, più o meno condivisibili”.Condividiamo i dubbi della Bifulco, che continuano a percorrere le
pagine del volume, nel quale la legislazione europea e alcuni dei più
interessanti e controversi casi giudiziari in materia sono esaminati in
una sintesi particolarmente lucida e chiara, che rende il volume, oltre
che di grande interesse scientifico, anche avvincente nella lettura.Per quanto riguarda la mia opinione, ho già avuto modo, su queste
colonne, di soffermarmi sul tema. Quel che penso si può sintetizzare
essenzialmente in tre punti:1) Negazionismo e revisionismo non hanno nulla, ma proprio nulla a che
vedere con la libertà di opinione. O meglio, sono ad essa collegati
nell’identico modo in cui si ponga il problema della libertà di
espressione di chi dica: “mandiamo gli ebrei ai forni, oggi”. Chi dice
“nessuno li ha mandati ieri” dice esattamente la stessa cosa. Se si
ritiene che la prima asserzione abbia libertà di essere formulata, si
può logicamente difendere anche la seconda, altrimenti no. Come ho già
spiegato, il nome più corretto del negazionismo sarebbe
“asserzionismo”: un neologismo che mi piacerebbe prendesse piede. Gli
‘asserzionisti’, nel negare ciò che è accaduto, forniscono la più
evidente riaffermazione storica di quella Shoah che, negando,
ripropongono come valore. Non è vero che i nazisti erano quel che si
dice, ma per fortuna ci siamo noi. Secondo le parole di Pierre
Vidal-Naquet, riportate in epigrafe dalla Bilulco: “Disseppellire i
morti per colpire i vivi”.2)Mandare gli asserzionisti in galera sarebbe controproducente, perché
gli si farebbe un grande regalo. Sarebbero capaci di corrompere i
giudici per essere mandati un paio di giorni al fresco, per poi uscire
come eroi.3) Quello che non si può invece assolutamente tollerare è che gli
asserzionisti diffondano le loro maleodoranti idee nelle scuole e nelle
Università. Non dentro le patrie galere, quindi, ma, almeno, fuori
dalle aule, dove fanno altrettanto danno dei maestri pedofili o
spacciatori di droga.
Francesco Lucrezi, storico, http://www.moked.it/
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