Unparagone istruttivo
Di Riccardo Dugulin, http://www.israele.net/
Paragonare fra loro soggetti internazionali venuti alla ribalta in
diversi periodi storici costituisce certamente un esercizio rischioso.
Il numero delle variabili che li differenziano l’uno dall'altro è
talmente elevato che i due termini di paragone possono apparire così
diversi da rendere ogni considerazione completamente futile. D’altra
parte, i responsabili politici e gli analisi hanno bisogno di un qualche
quadro intellettuale entro cui elaborare una coerente linea di pensiero
da applicare ai casi impellenti.Per questo il dibattito in corso circa il rischio che l’Iran acquisisca
armamenti nucleari si incentra spesso sui paragoni storici. Ed è chiaro
che le considerazioni sulla minaccia che l’Iran porrebbe a Israele e al
Medio Oriente, e sulle misure che dovrebbero essere adottate per
impedire che la Repubblica Islamica raggiunga quel punto di non ritorno,
sono influenzate dal modo in cui i commentatori percepiscono tale
minaccia.Quando si cerca di esaminare l’Iran come un soggetto razionale o
irrazionale, i precedenti che più comunemente vengono presi in
considerazione sono l’Unione Sovietica, la Cina maoista e la Corea del
Nord. Usualmente le risposte a questi paragoni vanno da “nessuno di
questi soggetti ha agito in modo irrazionale, dunque anche l’Iran
seguirà lo stesso comportamento”, fino a “l’Iran è un caso eccezionale
dal momento che si regge su un’ideologia particolare, diversa da quella
di tutti e tre quegli esempi”.Su un piano puramente materiale e strategico, si dovrebbe fare un quarto
confronto: quello fra l’attuale regime rivoluzionario islamico in Iran e
il Giappone imperiale degli anni ’30 e ’40. Questo argomento non si
basa soltanto sul fatto che il Giappone condivideva con la Germania
nazista e l’Italia fascista una dottrina che, in una certa misura, è
simile a quella che permea oggi il discorso pubblico in Iran. Le
analogie fra i due casi poggiano su un insieme di altri quattro criteri
connessi fra loro.Il primo principio si potrebbe definire il culto della nazione. Oltre a
un genere radicalmente estremista di conservatorismo sciita, il
presidente Mahmud Ahmadinejad e le forze armate fondano la loro base di
appoggio su un discorso fortemente nazionalista. La superiorità della
cultura iraniana sul resto della regione sta al centro di ogni pubblica
manifestazione di forza. L’indipendenza dell’Iran non è collegata
soltanto a un sentimento di sovranità, ma anche a un sentimento di
superiorità che va di pari passo con la particolare concezione che la
classe dirigente ha dei propri doveri religiosi. Qualcosa di analogo si
può dire del Giappone imperiale, dove la cultura del Bushido (il codice
morale de samurai) e la totale devozione alla nazione portò la
popolazione giapponese ad accettare sacrifici inimmaginabili. Non è un
caso se il Giappone è stato il primo paese industrializzato ad adottare
gli attacchi suicidi di massa nello sforzo di spostare gli equilibri sul
campo di battaglia, e se gli iraniani sono stati i primi a utilizzare
tale tecnica nella guerra contemporanea.Il fatto che il Giappone non avesse l’arma atomica negli anni ’40 non è
molto importante, ai fini di questa analisi, giacché a quell'epoca
nessun attore internazionale la possedeva. Quello che conta è
considerare come il Giappone reagì di fronte alle superiori potenze
militare del suo tempo, vale a dire l’Impero Britannico e gli Stati
Uniti d’America. Oggi l’Iran affronta Israele e Stati Uniti, paesi
potenzialmente in grado di distruggere le strutture vitali della
Repubblica Islamica, così come il Giappone affrontò i suoi due nemici
negli anni ’40 e finì con l’uscirne distrutto. Ciò che interessava al
Giappone, e che interessa all'Iran, non è la natura razionale del
nemico, bensì la sua effettiva determinazione ad impegnarsi in un vero
combattimento. Oggi è chiaro che gli Stati Uniti non intendono agire
contro l’espansione regionale di Tehran, e che Israele da solo ha
risorse limitate per farlo. Per questo, passo dopo passo, l’Iran sta
preparando una forza militare, convenzionale e non convenzionale, che in
un successivo scontro gli garantirà un relativo vantaggio.Il terzo punto è rintracciabile nel regime delle sanzioni. Come il
Giappone negli anni ’30, oggi l’Iran gioca la carta del paese
marginalizzato e isolato. Il regime delle sanzioni danneggia la sua
economia e le sue capacità commerciali, ma non mina la vera natura della
minaccia: la volontà del regime. Negli anni ’40 una delle ragioni che
spinse il Giappone a lanciarsi in guerra contro gli Stati Uniti fu
quella di espandere e salvaguardare un’economia afflitta dalle sanzioni,
l’esatto contrario di ciò che le sanzioni si ripromettevano. Oggi le
sanzioni contro l’Iran stanno ulteriormente alimentando le sue politiche
ultra-estremiste, senza mettere in sicurezza la regione. Se non sono
accompagnate da una minaccia militare credibile, le sanzioni possono
davvero sortire l’effetto opposto a quello per cui vengono applicate.L’ultimo punto è la natura dei diretti vicini di entrambi i paesi. In
Giappone, la Cina veniva considerata la naturale estensione del suo
territorio, un po’ quello che sono per l’Iran le regioni sciite
dell’Iraq. Il resto dell’Oceano Pacifico presentava all’epoca ben poche
aree di autentica resistenza militare, come oggi il Golfo Arabico per
l’Iran. In uno slancio verso l’espansione regionale, aperta o
mascherata, l’Iran troverebbe soltanto le risorse militari americane in
grado di contrastarlo.Assodato che ogni paragone genera una serie di generalizzazioni e
comporta sempre un grado di superficialità, quello fra il Giappone
imperiale e l’Iran islamico è abbastanza forte da suggerire
un’importante conclusione: anche i soggetti più razionali, come sembrava
il Giappone degli anni ’30, possono imbarcarsi in politiche del tutto
irrazionali in un periodo in cui l’equilibrio di forze percepito sembra
pendere a loro favore. Come ha dichiarato Anthony Cordesman, del Center
for Strategic and International Studies, l’attuale crisi iraniana
presenta “le stesse condizioni che contribuirono ad innescare la seconda
guerra mondiale”.In quest’ottica, il disaccordo fra Stati Uniti e Israele (per non dire
dell’Europa), unito a un prolungato dibattito su un eventuale raid e
all'aumento degli effetti del regime delle sanzioni sono tutti fattori
che stanno rafforzando il discorso nazionalista-islamista. La vera
minaccia a medio termine è che l’Iran si lanci in un tentativo di
assumere il controllo del Medio Oriente con una Pearl Harbor del XXI
secolo.(Da: YnetNews, 24.9.12)
Nessun commento:
Posta un commento