venerdì 30 novembre 2012
Il 29 novembre 1947 è stata una data storica del ’900: in quel
giorno l’assemblea generale dell’Onu votò per la terza e ultima volta la
risoluzione 181 sulla spartizione della ex Palestina mandataria
britannica. In quel freddo pomeriggio di novembre fuori dal palazzo
grigio di Flushing Meadow, nel Queens, New York, una folla di persone
era radunata ad attendere il risultato del voto; nel resto del mondo,
migliaia di persone erano incollate alla radio a seguire la cronaca in
diretta dei lavori.E così tutti a contare, uno dopo l’altro, i “si”, “no”, “astenuto”…
Per essere approvata infatti la risoluzione doveva ottenere due terzi
dei voti a favore – e per ben due volte, a settembre, non li aveva
ottenuti. Perciò quell’ennesima conta parve interminabile. A presiedere
l’assemblea il brasiliano Oswaldo Aranha, accanto a lui il segretario
generale dell’Assemblea, il norvegese Trygve Lie.Quando fu il turno della Francia, i nervi erano a fior di pelle: il suo
voto era il più atteso ed incerto. Tutti si aspettavano un’ennesima
astensione. Così quando giunse il suo “si”, i sionisti seduti nella
galleria della sala, esplosero in un grandioso applauso di sollievo e
gioia. Il presidente richiamò l’ordine, ricorda David Horowitz, delegato
sionista all’assemblea, e allora “l’emozione divenne quasi un dolore
fisico”. Era il momento del verdetto finale: 33 si, 10 no, 9 astenuti.
La mozione era passata. In quel momento ricorda ancora Horowitz
“sentimmo battere le ali della storia su di noi”. La gioia esplose
dentro la sala, per le strade di New York e per quelle di mezzo mondo. A
Gerusalemme Golda Meir si rivolse alla folla dal balcone del palazzo
dell’Agenzia ebraica e disse: ”Per duemila anni abbiamo aspettato la
nostra liberazione. Ora che è qui è così grande e meravigliosa che va
oltre le parole umane. Ebrei, gridò, Mazel tov! ”I rappresentanti degli stati arabi furono scioccati da quel
risultato: i delegati di Siria, Libano, Iraq, Arabia Saudita, Yemen ed
Egitto, scrisse poi il segretario generale TrygveLie, ”si alzarono e
uscirono dalla sala dell’Assemblea.”L’alto Comitato Arabo trasmise subito al segretario generale Lie un
comunicato con cui informava che gli arabi di Palestina “non
accetteranno mai alcuna potenza che li costringa a rispettare la
spartizione”. L’unico modo per dare corso alla spartizione, si leggeva,
sarebbe stato quello di cancellare tutti quanti loro – uomini, donne e
bambini.I chierici del seminario islamico Al-Azhar del Cairo invocarono a loro
volta un “jihad mondiale in difesa della Palestina araba”, scrive ancora
Horowitz,La mattina dopo in Palestina esplosero i primi colpi in quella che
sarebbe poi stata la Guerra di Indipendenza di Israele o, per il mondo
arabo, “Nakba” – la catastrofe.Oggi, 29 novembre, a 65 anni da quella storica data, la Palestina si
trova ad attendere dalle Nazioni Unite un nuovo voto, quello che
dovrebbe sancire il suo ingresso all’ONU come Stato non membro
osservatore.La portata del voto di oggi è senza dubbio minore di quella di 65 anni
fa, non solo per lo status che i palestinesi acquisterebbero, ma anche
per le dimensioni dello Stato che verrebbe loro riconosciuto – inferiore
a quello rifiutato nel 1947.Lo stesso Abu Mazen ha ammesso l’anno scorso in un’intervista alla TV israeliana, che il rifiuto del 1947 fu “un errore”.La Francia, il cui voto nel 1947 fu determinante per Israele, oggi,
lo ha già annunciato, voterà a favore della Palestina. Lo stesso faranno
Russia, Danimarca e Norvegia. La Germania è schierata sul fronte del
no, mentre sul voto italiano, come su quello inglese, regna ancora
l’incertezza. Ciò che è evidente e certo è che l’Europa unita di oggi si
presenterà a questo appuntamento ancora una volta priva di una idea di
politica estera e quindi di un voto comune.http://www.mosaico-cem.it/
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La storia questa sconosciuta
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