mercoledì 28 novembre 2012
Cortei
Mi sembra che non sia stato adeguatamente commentato quello che mi
pare un fenomeno particolarmente triste, inquietante e pericoloso dei
tempi che stiamo vivendo, ossia il dilagare
dell’antisemitismo-antisionismo (anche nelle sue forme più estreme e
volgari, dagli striscioni invocanti la distruzione di Israele alle
bandiere bruciate alle invettive contro le sinagoghe) nei cortei
studenteschi. Episodi che tornano a ripetersi con cadenza ormai
automatica, ogni volta che i giovani muovono in marcia su temi che
nessuno sa quanto c’entrino con gli ebrei e Israele: la crisi economica,
lo stato sociale, le tasse universitarie, la disoccupazione. Spesso a
urlare con la faccia feroce contro i luoghi di culto ebraici sono
ragazzi di quindici, quattordici, tredici anni, che si premurano di
uscire da casa con grandi bandiere palestinesi nascoste negli zaini, da
cacciare e sventolare con rabbia una volta raggiunti i covi dell’odiato
nemico. È un rito che sta prendendo sempre più piede, tanto che è ormai
raro assistere a un corteo studentesco, organizzato per qualsiasi
motivazione, privo di esibizioni di aggressività anti-israeliana e/o
antisemita. Al punto che le autorità della Comunità ebraica romana hanno
dovuto valutare se chiedere ufficialmente alla Prefettura che il Tempio
maggiore sia sempre tenuto lontano dai percorsi dei cortei
studenteschi. Che giorno triste per la democrazia, la civiltà italiana
sarà quello in cui ciò dovrà accadere. Triste, tristissimo.Minoranze, si dirà. Ma minoranze da cui mai, proprio mai, le maggioranze
sembrano prendere minimamente le distanze. E che non risultano mai
stigmatizzate da nessun politico, né di destra né di sinistra, nessun
intellettuale, nessun uomo di Chiesa. Le uniche occasioni in cui si
sentono delle critiche sono gli episodi di violenza fisica, se ci sono
le vetrine rotte o auto sfasciate, altrimenti niente. Anzi, la
mobilitazione studentesca è sempre presentata come un fenomeno positivo,
un segno di partecipazione e di vivacità giovanile. I giovani sono “la
generazione tradita”, ma finalmente “si sono svegliati”, “si fanno
sentire”, “si riappropriano del loro futuro” ecc. Quante volte abbiamo
letto o sentito queste frasi? E, quanto alle loro intemperanze, si legge
spesso che i ragazzi sfogano la loro rabbia contro i “simboli del
potere”: le sedi del Parlamento, del governo, le banche… E le sinagoghe.Sarebbe bene che tutti, grandi e piccoli, andassero a ripassarsi un po’
di storia. Ricorderebbero, così, o apprenderebbero, che non sempre,
nella storia, le masse riversatesi per strada sono state portatrici di
valori di civiltà. Che non c’è regime dittatoriale, oscurantista o
sanguinario, del presente o del passato, che non abbia fatto leva
sull’entusiasmo e l’emotività giovanile, sulla naturale attitudine dei
ragazzi a muoversi sull’onda dei sentimenti, delle emozioni, delle
pulsioni istintive, non filtrate dal faticoso, noioso esercizio della
ragione. Avrebbero modo di riflettere sul fatto che uno slogan urlato è
più facile, più diretto, più ‘giovanile’ di un ragionamento, ma può
essere più stupido, più vuoto, più pericoloso.L’esigenza principale dei giovani, disse Benedetto Croce, è quella di
crescere. Si cresce in tanti modi, in tanti momenti: quando si impara a
contare fino a tre prima di parlare; quando si rifugge dalla logica del
branco; quando ci si rifiuta di essere un semplice numero tra mille;
quando si riconosce, senza vergogna, di potere sbagliare, o di avere
sbagliato.Ma il problema è che non sempre si vuole crescere. Rimanere ragazzini è molto più comodo.Francesco Lucrezi, storico,http://moked.it/
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