
mercoledì 28 novembre 2012

Sono
rientrato a casa senza accorgermi del viaggio; questa settimana non mi
sono accorto nemmeno del controllore che mi rilasciava il biglietto e
quasi quasi non scendevo dal treno. Ero troppo concentrato su L’amata.
Lettere di e a Elsa Morante appena uscito da Einaudi, a cura di Daniele
Morante. Considero la Morante la più grande scrittrice ebrea del
Novecento. Impeccabile secondo la Halachà, il giudizio aveva bisogno di
una conferma, che viene leggendo questo volume. Con Menzogna e
sortilegio, L’isola di Arturo e soprattutto La storia si può dire che
la Morante, figlia della maestra ebrea Irma Poggibonsi, abbia sempre e
soltanto ricamato sul tema della matrilinearità. Quando un mio studente
mi chiede lumi su questo delicato problema, suggerisco sempre di
leggere due cose: le lucide pagine di Rav Riccardo Di Segni sul
“mistero della matrilinearità” e un romanzo a scelta della Morante. Il
reticolo epistolare ora consultabile consente di capire la forza
narrativa di questo tema ebraico coinvolga altri autori che furono
nella condizione della Morante. Un giorno andrà studiato come e quanto
sia fondamentale il nostro debito, come lettori, verso i poeti della
matrilinearità (e non solo ai poeti: si pensi, per il giornalismo e per
la storia del diritto a figure come Enzo Forcella, Arturo Carlo
Jemolo), ma soprattutto, si pensi a Umberto Saba, che è stato colui che
ha guidato la Morante nella esplorazione della regione delle Madri. Il
30 giugno 1953, letto Lo scialle andaluso, Saba scriveva alla Morante:
“Non è di letteratura che volevo parlarti. Tu non ti sei identificata
affatto (come credi) al fanciullo Andrea, ti sei identificata e
PROFONDAMENTE alla madre siciliana. E’ in questo eterno rapporto tra la
madre e il fanciullo che devi cercarti e devi cercare dalla parte delle
madri”.Alberto Cavaglion,http://www.moked.it
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