
venerdì 7 dicembre 2012

Le festività ebraiche, è ben
noto, diventano spesso occasione per esplorare, perpetrare, gustare
sapori e tradizioni culinarie che affondano le radici nei secoli.
Hanukkah non fa certo eccezione, e la conseguenza naturale della
centralità dell’olio nella celebrazione della festa è stata un fiorire
di leccornie rigorosamente fritte, in versione dolce e salata: ci sono
le levivot, succulente frittelle, le sufganyot, bomboloni ripieni di
crema, le latkes, imperdibili cerchi di patate grattugiate e speziate.
Sicuramente una buona notizia per il palato, meno buona per la
bilancia. Ma che dire dei suoi risvolti per il cervello? Può mai una
tradizione gustosa e calorica assurgere a cibo per la mente, oltre che
per il corpo? Ebbene, da 66 anni, la risposta è sì. Almeno nel mondo
anglosassone, e in particolare negli Stati Uniti.Era il 1946, quando, alla prestigiosa Università di Chicago, si celebrò
per la prima volta il dibattito Latkes v. Hamantash (i cappelli di
Haman, tipici biscotti triangolari che si consumano a Purim, più noti
in Italia come orecchie di Haman). Un dibattito oggi già diffuso in
decine di università in America, incluse Harvard, MIT e Princeton.Il dibattito è un’attività extrascolastica molto in voga nelle scuole
americane. Includere nel curriculum la partecipazione a un Debate Club
è un punto a favore per dimostrare la propria capacità oratoria,
l’attitudine alla leadership, la flessibilità mentale. Il Latkes v.
Hamantash Debate fu ideato dalla Hillel Foundation, e sponsorizzato da
rav Maurice Pekarsky in un’epoca in cui l’appartenenza all’ebraismo era
considerata qualcosa da non pubblicizzare, come spiega Ruth Fredman
Cernea, curatrice del libro The Great Latke-Hamantash Debate, che
raccoglie le perorazioni proferite nel corso dei decenni a favore di
frittelle di patate e biscotti “La vita accademica scoraggiava il
mettere in mostra pubblicamente l’identità ebraica. L’evento offriva ai
professori una rara occasione di rivelare la propria anima ebraica
nascosta e di iniettare un po’ di umorismo nella serietà della vita
universitaria”.Ma attenzione a ritenere il dibattito una presa in giro. Le orazioni
rispondono alle più importanti regole della logica, utilizzano un
linguaggio elevato, citano filosofi e autori.“Qui ci occupiamo della proposizione che non soltanto le latkes
esistono, ma cheesse debbano esistere, e che non potrebbero non essere
altro che latkes – spiegò per esempio nel 1976 Ted Cohen, oggi
professore di filosofia dell’Università di Chicago, nel paragrafo della
sua dissertazione intitolato La metafisica dell’essere: le latkes come
sostanza - Il nostro problema non è certo la prova di ciò.
Questa proposizione è incredibilmente semplice da provare. Tuttavia è
impossibile da affermare. Non esiste un modo di formulare la necessaria
esistenza delle latkes. Noi ci cimentiamo contro l’Idea della Ragione,
che non ha adeguata espressione verbale. Wittgenstein una volta
affrontò il problema e poi se ne allontanò, dicendo ‘Wovon man nicht
sprechen kann, daruber, muss man schweigen’. (Tractatus
Logico-Philosophicus, nel finale). Letteralmente ‘Se non c’è niente da
dire, siediti e gustati uno knish (uno snack ndr)”. Ma anche una
tradizione apprezzata e consolidata come il Latkes v. Hamantash non è
esente da suoi problemi: è di pochi giorni fa la notizia pubblicata dal
giornale Forward che il dibattito di Chicago, che si è sempre tenuto il
martedì prima del Giorno del Ringraziamento, è stato quest’anno
rimandato. All’origine della decisione dispute fra le associazioni
ebraiche nel campus per chi debba effettivamente organizzarlo.Rossella
Tercatin - http://www.moked.it/
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