giovedì 24 gennaio 2013
Elezioni in Israele / Da Lapid a Netanyahu, le pagelle dei protagonisti
Vincitori e
vinti. Eccoli. Mentre in queste ore il premier uscente Benjamin
Netanyahu cerca di attirare a sé Yair Lapid. E mentre un Paese si chiede
ancora cosa sia successo, martedì 22 gennaio, in questo pezzo di terra
che tutti davano drammaticamente schierato alla destra della destra. E
che, invece, s’è scoperto uno Stato più moderato. Forse più razionale di
quanto si sia scritto e detto, filmato e dipinto in queste settimane. I
voti, allora.
Voto 10
– Al popolo israeliano. Andato a votare in massa, nonostante i sondaggi
– tutti, nessuno escluso – davano per stravincente la destra e
l’estrema destra. «Oggi si celebra la democrazia», ha detto il
presidente Simon Peres di prima mattina, mentre inseriva nell’urna il
suo voto. Un messaggio che la popolazione ha recepito. E messo in
pratica
Voto 9
– A Yair Lapid , 49 anni, ex conduttore di tg. Perché in
pochi mesi ha tirato su un partito moderato. Con le idee chiare su
alcune cose (un po’ confuse su altre). E con l’obiettivo, dichiarato, di
scardinare il sistema. Cosa che ha confermato nel discorso di
ringraziamento martedì notte. Discorso che, va detto, si merita un 8,5
per il parallelo con la carriera (politica) del padre. E per quel
continuo ripetere «Io non dimenticherò il peso sulle spalle che questo
voto mi ha dato». Parole vere o semplice demagogia. Lo vedremo nei
prossimi mesi.Voto 8
– Ai cronisti israeliani. Perché già alle 5 del pomeriggio, cinque ore
prima della chiusura dei seggi, avevano capito e intuito che ci sarebbe
stata una grande sorpresa. Aiutati, bisogna dirlo, dallo staff di Yesh
Atid (voto 7,5) che per prima ha detto «Siamo il
secondo partito». Non solo. Giornalisti di radio e tv, siti web e
giornali hanno coperto l’evento in tutti i modi possibili: dai taccuini
alle videocassette, dagli smartphone ai social networkVoto 7,5
– A Naftali Bennett (foto sotto). Il leader – religioso e milionario –
di Jewish Home / National Union s’è scrollato di dosso l’aria del ricco
che non ha nulla da perdere. Ha mobilitato migliaia di persone.
Soprattutto, è stato chiaro si una cosa: «niente processo di Pace con i
palestinesi. Comunque la si pensi – e qui, in questo blog, si preferisce
la sana convivenza tra popoli – un segno di chiarezza su un argomento
lasciato per troppi anni alle ambiguità e agli interessi di brevissimo
termine.
Voto 7
– A Shelly Yechimovich. Passata indenne tra le sabbie mobili delle
primarie del partito laburista, ha portato la formazione ad aumentare i
seggi alla Knesset. Più forte di tutti, la Yechimovich. Anche di quei
suoi compagni di partito che negli ultimi mesi hanno passato più tempo a
cercare di destabilizzarla che a darle una mano in campagna elettorale
Voto 6
– A United Torah Judaism e Shas. Le due formazioni ultraortodosse da
tre appuntamenti elettorali di fatto non perdono seggi. Nonostante
l’altissima concorrenza, soprattutto quest’anno, di formazioni che hanno
pescato nel settore ultrareligioso. Se UTJ aveva conquistati 6 seggi
nel 2006 e 5 nel 2009, il 22 gennaio ne ha guadagnati 7. Destino simile
anche per Shas: 12 parlamentari nel 2006, 11 quattro anni fa e anche
oggi.Voto 5
– A Tzipi Livni. Non ha ancora ritrovato sé stessa. Quella grinta che
tutti hanno visto, che l’ex premier Ariel Sharon aveva apprezzato e
valorizzato, che le donne hanno sostenuto. Non solo per affinità di
genere. Ma anche perché, pochi anni fa e per la seconda volta, una donna
poteva davvero aspirare a (ri)fare la storia d’Israele. Esattamente
come un’altra grande donna: Golda Meir. E invece, la Livni s’è persa.
Prima nelle primarie di Kadima (voto 2, come i seggi
che è riuscita ad agguantare per pochi centinaia di voti), sconfitta da
Shaul Mofaz. Poi in queste elezioni, con i soli 6 seggi presi con il
movimento Hatnuah. Messi insieme – Kadima e Hatnuah – racimolano 8
seggi. In tre anni ne hanno persi 20
Voto 4
– Al nuovo volto della Knesset. Spaccata a metà. Sessanta seggi ai
partiti religiosi e di destra. Sessanta seggi a quelli di centro,
sinistra e arabi. Una situazione complicata. E delicata. Che può portare
a lunghe consultazioni, a trattative al ribasso e degradanti pur di
arrivare a formare un governo.Voto 3
– Alle formazioni arabo-israeliane. Incapaci di fare «sistema». Di
mettersi insieme in un unico listone. Di creare reti e connessioni con
le formazioni di centro e sinistra. Segno di poca lungimiranza politica e
sociale. Ma anche simbolo di una fascia della popolazione israeliana –
il 20% circa del totale – frammentata, dilaniata, con interessi e scopi
diversi. Eppure, insieme, i tre partiti contano 12 seggi, due più del
2006, uno più del 2009.Voto 2
– Agli istituti di sondaggio. Hanno azzeccato il primo partito. Cosa
che, va detto, non era molto difficile. Hanno sbagliato – molto – sul
resto. Soprattutto, hanno quasi dimezzato i seggi poi vinti da Yesh
Atid. Segno che nemmeno loro, gli esperti, hanno colto il grande
cambiamento nella mentalità di centinaia di migliaia di elettori.Voto 1
– A Benjamin Netanyahu e ai suoi consiglieri più stretti. Non solo per
come hanno gestito la «campagna di Gaza», tanto che la popolazione
continua a chiedersi a cosa sia servita. Ma anche perché non sono stati
in grado di intercettare il malcontento della popolazione per
l’andamento economico del Paese, per lo stallo dei negoziati, per la
mancanza di entusiasmo e riforme incisive. Per non parlare del ticket
con gli estremisti di Israel Beitenu di Avigdor Lieberman (voto 1
anche per loro): doveva strizzare l’occhio agli ultraortodossi. Ha
finito con lo spaventare gli elettori di sinistra astenuti e a portarli
alle urne. http://falafelcafe.wordpress.com/
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