lunedì 28 gennaio 2013
Sostituendo Hillary Clinton alla guida
della diplomazia statunitense, il senatore democratico John Kerry
(candidato alla presidenza nel 2004) si trova di fronte uno scenario
difficilissimo da districare. L’Iran e il Medio Oriente sono i dossier
più urgenti.Per ora, nelle audizioni a Camera e Senato, Kerry si è concentrato
soprattutto sul Medio Oriente. Il suo primo obiettivo annunciato è il
ritorno al negoziato fra Israele e Palestina, interrotto sin dal 2010.
Per ora non ha rivelato quali siano le linee-guida della sua strategia.
Si può già intuire, però: tentare di far accettare a Israele la
legittimità dei governi islamisti. Impresa disperata, considerando che
sono proprio gli islamisti (i Fratelli Musulmani e la loro emanazione
palestinese: Hamas) che non accettano l’esistenza stessa dello Stato di
Israele.L’Egitto gioca un ruolo chiave nella mediazione ed è governato da un
presidente, Mohammed Morsi, esponente di punta dei Fratelli Musulmani.
Kerry ha dimostrato, nella pratica, non solo di sostenere l’alleanza con
l’Egitto (a cui gli Usa stanno vendendo altri caccia F-16), ma di
volere una partnership con il partito di Morsi. Ai tempi delle prime
libere elezioni egiziane, Kerry si è recato in Egitto per offrire la sua
consulenza al partito islamista. A cosa mira? L’amministrazione Obama
ha sempre sperato che in Egitto e altrove nel mondo musulmano, si
ripetesse l’esperienza della Turchia, dove è al governo un partito
islamista democraticamente eletto che non ha messo in discussione
l’alleanza con gli Stati Uniti, né ha trasformato il proprio Paese in
una teocrazia. Con l’Egitto, però, non è detto che si ripeta questo
“miracolo”, più unico che raro nella storia del mondo islamico. Il
Cairo, infatti, non ha mai avuto una storia di democrazia e laicismo
alle sue spalle. E, quanto alla politica estera, la vittoria di Libertà e
Giustizia è l’espressione di una gran volontà di rivincita su Israele.
Solo Morsi, dopo tre decenni di pace, è pronto a rimettere in
discussione la lunga tregua con lo Stato ebraico. Il sostegno che Kerry
darà ai Fratelli Musulmani, insomma, rischia di compromettere
l’obiettivo finale, quello della pace in Medio Oriente.La posizione di Kerry sull’Iran è l’opposto di quella sull’Egitto.
Nella sua audizione al Senato, il nuovo segretario di Stato ha precisato
che mira a “prevenire” e non a “contenere” l’atomica di Teheran.
Dunque: si useranno tutti i metodi possibili per impedire al regime
dell’ayatollah Khamenei di diventare una potenza nucleare. Ma è
possibile essere falchi con l’Iran e colombe con l’Egitto? I due Paesi,
benché ostili l’uno all’altro, soprattutto per motivi religiosi (il
primo è sciita, il secondo è sunnita) condividono sempre di più la loro
comune ostilità a Israele. Dopo decenni di chiusura, l’Egitto ha
iniziato a permettere all’Iran di attraversare con le sue navi il canale
di Suez. E Morsi ha dichiarato più volte di volersi riavvicinare al
regime di Teheran, sostenuto da gran parte dell’opinione pubblica
egiziana che lo ha votato. La politica di Kerry, insomma, rischia di
rivelarsi un boomerang, proprio per la sua sottovalutazione
dell’ostilità islamica a Israele. di Giorgio Bastiani http://www.opinione.it/
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