lunedì 7 gennaio 2013
Nugae - Life in stills
Per
chi si fosse perso nel numero incalcolabile di festival del cinema
sparsi in giro per il mondo e il calendario, settimana prossima inizia
il New York Jewish Film Festival, alla sua ventiduesima edizione. Fra i
film in concorso, il cui scopo è dipingere la realtà ebraica in ogni
sua sfumatura, uno in particolare ha già riscosso successo nelle sue
proiezioni precedenti, vincendo molti premi. Si tratta di Life in
stills, un documentario di circa un’oretta in ebraico e tedesco coi
sottotitoli in inglese, girato dalla giovane regista israeliana Tamar
Tal. Quella che si racconta è una di quelle tipiche storie dolciamare,
in cui si ride e si piange. I protagonisti sono Miriam Wissenstain,
arzilla novantaseienne che dalla morte del marito ne ha preso in
gestione il negozio di fotografie nel cuore di Tel Aviv, The Photo
House, e suo nipote Ben, che quando arriva una lettera che dà loro tre
mesi prima di essere sfrattati, si impegna ad aiutarla a salvare la
storica attività. E così al centro di quest’avventura si dipinge la
geniale relazione fra una nonna dal carattere forse non troppo
accomodante ma di certo davvero interessante e un nipote che piano
piano la scopre fino ad arrivare a conoscerla in profondità e, missione
impossibile, prova a smussarla. Dando vita a dialoghi veramente
surreali, in cui non si sa come Miriam ce l’ha sempre vinta, anche
quando Ben le fa notare che sarebbe meglio non insultare i clienti. Ma
al di là di questo, ciò che attira in un attimo l’attenzione non sono
le battute argute o la vicenda commovente, e nemmeno la
tenerissima foto della locandina con Ben e Miriam appoggiati
l’uno alla spalla dell’altro, ma proprio il titolo. Perché Life in
stills, vita in fotogrammi, significa che il lavoro di una vita sta nel
milione di negativi conservati nel negozio e che documentano la storia
di Israele praticamente dalle sue origini, ma anche che in generale in
un’immagine stampata su un pezzo di carta è davvero possibile toccare
un concretissimo frammento di se stessi, e raccogliendone tante si può
ricostruire la propria vita come un delicato castello. Perché in fondo
anche i ricordi non sono altro che piccole immagini, fotogrammi del
film di cui ognuno è regista.Francesca
Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF, http://www.moked.it
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