Obama ai palestinesi: accettare Israele
giovedì 28 marzo 2013
Nella raffica di notizie sulla movimentata visita di cinquant’ore di
Barack Obama in Israele è stato trascurato un cambiamento fondamentale
nella linea politica americana, ossia la richiesta avanzata ai
palestinesi di riconoscere Israele come Stato ebraico, che è stata
definita dal leader di Hamas Salah Bardawil «la dichiarazione più
pericolosa mai fatta da un presidente americano per quanto riguarda la
questione palestinese». Innanzitutto, qualche background: i documenti
fondanti di Israele miravano a rendere il Paese uno Stato ebraico. Il
sionismo moderno è cominciato, di fatto, con la pubblicazione nel 1896
del libro di Theodor Herzl, "Der Judenstaat" ("Lo Stato ebraico").La Dichiarazione di Balfour del 1917 vede con favore la costituzione
di «un focolare nazionale per il popolo ebraico». La Risoluzione 181
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1947, che divide la
Palestina in due, menziona il termine Stato ebraico trenta volte. Nella
Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato di Israele del 1948 si cita
cinque volte lo Stato ebraico e si legge «noi (… ) dichiariamo la
fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di
Stato d’Israele». A causa di questo stretto legame, quando la diplomazia
arabo-israeliana cominciò a fare sul serio negli anni Settanta, la
formula Stato ebraico sparì in gran parte alla vista: tutti si
limitavano a presumere che il riconoscimento diplomatico di Israele
significasse accettarlo come Stato ebraico. Solo negli ultimi anni gli
israeliani si sono resi conto che così non era: quando gli
arabi-israeliani sono arrivati ad accettare Israele rifiutandone però la
natura ebraica. Ad esempio, un’importante pubblicazione del Mossawa
Center di Haifa, "La visione futura degli arabi-palestinesi in Israele",
propone che il Paese diventi uno Stato neutrale a livello religioso e
una patria congiunta. In breve, gli arabi-israeliani sono arrivati a
vedere Israele come una variante della Palestina.Presa coscienza di questo cambiamento linguistico, ottenere
l’accettazione di Israele da parte araba non bastava più; gli israeliani
e i loro amici hanno capito che dovevano insistere sull’esplicito
riconoscimento arabo di Israele come Stato ebraico. Nel 2007, il premier
israeliano Ehud Olmert annunciò che la diplomazia avrebbe subito una
battuta d’arresto se i palestinesi non lo avessero fatto: «Non intendo
in alcun modo trovare un compromesso sulla questione dello Stato
ebraico», egli rimarcò. L’Autorità palestinese respinse prontamente e
all’unanimità questa richiesta. Il suo leader, Mahmoud Abbas replicò
così: «In Israele, ci sono ebrei e altri che vivono lì. Noi siamo
disposti a riconoscere questo e nient’altro». Quando Binyamin Netanyahu
succedette a Olmert come premier, nel 2009, egli ribadì questa richiesta
come condizione preliminare per avviare dei negoziati seri: “Israele si
aspetta che i palestinesi riconoscano innanzitutto Israele come Stato
ebraico prima di parlare di due Stati per due popoli”. I palestinesi non
solo si rifiutarono di cambiare idea, ma ridicolizzarono l’idea stessa.
E anche in questo caso, Abbas disse: «Che cos’è uno "Stato ebraico?"
Noi lo chiamiamo lo "Stato di Israele". Voi lo potete chiamare come
volete.Ma io non lo accetterò. (…) Non è compito mio (…) fornire una
definizione per lo Stato e ciò che esso contiene. Voi potete chiamarvi
Repubblica sionista, Repubblica ebraica, nazionale, socialista,
chiamatela come volete, non m’interessa». Solo sei settimane fa, Abbas
ha nuovamente stroncato il concetto di Stato ebraico. Il rifiuto
palestinese di riconoscere l’esistenza di uno Stato ebraico non potrebbe
essere più enfatico. Dal 2008, i politici americani, tra cui George W.
Bush e Obama, definiscono occasionalmente Israele lo Stato ebraico,
evitando deliberatamente di chiedere ai palestinesi di fare altrettanto.
In una dichiarazione tipica, Obama nel 2011 accennò all’obiettivo
diplomatico finale: «Due Stati per due popoli: Israele come Stato
ebraico e patria per il popolo ebraico e lo Stato di Palestina come
patria per il popolo palestinese». Poi, nel suo discorso pronunciato a
Gerusalemme la settimana scorsa, Obama ha improvvisamente e in modo
inaspettato accolto in toto la richiesta israeliana: «I palestinesi
devono riconoscere che Israele sarà uno Stato ebraico».Questa frase apre nuove e importanti strade e non può essere
facilmente annullata. Essa rende altresì possibile un’eccellente
politica, perché senza tale riconoscimento, l’accettazione di Israele da
parte palestinese è vana, limitandosi a indicare una sollecitudine a
chiedere al futuro stato di dominare “Israele” piuttosto che la
“Palestina”. Pur non essendo l’unico cambiamento nella linea politica
annunciata durante il viaggio di Obama (dire ai palestinesi di
rilanciare i negoziati senza porre precondizioni, evidenzia un altro
cambiamento), è il più importante perché contraddice fortemente il
consenso palestinese. Bardawil può esageratamente asserire che ciò
«dimostra che Obama ha voltato le spalle a tutti gli arabi»”, ma quelle
dieci parole di fatto stabiliscono una disponibilità a occuparsi della
questione centrale del conflitto. Esse probabilmente saranno il suo
contributo più importante, più durevole e più costruttivo alla
diplomazia arabo-israeliana.di Daniel PipesTraduzione di Angelita La Spada dal "Washington Times" http://www.opinione.it/
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