lunedì 15 aprile 2013


L'antisemita della classe accanto 
Caro Colombo, mi serve una spiegazione. Perché non sappiamo il nome della professoressa del liceo romano Caravillani che ha detto alla sua studentessa ebrea: "Se fossi stata ad Auschwitz, saresti stata più attenta"? Perché usare il riguardo dell'anonimato alla responsabile di un'affermazione crudele e violenta, aggravata dall'autorità di un docente? Flavia

Questa è una storia a due facce, in un mondo di confusione e delirio. Una faccia è quella triste e squallida della professoressa a cui viene in mente una simile affermazione, immensamente volgare e immensamente offensiva. Disturbano anche le giustificazioni. Come quella della preside Anna Maria Trapani (di lei almeno si sa il nome) che avrebbe detto una frase purtroppo priva di senso che non solo non scusa, ma rende più grave ciò che è accaduto: "La professoressa non voleva offendere la ragazza. Quella frase ha oltrepassato le sue intenzioni". Poi, come se non bastasse, la preside continua in modo anche più infelice. Sentite: "la cosa importante è che i ragazzi abbiano espresso solidarietà alla loro amica". Con questa frase si fa credere, con versione riduttiva e infelice, che la ragazza ebrea sia stata difesa in quanto aveva degli amici in classe, degli amici, in caso di mobbing, sono sempre una bella cosa. La vera storia è diversa. La vera storia è che tutta la classe si è ribellata contro la professoressa razzista perché il suo comportamento era ignobile, e non poteva e doveva essere accettato, amici o non amici, perché il razzismo non è uno sgarbo a qualcuno, ma un'intollerabile offesa a tutti. Ecco perché i ragazzi del liceo Caravillani non vorrebbero avere un premio al Quirinale per la loro protesta collettiva (Repubblica, 6 aprile). Infatti, nel respingere insieme l'offesa di una donna stupida o malata, però simbolicamente potente (parlava dalla cattedra di insegnante) si sono sentiti normali e hanno fatto una cosa normale, tipica di normali esseri umani: dire no al razzismo. Anche più grave se è frutto di "sbadate" abituali di modi consueti di pensare parlare. E stato molto importante, in questo caso, che il ministro dell'Istruzione Profumo e il presidente delle Comunità ebraiche italiane Gattegna abbiano detto insieme: "l'antisemitismo e il negazionismo non si combattono soltanto il 27 gennaio di ogni anno, in occasione del Giorno della Memoria, ma tutti i giorni". Giustissimo. Ma se al liceo Caravillani ci fosse stato anche solo il Giorno della Memoria, il 27 gennaio scorso, forse la professoressa di quella scuola non avrebbe potuto dire alla madre della ragazza offesa "che il riferimento ai campi di concentramento era per l'ordine che vi regnava". Per fortuna ha offeso tutti i ragazzi e non solo la sua vittima designata. Per fortuna tutti i ragazzi normali si sono ribellati. Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano 12 aprile 2013

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