lunedì 6 maggio 2013
Da Khartoum a Damasco (e oltre)
Di Boaz Bismuth http://www.israele.net/
I governi Netanyahu, quello passato e quello attuale, hanno sempre
dichiarato che la loro prima priorità è la sicurezza di Israele. Si può
discutere questa o quella azione, ma la linea tracciata è chiara. Negli
anni recenti, stando alle notizie di stampa, sono state condotte diverse
operazioni che ricadono in questa fattispecie e che allo stesso tempo
rappresentano un chiaro segnale inviato a Teheran. L’attacco in Siria
dello scorso gennaio contro un convoglio di missili anti-aerei, così
come gli attacchi di venerdì e di domenica mattina contro missili
terra-terra a lungo raggio, vanno ad aggiungersi al raid dell’ottobre
2012 sulla fabbrica di armi in Sudan. Alla lista si possono aggiungere
l’operazione anti-Hamas Colonna di Nube Difensiva dello scorso novembre
nella striscia di Gaza e l’uccisione mirata del quadro della jihad
globale Haitham Ziad Ibrahim Al-Mes-hal di settimana scorsa. Tutti
questi atti indicano che Israele si sta attivamente difendendo.I più recenti eventi in Medio Oriente non fanno che riproporre una vecchia storia: Israele si difende, da solo.(Come scrive Yoav Limor, “oltre a eliminare un certo numero di missili
destinati a Hezbollah, questi raid mettono in chiaro a Siria, Iran e
Hezbollah che Israele fa sul serio quando dice che agirà per impedire il
trasferimento di armi strategiche dalla Siria al Libano. Il messaggio
sottinteso, diretto all'Iran, è che Israele è pronto ad andare da
qualunque parte – dal Sudan, alla striscia di Gaza, alla Siria, al
Libano – per contrastare il tentativo di dotare i suoi nemici di armi
micidiali”).Gli ultimi anni non sono stati facili per Israele. Le rivolte arabe
iniziate nel 2011 hanno suscitato molte speranze in coloro che non
conoscono bene questa regione. Nel frattempo, le centrifughe iraniane
non hanno mai smesso di turbinare.Non c’è un solo paese del Medio Oriente dove la rivolta araba abbia
innescato cambiamenti che possano essere positivi per Israele, per
l’occidente e neppure per gli stessi paesi arabi. Anche la Siria ricade
in questo schema, ancor prima che vi si sia consumato un cambio di
regime. Il presidente americano Barack Obama è in una posizione assai
scomoda sulla Siria. La “linea rossa” che aveva indicato non ha fatto
grande impressione: il presidente siriano Bashar al-Assad è così sicuro
che Obama non entrerà in azione, che usa armi chimiche e cerca di
trasferire a Hezbollah armi tali da cambiare rapporti di forza, come se
le minacce americane fossero inesistenti. Obama stesso ha detto che
mandare truppe americane in Siria non servirebbe né agli Stati Uniti né
alla Siria. Se fosse solo per lui, senza pressioni da parte degli
alleati, Obama probabilmente non agirebbe affatto in Siria. D’altro
canto non può ignorare le crescenti pressioni sull'amministrazione
affinché adotti misure militari contro il regime di Assad. Intanto Obama
mantiene calma e sangue freddo.Ma Israele non si può permettere questo lusso come Obama. Israele non
può permettere che missili a lungo raggio cadano nelle mani di
Hezbollah, né può permettere che armi chimiche finiscano in mani
irresponsabili. Le ultime azioni in Siria attribuite a Israele mandano
un messaggio a tutti coloro che sostengono che gli israeliani vorrebbero
trascinare l’America in una guerra: è vero esattamente il contrario,
gli israeliani possono può fare da sé. In Siria e altrove.(Da: Israel HaYom, 5.5.13)
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