venerdì 17 maggio 2013
Di Zvi Gabay,http://www.israele.net/
A Shavuot, la festa ebraica che quest’anno si inizia a celebrare dalla
sera di martedì, gli ebrei iracheni ricordano il 72esimo anniversario
del pogrom Farhud: i tumulti del 1941 in cui vennero massacrate fra 150 e
180 persone e altre migliaia ferite, mutilate, violentate.Il Centro per il Retaggio dell’Ebraismo Babilonese (iracheno), a Or
Yehuda (Israele), ha catalogato i nomi delle vittime, mentre in tutto il
mondo gli ebrei iracheni ricordano quei terribili disgraziati eventi
così simili alla Notte dei Cristalli di tre anni prima in Germania.I tumulti Farhud (in arabo “espropriazione violenta”) videro
protagonista una folla che era stata aizzata alla violenza e si
tradussero, per la comunità ebraica irachena, nella perdita di ogni
fiducia nel paese che avevano considerato casa loro per millenni: quella
comunità di circa 140mila ebrei è oggi ridotta a pochi sparsi
individui.Gli ebrei iracheni vennero perseguitati senza nessuna ragione evidente.
Gli ebrei, che avevano vissuto in Iraq per 2.500 anni, non stavano
sovvertendo il paese dall'interno, come gli arabi palestinesi che in
quello stesso periodo combattevano contro le comunità ebraiche e poi
contro lo Stato di Israele. In effetti, in quegli anni gli ebrei furono
bersaglio di ostilità e persecuzioni praticamente in ogni paese arabo in
cui vivevano, e non solo in Iraq. Centotrentatre ebrei vennero uccisi
in Libia quando in quel paese nord-africano le violenze anti-ebraiche
raggiunsero il culmine nel novembre 1945. Ad Aden, nello Yemen, un
centinaio di ebrei vennero assassinati nel novembre 1947. In Egitto gli
ebrei vennero buttati fuori dalle loro case ed espulsi dal paese.Nonostante tutta l’attenzione internazionale prestata alla “Nakba”
palestinese, ben poco è stato detto sulla grave sopraffazione patita
dagli ebrei dei paesi arabi. È vero che la storia non è una gara fra
tragedie, ma è importante far conoscere la pulizia etnica che infuriò in
tutte le nazioni arabe. Le dimensioni della tragedia furono pesanti:
circa 850mila ebrei furono costretti a fuggire dalle loro case nei paesi
arabi, a fronte dei 650mila profughi palestinesi. Eppure, per ragioni
che non è facile capire, lo stesso governo israeliano non ha ancora
posto la catastrofe che colpì gli ebrei arabi in cima alla sua agenda,
interna e internazionale.Gli ebrei nei paesi arabi vennero perseguitati prima che fosse
dichiarata l’indipendenza d’Israele. Gli storici Edwin Black, Shmuel
Moreh e Zvi Yehuda hanno pubblicato una ricerca che mette in luce i
legami fra il governo filo-nazista dell’allora primo ministro iracheno
Rashid Ali al-Gaylani e il Terzo Reich in Germania. L’Iraq applicò
contro gli ebrei normative discriminatorie che investivano ogni aspetto
della vita quotidiana, e poi istigò la folla alla violenza fisica contro
gli ebrei. Il pogrom Farhud del 1941 fu il culmine di questo processo.
La fusione di un nazionalismo venato di xenofobia e di contagiosi
sentimenti antisemiti creò una realtà impregnata di odio verso l’ebreo.
L’ambasciatore di Germania in Iraq, Fritz Grobba, fu pronto a fomentare
quest’attitudine, mentre il leader palestinese Haj Amin al-Husseini,
fuggito dalla Palestina perché ricercato dagli inglesi, trovava in Iraq
un’arena ideale per le sue attività anti-ebraiche. L’atmosfera
brutalmente anti-ebraica culminò nell'impiccagione di Shafiq Ades, un
facoltoso uomo d’affari ebreo, nella piazza centrale di Bassora, mentre
l’aria era carica di trasmissioni radio anti-ebraiche e incendiari
discorsi dal podio dell’Onu.Infine, senza altra possibilità di scelta, gli ebrei dell’Iraq
raccolsero le loro cose e abbandonarono il paese, quell'Iraq che loro
più di altri avevano fatto entrare nell'era moderna. Si lasciarono alle
spalle i beni privati e tutte le proprietà delle loro antiche comunità,
compresi i luoghi venerati come sepolture dei profeti Ezechiele, Giona,
Naum di Alqoshi ed Esdra lo Scriba, delle quali si impossessò il governo
iracheno.Vi furono naturalmente iracheni che si rifiutavano di giustificare le
aggressioni contro la popolazione ebraica, ma furono zittiti. Gli ebrei
divennero il capro espiatorio del conflitto fra sunniti e sciiti,
proprio come oggi Israele si trova in mezzo al conflitto fra Iran e
arabi. Se ancora oggi gli ebrei si fossero trovati in numero
significativo nei paesi arabi, è del tutto ragionevole supporre che le
loro comunità sarebbero state devastate nelle recenti rivolte in Egitto,
Libia, Tunisia, Yemen e in Siria.Il numero di ebrei con alle spalle una vicenda di vita nei paesi arabi
si sta fatalmente assottigliando di anno in anno. È giunto il momento di
commemorare il loro retaggio in Israele, di impedire che abbia il
sopravvento la propaganda araba, abbracciata da coloro che negano che
pogrom arabi anti-ebraici abbiano mai avuto luogo, analogamente alla
minaccia posta dai negazionisti della Shoà. Quanto prima Israele si
impegnerà a preservare l’eredità degli ebrei arabi riconoscendone
ufficialmente il carattere di vittime, tanto più rapidamente potrà
migliorare la sua posizione interna e internazionale. Inoltre,
custodendo questo pezzo di storia ebraica Israele può rafforzare le voci
moderate nel mondo arabo, specialmente quelle provenienti da
intellettuali che hanno riconosciuto una catastrofe mediorientale che
vide vittime gli ebrei, e non solo i palestinesi. Allo stesso tempo, i
dirigenti palestinesi dovrebbero smettere di coltivare nella loro gente
l’illusione del cosiddetto “diritto al ritorno”, in modo che la tragica
ruota della storia non abbia a rigirare su se stessa.(Da: Israel HaYom, 13.5.13)
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La storia questa sconosciuta
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