giovedì 23 maggio 2013
Se l’Unione Europea etichetta i prodotti in base alla «linea verde»
Editoriale del Jerusalem Post,http://www.israele.net/
Che si tratti del vino delle alture del Golan, dei bretzel di Ariel o
dei cosmetici del Mar Morto, sta di fatto che l’Unione Europea ha preso
di mira tutte le merci israeliane prodotte al di là della “linea verde”.
Lo scorso dicembre il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea ha
ribadito il suo “impegno a garantire continua, piena ed efficace
attuazione della legislazione UE in vigore e degli accordi bilaterali
relativi ai prodotti degli insediamenti”. Quello che intendono dire è
che l’etichetta “made in Israel” deve valere esclusivamente per i beni
prodotti all'interno della “linea verde” affinché i consumatori europei
possano distinguerli. Il mese scorso i ministri di Spagna, Portogallo,
Francia, Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi,
Belgio, Austria, Slovenia, Lussemburgo e Malta hanno firmato una lettera
indirizzata al responsabile della politica estera della UE, Catherine
Ashton, in cui ribadiscono il loro sostegno all'etichettatura
differenziata dei beni prodotti nelle città, nei villaggi e nei parchi
industriali che sorgono in Giudea e Samaria (Cisgiordania). E tredici
paesi costituiscono quasi la metà dei 27 stati membri dell’Unione
Europea.A quanto risulta, Washington ha già fatto notare che questa decisione
non farebbe altro che complicare ulteriormente i rinnovati sforzi
americani ed europei per mediare un accordo di pace fra Israele e
Autorità Palestinese. A nostra volta vorremmo aggiungere alcune ragioni
che dimostrano quanto questa fissazione dell’etichettatura in base alla
"linea verde" sia sbagliata.Innanzitutto, l’ipotesi che ne sta alla base è che soltanto Israele sia
da ritenere responsabile, e dunque da penalizzare, per lo stallo del
processo di pace, ignorando completamente le responsabilità della parte
palestinese (rifiuto intransigente delle più avanzate offerte di
compromesso, continuo incitamento e indottrinamento all'odio verso
l’esistenza stessa di Israele, rifiuto di riprendere i negoziati diretti
senza precondizioni). Di più. Incolpando solo Israele, si incoraggia i
palestinesi a persistere con l’istigazione, col rifiuto di tornare al
tavolo delle trattative, con la mortificazione delle forze più moderate
all'interno della loro società.In secondo luogo, un’etichettatura pensata per favorire il boicottaggio
dei prodotti israeliani finirebbe col colpire l’economia palestinese. Le
aziende israeliane al di là della “linea verde” danno lavoro a decine
di migliaia di palestinesi. E poiché i legami economici sono difficili
da districare, il boicottaggio inevitabilmente si tradurrebbe in una
punizione collettiva degli ebrei che vivono su entrambi i versanti della
“linea verde” e degli stessi palestinesi.Infine, nessuno sa dove verranno fissati i confini definitivi. L’idea di
uno scambio di terre grazie al quale Israele cederebbe aree all'interno
della “linea verde” in cambio dell’annessione dei blocchi di
insediamenti più popolosi al di là della "linea verde" (e che non
costituiscono più del 2% della Cisgiordania) da tempo è diventata uno
dei principi centrali del negoziato fra israeliani e palestinesi.
Proprio di recente anche la Lega Araba sembra aver accettato il concetto
che le linee armistiziali del 1949 non sono sacre e che “limitati”
scambi di territorio sono del tutto accettabili. Dunque, soltanto i
negoziati determineranno l’assetto finale dei territori contesi di
Cisgiordania. Nel frattempo, i futuri confini restano ignoti: solo il
negoziato diretto israelo-palestinese li potrà definire. Etichettando i
prodotti, l’Unione Europea si arroga la facoltà di decidere (al posto
degli interessati) che tutti gli insediamenti al di là della “linea
verde” dovranno essere smantellati e che tutta la Cisgiordania dovrà
essere resa Judenrein (epurata dalla presenza ebraica). Un’idea che la
stessa Lega Araba non sostiene più.L'etichettatura dei prodotti israeliani ricorda piuttosto il vecchio
boicottaggio diplomatico, economico e culturale che gli stati arabi
decretarono contro Israele sin dal momento della sua fondazione, quando
la Cisgiordania era occupata dalla Giordania e tutti gli insediamenti
ebraici che sorgevano al di là delle linee armistiziali del 1949 avevano
subito la ripulitura etnica ed erano stati distrutti.Davvero un bell'aiuto al dialogo e alla ricerca di un compromesso di pace.(Da. Jerusalem Post, 19.5.13)
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