La compagnia aerea israeliana Sun d’Or, che gestisce i collegamenti aerei tra Bratislava e Tel Aviv, ha perso Lunedì la sua licenza di esercizio, ma dall’aeroporto di Bratislava si continuerà a volare verso la capitale d’Israele, scrive il quotidiano Sme oggi. La Sun d’Or ha concluso la sua storia perdendo tutte le sue proprietà, secondo le autorità dell’aviazione civile israeliana, ma la casa madre, la compagnia El-Al, fornirà al marchio Sun d’Or aerei e piloti. «La Sun d’Or non ha problemi di sicurezza, si tratta soltanto di un procedimento amministrativo», ha detto a Sme il portavoce del Ministero dei Trasporti di Israele Avner Ovadia.E l’Aeroporto M.R. Stefanik di Bratislava, d’altro canto, non è stato informato sull’eventuale cancellazione di voli per Tel Aviv, come ha scritto l’Agenzia di stsampa Tasr su conferma del portavoce dello scalo slovacco Dana Madunicka.Dal 27 Marzo, comunque, e per tutta la stagione estiva, la compagnia ceca Travel Service ha istituito un collegamento aereo una volta a settimana. In attesa di capire quando la El-Al riprenderà con i suoi velivoli a gestire il volo. (Fonte Sme, TASR)
domenica 27 marzo 2011
Il volo settimanale da Bratislava per Tel Aviv confermato nonostante fallimento di Sun d’Or
La compagnia aerea israeliana Sun d’Or, che gestisce i collegamenti aerei tra Bratislava e Tel Aviv, ha perso Lunedì la sua licenza di esercizio, ma dall’aeroporto di Bratislava si continuerà a volare verso la capitale d’Israele, scrive il quotidiano Sme oggi. La Sun d’Or ha concluso la sua storia perdendo tutte le sue proprietà, secondo le autorità dell’aviazione civile israeliana, ma la casa madre, la compagnia El-Al, fornirà al marchio Sun d’Or aerei e piloti. «La Sun d’Or non ha problemi di sicurezza, si tratta soltanto di un procedimento amministrativo», ha detto a Sme il portavoce del Ministero dei Trasporti di Israele Avner Ovadia.E l’Aeroporto M.R. Stefanik di Bratislava, d’altro canto, non è stato informato sull’eventuale cancellazione di voli per Tel Aviv, come ha scritto l’Agenzia di stsampa Tasr su conferma del portavoce dello scalo slovacco Dana Madunicka.Dal 27 Marzo, comunque, e per tutta la stagione estiva, la compagnia ceca Travel Service ha istituito un collegamento aereo una volta a settimana. In attesa di capire quando la El-Al riprenderà con i suoi velivoli a gestire il volo. (Fonte Sme, TASR)
La compagnia aerea israeliana Sun d’Or, che gestisce i collegamenti aerei tra Bratislava e Tel Aviv, ha perso Lunedì la sua licenza di esercizio, ma dall’aeroporto di Bratislava si continuerà a volare verso la capitale d’Israele, scrive il quotidiano Sme oggi. La Sun d’Or ha concluso la sua storia perdendo tutte le sue proprietà, secondo le autorità dell’aviazione civile israeliana, ma la casa madre, la compagnia El-Al, fornirà al marchio Sun d’Or aerei e piloti. «La Sun d’Or non ha problemi di sicurezza, si tratta soltanto di un procedimento amministrativo», ha detto a Sme il portavoce del Ministero dei Trasporti di Israele Avner Ovadia.E l’Aeroporto M.R. Stefanik di Bratislava, d’altro canto, non è stato informato sull’eventuale cancellazione di voli per Tel Aviv, come ha scritto l’Agenzia di stsampa Tasr su conferma del portavoce dello scalo slovacco Dana Madunicka.Dal 27 Marzo, comunque, e per tutta la stagione estiva, la compagnia ceca Travel Service ha istituito un collegamento aereo una volta a settimana. In attesa di capire quando la El-Al riprenderà con i suoi velivoli a gestire il volo. (Fonte Sme, TASR)
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Curiosità
La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey incontra il presidente israeliano Shimon Peres
Berna, 25.03.2011 - La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey incontra lunedì, 28 marzo 2011 a Ginevra il presidente israeliano Shimon Peres. Durante il colloquio verranno discussi temi quali le questioni bilaterali, gli sviluppi in Nordafrica e il processo di pace in Medio Oriente.La Svizzera e Israele sono in strette relazioni. Dal 2004 i ministeri degli esteri di entrambi i Paesi intrattengono un regolare dialogo politico. Attualmente 15 000 Svizzeri vivono in Israele e costituiscono la maggiore comunità di Svizzeri all'estero della regione. http://www.news.admin.ch/
Berna, 25.03.2011 - La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey incontra lunedì, 28 marzo 2011 a Ginevra il presidente israeliano Shimon Peres. Durante il colloquio verranno discussi temi quali le questioni bilaterali, gli sviluppi in Nordafrica e il processo di pace in Medio Oriente.La Svizzera e Israele sono in strette relazioni. Dal 2004 i ministeri degli esteri di entrambi i Paesi intrattengono un regolare dialogo politico. Attualmente 15 000 Svizzeri vivono in Israele e costituiscono la maggiore comunità di Svizzeri all'estero della regione. http://www.news.admin.ch/
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Lugo, gli studenti israeliani in visita alla Rocca domenica 27
Nel pomeriggio di domenica 27 marzo, alle ore 16.30, un gruppo di studenti provenienti da Nazaret verrà accolto nel cortile della Rocca dal Sindaco di Lugo Raffaele Cortesi e dall'assessore alla scuola Patrizia Randi. Dopo il saluto di benvenuto da parte degli amministratori, i ragazzi italiani e israeliani parteciperanno ad un buffet organizzato, per l'occasione, dalla Tazza D'Oro di Lugo. E' la prosecuzione dello scambio culturale fra le scuole di Lugo e quelle di Nazaret.; il progetto è stato realizzato con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Centro per la pace in Medioriente, in collaborazione e con il sostegno dell'Ambasciata Italiana di Tel Aviv. Consistente l'impegno del Comune di Lugo per portare avanti l'intera operazione. "Vivere in Israele al giorno d'oggi non è per niente semplice. È un paese denso di tensioni e di paure - hanno scritto in un report gli studenti lughesi al termine del loro viaggio avvenuto precedentemente - un paese che alcuni sperano possa sparire dalla faccia della terra; ma un paese in cui vive un popolo, che per quanto possa essere diviso in centinaia di gruppi etnici e religiosi, cerca di adattarsi in serenità a questo piccolo lembo di terra mediterranea, conosciuto nel mondo come Terra Santa, Palestina o Israele. Abbiamo avuto l'occasione di sperimentare tutto ciò, di viverlo sulla nostra pelle, noi, alunni del Liceo Scientifico e Linguistico Ricci Curbastro, dell'Itis Marconi, dell'Ipsia Manfredi e della scuola media Baracca, grazie allo scambio culturale promosso dall'ambasciata italiana a Tel Aviv, in collaborazione con l'associazione Olamot, con il liceo Alon di Nazaret Illit e il Comune di Lugo. Ognuno di noi, studenti e docenti, si è recato con le famiglie ospitanti nelle relative case. Tutti siamo rimasti colpiti dalla semplicità e dalla serenità con la quale siamo stati accolti, dai visi che, malgrado i continui conflitti e dissapori che segnano quella terra da ormai troppi anni, esprimono voglia di vivere, senza disperarsi di fronte alle difficoltà".
"Ora saranno gli studenti israeliani a vivere la nostra realtà - precisa il sindaco Raffaele Cortesi - e ad essere ospitati presso le nostre famiglie; un interscambio culturale che ritengo importantissimo e che consentirà ai ragazzi di entrambi i Paesi di conoscersi ancora meglio e di socializzare".http://lugonotizie.it/
Nel pomeriggio di domenica 27 marzo, alle ore 16.30, un gruppo di studenti provenienti da Nazaret verrà accolto nel cortile della Rocca dal Sindaco di Lugo Raffaele Cortesi e dall'assessore alla scuola Patrizia Randi. Dopo il saluto di benvenuto da parte degli amministratori, i ragazzi italiani e israeliani parteciperanno ad un buffet organizzato, per l'occasione, dalla Tazza D'Oro di Lugo. E' la prosecuzione dello scambio culturale fra le scuole di Lugo e quelle di Nazaret.; il progetto è stato realizzato con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Centro per la pace in Medioriente, in collaborazione e con il sostegno dell'Ambasciata Italiana di Tel Aviv. Consistente l'impegno del Comune di Lugo per portare avanti l'intera operazione. "Vivere in Israele al giorno d'oggi non è per niente semplice. È un paese denso di tensioni e di paure - hanno scritto in un report gli studenti lughesi al termine del loro viaggio avvenuto precedentemente - un paese che alcuni sperano possa sparire dalla faccia della terra; ma un paese in cui vive un popolo, che per quanto possa essere diviso in centinaia di gruppi etnici e religiosi, cerca di adattarsi in serenità a questo piccolo lembo di terra mediterranea, conosciuto nel mondo come Terra Santa, Palestina o Israele. Abbiamo avuto l'occasione di sperimentare tutto ciò, di viverlo sulla nostra pelle, noi, alunni del Liceo Scientifico e Linguistico Ricci Curbastro, dell'Itis Marconi, dell'Ipsia Manfredi e della scuola media Baracca, grazie allo scambio culturale promosso dall'ambasciata italiana a Tel Aviv, in collaborazione con l'associazione Olamot, con il liceo Alon di Nazaret Illit e il Comune di Lugo. Ognuno di noi, studenti e docenti, si è recato con le famiglie ospitanti nelle relative case. Tutti siamo rimasti colpiti dalla semplicità e dalla serenità con la quale siamo stati accolti, dai visi che, malgrado i continui conflitti e dissapori che segnano quella terra da ormai troppi anni, esprimono voglia di vivere, senza disperarsi di fronte alle difficoltà".
"Ora saranno gli studenti israeliani a vivere la nostra realtà - precisa il sindaco Raffaele Cortesi - e ad essere ospitati presso le nostre famiglie; un interscambio culturale che ritengo importantissimo e che consentirà ai ragazzi di entrambi i Paesi di conoscersi ancora meglio e di socializzare".http://lugonotizie.it/
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Curiosità
Hamas lancia i razzi e ad Ashdod torna la paura. Aspettando la “Cupola di ferro”
Chissà se la “Cupola di ferro”, il sistema difensivo antirazzi, servirà a qualcosa. Se riuscirà a fermare, soprattutto, le urla di terrore dei bambini israeliani che si sentono per le vie di Ashdod, come ha fatto notare la giornalista Claire Ben-Ari.La quinta città più grande dello Stato ebraico è da giorni sotto attacco di Hamas. Dal cielo non piovono gocce d’acqua, ma razzi Qassam che distruggono edifici e mettono in crisi una tranquillità raggiunta a fatica negli ultimi due anni.Intanto si fanno i conti con il presente. Altri due razzi Qassam, sparati dalla striscia di Gaza, sono caduti la scorsa notte, causando seri danni a un’abitazione. Per fortuna nessuno è rimasto ferito. Un altro giorno di sirene d’allarme impazzite e di genitori ansiosi, di poliziotti smarriti e soldati più determinati che mai a difendere il Paese.La novità, ora, è che i razzi non atterrano soltanto nel deserto del Negev. Percorrono molti più chilometri. Minacciano Tel Aviv. Colano a picco su case, edifici pubblici, centri commerciali affollati come non mai prima del riposo settimanale. E qualche secondo dopo inizia il solito rito a cui gli abitanti di Ashdod e di Ashkelon sono ormai abituati: le forze di sicurezza transennano l’area, le ambulanze medicano i feriti, gli altri abitanti vengono a vedere con gli occhi il pericolo scampato. L’ennesimo pericolo.Poi ci sono i cronisti. Amati e odiati. A seconda della circostanza. Trattati benissimo quando si tratta di coprire gli eventi contingenti. Ma anche criticati quando – tornata la calma – «non si occupano più di noi, così il mondo finisce per dimenticarsi di questo pezzo di terra sempre sotto minaccia», come raccontano i vertici politici della città da 200mila abitanti.Dicono gli studenti di una yeshiva, una scuola religiosa ebraica: «Non si può vivere così. Non si può nemmeno studiare. Siamo troppo ansiosi per concentrarci sui libri. A volte non riusciamo nemmeno a sederci, perché non sappiamo quando e dove cadrà il prossimo razzo. Siamo tornati indietro di due anni, quando ci nascondevamo nei rifugi sotterranei».Per le vie di Ashdod, ha fatto notare l’agenzia cinese Xinhua, sono pochissimi i negozi aperti. Quasi tutti sono incollati davanti alle tv a vedere i servizi dei telegiornali in cui si parla dei razzi lanciati da Hamas.Il sindaco Yehiel Lasri non nasconde una certa abitudine a queste cose. Appena piovono bombe dal cielo, lui chiude scuole, edifici pubblici e attività commerciali. Se qualche venditore si rifiuta, gli manda la polizia e l’esercito. «Lo facciamo per l’incolumità di tutti», si giustifica. Dietro di lui scorre la vita in stato d’emergenza di questa città a venti chilometri dalla periferia sud di Tel Aviv. Niente in confronto alla potenza dei razzi di Hamas.http://falafelcafe.wordpress.com/
Chissà se la “Cupola di ferro”, il sistema difensivo antirazzi, servirà a qualcosa. Se riuscirà a fermare, soprattutto, le urla di terrore dei bambini israeliani che si sentono per le vie di Ashdod, come ha fatto notare la giornalista Claire Ben-Ari.La quinta città più grande dello Stato ebraico è da giorni sotto attacco di Hamas. Dal cielo non piovono gocce d’acqua, ma razzi Qassam che distruggono edifici e mettono in crisi una tranquillità raggiunta a fatica negli ultimi due anni.Intanto si fanno i conti con il presente. Altri due razzi Qassam, sparati dalla striscia di Gaza, sono caduti la scorsa notte, causando seri danni a un’abitazione. Per fortuna nessuno è rimasto ferito. Un altro giorno di sirene d’allarme impazzite e di genitori ansiosi, di poliziotti smarriti e soldati più determinati che mai a difendere il Paese.La novità, ora, è che i razzi non atterrano soltanto nel deserto del Negev. Percorrono molti più chilometri. Minacciano Tel Aviv. Colano a picco su case, edifici pubblici, centri commerciali affollati come non mai prima del riposo settimanale. E qualche secondo dopo inizia il solito rito a cui gli abitanti di Ashdod e di Ashkelon sono ormai abituati: le forze di sicurezza transennano l’area, le ambulanze medicano i feriti, gli altri abitanti vengono a vedere con gli occhi il pericolo scampato. L’ennesimo pericolo.Poi ci sono i cronisti. Amati e odiati. A seconda della circostanza. Trattati benissimo quando si tratta di coprire gli eventi contingenti. Ma anche criticati quando – tornata la calma – «non si occupano più di noi, così il mondo finisce per dimenticarsi di questo pezzo di terra sempre sotto minaccia», come raccontano i vertici politici della città da 200mila abitanti.Dicono gli studenti di una yeshiva, una scuola religiosa ebraica: «Non si può vivere così. Non si può nemmeno studiare. Siamo troppo ansiosi per concentrarci sui libri. A volte non riusciamo nemmeno a sederci, perché non sappiamo quando e dove cadrà il prossimo razzo. Siamo tornati indietro di due anni, quando ci nascondevamo nei rifugi sotterranei».Per le vie di Ashdod, ha fatto notare l’agenzia cinese Xinhua, sono pochissimi i negozi aperti. Quasi tutti sono incollati davanti alle tv a vedere i servizi dei telegiornali in cui si parla dei razzi lanciati da Hamas.Il sindaco Yehiel Lasri non nasconde una certa abitudine a queste cose. Appena piovono bombe dal cielo, lui chiude scuole, edifici pubblici e attività commerciali. Se qualche venditore si rifiuta, gli manda la polizia e l’esercito. «Lo facciamo per l’incolumità di tutti», si giustifica. Dietro di lui scorre la vita in stato d’emergenza di questa città a venti chilometri dalla periferia sud di Tel Aviv. Niente in confronto alla potenza dei razzi di Hamas.http://falafelcafe.wordpress.com/
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Addio a Elizabeth Taylor
Il mito si e' spento.
La bambina di "Torna a casa Lassie", un film che ha fatto piangere tutti i ragazzini della mia generazione, bellissima, dagli occhi pervinca, e' morta.La stupenda donna di tanti film, due volte premio Oscar, se ne e' andata a 79 anni per un attacco di cuore ed e' stata sepolta a Hollywood accanto a Marilyn Monroe.Di Liz Taylor si sa tutto quello che il gossip puo' raccontare delle sue storie d'amore, dei suoi tanti mariti, dei suoi capricci da diva e anche del suo impegno per i malati di AIDS, si sa tutto della sua vita passata tra onori, premi, scenate, tragedie e ricoveri in ospedale a causa della sua salute cagionevole.Nessuno pero' scrive quello che puo' dare fastidio ed essere scomodo: Elisabeth Taylor era ebrea , convertita nel 1959, ed era una fervente sionista. La sua storia di ebrea e' sconosciuta ai piu' e oggi, dopo la sua morte, nessuno ne vuole parlare, peccato perche' credo che lei lo avrebbe voluto e ne sarebbe stata orgogliosa.Era il 1976 quando l'attrice si disse pronta a diventare ostaggio dei terroristi palestinesi e tedeschi a Entebbe se fossero stati rilasciati i prigionieri ebrei dell'aereo dell'Air France dirottato dal Fronte per la liberazione della Palestina e il Baader Meinhof.L'ambasciatore di Israele in USA, Simcha Dinitz, le disse che Israele aveva molto apprezzato il suo gesto di generosita' e che il Popolo Ebraico lo ricordera' per sempre.Il Popolo Ebraico si, ma nessun altro ne ha mai parlato e anche oggi, dopo la sua morte, lo scrivono solo i media israeliani. Il New York Times, nel necrologio, ha liquidato il suo impegno per Israele in due parole " Ha diviso il suo tempo tra azioni caritatevoli, incluse varie cause israeliane".Chi e' andato a frugare negli archivi ha anche scoperto quanto Elisabeth si fosse ribellata pubblicamente all'infame risoluzione ONU che, nel 1975, equiparava il sionismo al razzismo e firmo' il telegramma indirizzato al segretario ONU di allora, Kurt Waldheim, per protestare contro l'antisemitismo dei paesi membri del Palazzo di Vetro.Nel 1967 fece un viaggio in URSS per perorare la causa di Israele presso le autorita' sovietiche.E' venuta varie volte in Israele dove ha incontrato Itzak Rabin nel 1976, Menachem Begin nel 1983 che le offri' un regalo accompagnato da un enorme mazzo di fiori.La sua conversione all'ebraismo e il suo amore per Israele la trasformarono in demonio per i paesi arabi dove i suoi film furono proibiti e dove a lei stessa non fu mai permesso di entrare.Il generale Essam Elmasri, capo dell'ufficio egiziano per il boicottaggio di Israele scrisse che la Taylor non sarebbe mai potuta andare in Egitto a causa del suo essere ebrea e sionista.Elisabeth Taylor, oltre a lottare strenuamente per i malati di AIDS, era orgogliosa di dichiararsi per i diritti civili dei gay in un periodo in cui farlo non riscuoteva troppe simpatie nella puritana America.Oggi questa grande, bellissima, "piccola donna"coraggiosa non c'e' piu' e dovrebbe essere di esempio a tanto altri ebrei silenziosi di Hollywood che mai hanno avuto il fegato di difendere Israele per non perdere simpatie. Lei se ne fregava delle simpatie, lei lo diceva chiaro e tondo di amare Israele, lei combatteva per la giustizia verso Israele, lei era una vera sincera meravigliosa sionista, senza timori e vigliaccherie.
A me piace ricordarla con le parole della ZOA (Zionist Organisation of America): "La sua vita , il suo donarsi agli amici e ai loro problemi, il suo coraggio nel combattere le avversita', il suo sionismo fanno di lei una luce per Israele e sara' ricordata come "tikkun Olam - chi ha riparato il mondo".Riposa in pace, Elisabeth, che i tuoi occhi blu-violetti ci guardino da lassu' e ci proteggano come tu hai sempre voluto fare in vita.Deborah Fait, Informazione Corretta 27 marzo 2011
Il mito si e' spento.
La bambina di "Torna a casa Lassie", un film che ha fatto piangere tutti i ragazzini della mia generazione, bellissima, dagli occhi pervinca, e' morta.La stupenda donna di tanti film, due volte premio Oscar, se ne e' andata a 79 anni per un attacco di cuore ed e' stata sepolta a Hollywood accanto a Marilyn Monroe.Di Liz Taylor si sa tutto quello che il gossip puo' raccontare delle sue storie d'amore, dei suoi tanti mariti, dei suoi capricci da diva e anche del suo impegno per i malati di AIDS, si sa tutto della sua vita passata tra onori, premi, scenate, tragedie e ricoveri in ospedale a causa della sua salute cagionevole.Nessuno pero' scrive quello che puo' dare fastidio ed essere scomodo: Elisabeth Taylor era ebrea , convertita nel 1959, ed era una fervente sionista. La sua storia di ebrea e' sconosciuta ai piu' e oggi, dopo la sua morte, nessuno ne vuole parlare, peccato perche' credo che lei lo avrebbe voluto e ne sarebbe stata orgogliosa.Era il 1976 quando l'attrice si disse pronta a diventare ostaggio dei terroristi palestinesi e tedeschi a Entebbe se fossero stati rilasciati i prigionieri ebrei dell'aereo dell'Air France dirottato dal Fronte per la liberazione della Palestina e il Baader Meinhof.L'ambasciatore di Israele in USA, Simcha Dinitz, le disse che Israele aveva molto apprezzato il suo gesto di generosita' e che il Popolo Ebraico lo ricordera' per sempre.Il Popolo Ebraico si, ma nessun altro ne ha mai parlato e anche oggi, dopo la sua morte, lo scrivono solo i media israeliani. Il New York Times, nel necrologio, ha liquidato il suo impegno per Israele in due parole " Ha diviso il suo tempo tra azioni caritatevoli, incluse varie cause israeliane".Chi e' andato a frugare negli archivi ha anche scoperto quanto Elisabeth si fosse ribellata pubblicamente all'infame risoluzione ONU che, nel 1975, equiparava il sionismo al razzismo e firmo' il telegramma indirizzato al segretario ONU di allora, Kurt Waldheim, per protestare contro l'antisemitismo dei paesi membri del Palazzo di Vetro.Nel 1967 fece un viaggio in URSS per perorare la causa di Israele presso le autorita' sovietiche.E' venuta varie volte in Israele dove ha incontrato Itzak Rabin nel 1976, Menachem Begin nel 1983 che le offri' un regalo accompagnato da un enorme mazzo di fiori.La sua conversione all'ebraismo e il suo amore per Israele la trasformarono in demonio per i paesi arabi dove i suoi film furono proibiti e dove a lei stessa non fu mai permesso di entrare.Il generale Essam Elmasri, capo dell'ufficio egiziano per il boicottaggio di Israele scrisse che la Taylor non sarebbe mai potuta andare in Egitto a causa del suo essere ebrea e sionista.Elisabeth Taylor, oltre a lottare strenuamente per i malati di AIDS, era orgogliosa di dichiararsi per i diritti civili dei gay in un periodo in cui farlo non riscuoteva troppe simpatie nella puritana America.Oggi questa grande, bellissima, "piccola donna"coraggiosa non c'e' piu' e dovrebbe essere di esempio a tanto altri ebrei silenziosi di Hollywood che mai hanno avuto il fegato di difendere Israele per non perdere simpatie. Lei se ne fregava delle simpatie, lei lo diceva chiaro e tondo di amare Israele, lei combatteva per la giustizia verso Israele, lei era una vera sincera meravigliosa sionista, senza timori e vigliaccherie.
A me piace ricordarla con le parole della ZOA (Zionist Organisation of America): "La sua vita , il suo donarsi agli amici e ai loro problemi, il suo coraggio nel combattere le avversita', il suo sionismo fanno di lei una luce per Israele e sara' ricordata come "tikkun Olam - chi ha riparato il mondo".Riposa in pace, Elisabeth, che i tuoi occhi blu-violetti ci guardino da lassu' e ci proteggano come tu hai sempre voluto fare in vita.Deborah Fait, Informazione Corretta 27 marzo 2011
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Quel moderno cantautore che parla con la voce dei profeti della Torah
NEW YORK – Quanto è ebreo Bob Dylan? E quanto centrali sono le tematiche ebraiche nella sua opera? Alla vigilia del 70° compleanno di una delle figure più importanti della cultura mondiale dell’ultimo secolo, (Dylan, Robert Allen Zimmerman all’anagrafe, è nato a Duluth, in Minnesota, il 24 maggio 1941), abbiamo rivolto la domanda a Greil Marcus, uno dei massimi ‘dylanologi’ americani, autore di Bob Dylan Writings e Lipstick Traces, editi in Italia da Odoya. “In Dylan l’ossessione del peccato è centrale, come dimostra Christopher Ricks nel suo bel libro Vision of Sin”, spiega Marcus, “e nella sua accezione più profonda, il peccato è un’idea alla base del Vecchio Testamento”. Anche il Nuovo Testamento include il peccato. “Si, ma il peccato cristiano, più corporeo che morale, è all’acqua di rose, se paragonato a quello con la P maiuscola, da vero anatema divino, che aleggia nella narrativa dylaniana. Un mondo in cui chi sbaglia paga e alcuni crimini sono così irreparabili che non esiste un castigo commensurato per punirli”. Dylan è forse favorevole alla pena capitale? “Non me ne stupirei. Basta rileggere l’ultimo verso di Masters of War: “spero che moriate/e la morte vi colga ben presto/Seguirò la vostra bara/in un pallido meriggio/ resterò a vedervi calare/nel vostro letto di morte/e rimarrò sul bordo della fossa/finché sarò sicuro che sarete proprio morti”.Quali altre canzoni incarnano di più la sua filosofia del ‘peccatore senza perdono’? “E’ un leitmotiv in tutta la sua opera, da The Lonesome Death oh Hattie Carroll a Idiot Wind e da Ballad of Hollis Brown a Ain’t Talkin, tanto per citarne alcuni. Sin dall’inizio della sua attività di cantautore Dylan ha considerato il tradimento come il peggiore dei peccati. Per Giuda, da lui spesso evocato, non esiste confessione né assoluzione”. Giuda è un personaggio del Nuovo Testamento. “Però il Dylan più profondamente ebraico è quello che parla con la voce dei grandi profeti della Torah: Geremia, Isaia, Amos. Come per loro, anche nella letteratura dylaniana non conta solo ciò che si dice - il contenuto - ma come lo si dice, cioè l’intonazione. In Dylan quest’intonazione diventa la voce morale dietro la voce fisica”.
Questo binomio è presente in tutta la sua opera? “Da Like a Rolling Stone in avanti. Blind Willie Mc Tell è un ottimo esempio di come la sua conversione cristiana e il suo background ebraico siano amalgamati fino a diventare una religione unica e nuova”. Dylan è cresciuto in un ambiente molto religioso? “La sua è stata probabilmente un’infanzia più conservatrice della mia. Ma l’ebraismo Reform del Minnesota, e lo conosco bene perché mia moglie viene dalla stessa comunità, era piuttosto aperto. Non mi risulta che la sua famiglia fosse kosher”. Che tipo di Bar-Mitzvah ha avuto Dylan? “Due zie di mia moglie erano tra i 400 invitati: praticamente ogni singolo ebreo del Nord Minnesota e certamente tutti i clienti del negozio di suo padre Abe Zimmerman. Sua madre Beatty, una donna molto cordiale e amichevole, ha raccontato ad alcuni nostri parenti che Bob era sempre stato affascinato dalla religione. Al punto da frequentare, oltre alla sinagoga di Hibbing, anche tutte le chiese del villaggio”.Quella del Minnesota è una comunità ebraica molto diversa rispetto al resto degli Stati Uniti? “A Hibbing c’erano pochi ebrei, anche se avevano una sinagoga. La maggior parte di loro veniva dall’Europa dell’Est. I suoi antenati erano arrivati dalla Russia, ma non mi risulta che Dylan abbia mai cercato di approfondire le proprie radici”.Esiste una parentela artistica tra la musica di Bob Dylan e i film dei fratelli Coen, anche loro originari del Minnesota? “Sono certo che i Fratelli Coen abbiano chiesto a Dylan di collaborare con loro, così come lo so che lui abbia tratto ispirazione da film quali Fargo, Fratello, dove sei? e A Serious Man. Chi ha visto quest’ultimo film capisce l’affinità elettiva tra i tre artisti”. Qual è la canzone più ebraica di Dylan? “Le sue canzoni più ebraiche sono anche le più cristiane. In Blind Willie McTell ad esempio, Dylan pone un parallelo tra Gerusalemme e New Orleans, la servitù degli ebrei in terra d’Egitto e la schiavitù degli africani in America. La prima strofa cita Esodo 12,7, il segno sulle porte degli ebrei che li salva dalla morte dei primogeniti d’Egitto, mentre un’ulteriore citazione viene dalla Prima Lettera di San Pietro 1, 23: “Perché voi siete stati rigenerati non da un seme corruttibile ma da un seme incorruttibile”. Shalom
27 marzo 2011
NEW YORK – Quanto è ebreo Bob Dylan? E quanto centrali sono le tematiche ebraiche nella sua opera? Alla vigilia del 70° compleanno di una delle figure più importanti della cultura mondiale dell’ultimo secolo, (Dylan, Robert Allen Zimmerman all’anagrafe, è nato a Duluth, in Minnesota, il 24 maggio 1941), abbiamo rivolto la domanda a Greil Marcus, uno dei massimi ‘dylanologi’ americani, autore di Bob Dylan Writings e Lipstick Traces, editi in Italia da Odoya. “In Dylan l’ossessione del peccato è centrale, come dimostra Christopher Ricks nel suo bel libro Vision of Sin”, spiega Marcus, “e nella sua accezione più profonda, il peccato è un’idea alla base del Vecchio Testamento”. Anche il Nuovo Testamento include il peccato. “Si, ma il peccato cristiano, più corporeo che morale, è all’acqua di rose, se paragonato a quello con la P maiuscola, da vero anatema divino, che aleggia nella narrativa dylaniana. Un mondo in cui chi sbaglia paga e alcuni crimini sono così irreparabili che non esiste un castigo commensurato per punirli”. Dylan è forse favorevole alla pena capitale? “Non me ne stupirei. Basta rileggere l’ultimo verso di Masters of War: “spero che moriate/e la morte vi colga ben presto/Seguirò la vostra bara/in un pallido meriggio/ resterò a vedervi calare/nel vostro letto di morte/e rimarrò sul bordo della fossa/finché sarò sicuro che sarete proprio morti”.Quali altre canzoni incarnano di più la sua filosofia del ‘peccatore senza perdono’? “E’ un leitmotiv in tutta la sua opera, da The Lonesome Death oh Hattie Carroll a Idiot Wind e da Ballad of Hollis Brown a Ain’t Talkin, tanto per citarne alcuni. Sin dall’inizio della sua attività di cantautore Dylan ha considerato il tradimento come il peggiore dei peccati. Per Giuda, da lui spesso evocato, non esiste confessione né assoluzione”. Giuda è un personaggio del Nuovo Testamento. “Però il Dylan più profondamente ebraico è quello che parla con la voce dei grandi profeti della Torah: Geremia, Isaia, Amos. Come per loro, anche nella letteratura dylaniana non conta solo ciò che si dice - il contenuto - ma come lo si dice, cioè l’intonazione. In Dylan quest’intonazione diventa la voce morale dietro la voce fisica”.
Questo binomio è presente in tutta la sua opera? “Da Like a Rolling Stone in avanti. Blind Willie Mc Tell è un ottimo esempio di come la sua conversione cristiana e il suo background ebraico siano amalgamati fino a diventare una religione unica e nuova”. Dylan è cresciuto in un ambiente molto religioso? “La sua è stata probabilmente un’infanzia più conservatrice della mia. Ma l’ebraismo Reform del Minnesota, e lo conosco bene perché mia moglie viene dalla stessa comunità, era piuttosto aperto. Non mi risulta che la sua famiglia fosse kosher”. Che tipo di Bar-Mitzvah ha avuto Dylan? “Due zie di mia moglie erano tra i 400 invitati: praticamente ogni singolo ebreo del Nord Minnesota e certamente tutti i clienti del negozio di suo padre Abe Zimmerman. Sua madre Beatty, una donna molto cordiale e amichevole, ha raccontato ad alcuni nostri parenti che Bob era sempre stato affascinato dalla religione. Al punto da frequentare, oltre alla sinagoga di Hibbing, anche tutte le chiese del villaggio”.Quella del Minnesota è una comunità ebraica molto diversa rispetto al resto degli Stati Uniti? “A Hibbing c’erano pochi ebrei, anche se avevano una sinagoga. La maggior parte di loro veniva dall’Europa dell’Est. I suoi antenati erano arrivati dalla Russia, ma non mi risulta che Dylan abbia mai cercato di approfondire le proprie radici”.Esiste una parentela artistica tra la musica di Bob Dylan e i film dei fratelli Coen, anche loro originari del Minnesota? “Sono certo che i Fratelli Coen abbiano chiesto a Dylan di collaborare con loro, così come lo so che lui abbia tratto ispirazione da film quali Fargo, Fratello, dove sei? e A Serious Man. Chi ha visto quest’ultimo film capisce l’affinità elettiva tra i tre artisti”. Qual è la canzone più ebraica di Dylan? “Le sue canzoni più ebraiche sono anche le più cristiane. In Blind Willie McTell ad esempio, Dylan pone un parallelo tra Gerusalemme e New Orleans, la servitù degli ebrei in terra d’Egitto e la schiavitù degli africani in America. La prima strofa cita Esodo 12,7, il segno sulle porte degli ebrei che li salva dalla morte dei primogeniti d’Egitto, mentre un’ulteriore citazione viene dalla Prima Lettera di San Pietro 1, 23: “Perché voi siete stati rigenerati non da un seme corruttibile ma da un seme incorruttibile”. Shalom
27 marzo 2011
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"Riflessioni sull'omocidio dei coloni"
Nel cuore del Negev, il più grande deserto di Israele, c’è il famoso kibbutz Sde Boker. Famoso non solo perché i centri abitati del Negev sono pochi e ciascuno di essi merita di essere menzionato, ma soprattutto perché il primo capo del governo israeliano, David Ben Gurion, vi si stabilì già agli inizi degli Anni 50.Tale scelta fu fatta per proporre alla giovane nazione di cui lui era il principale architetto la sfida di un insediamento nazionale nella regione più desertica di Israele.Una regione vasta più della metà del suo territorio e scarsamente popolata da ebrei. «Nel Negev si determinerà il destino del popolo ebraico», aveva dichiarato Ben Gurion. E questa semplice frase è incisa su una grande roccia all’ingresso di uno dei campi militari sparsi nel deserto.La tomba di Ben Gurion si trova nel kibbutz Sde Boker e la lapide riporta, su sua richiesta, solo tre date: quella della nascita, quella della morte, e quella della sua immigrazione in Israele. La semplice casetta di legno dove lui e sua moglie Paula hanno vissuto fino alla morte è ancora meta di pellegrinaggio per molti israeliani e turisti.Nell’istituto di studi superiori intitolato a Ben Gurion e situato vicino al kibbutz si tengono numerose attività accademiche fra le quali ogni anno, in inverno, un festival di poesia denominato «Poesia nel deserto». A esso partecipano poeti ma anche autori di prosa, ai quali viene chiesto di leggere le loro opere. Nonostante Tel Aviv disti da Sde Boker soltanto un paio d’ore, io sono solito invitare i miei tre figli e i miei sei nipoti a unirsi a me e a mia moglie per un soggiorno nel deserto, ritenendo che ogni israeliano debba recarsi una o due volte all’anno in quei luoghi e trascorrervi almeno una notte.Abbiamo così preso alloggio in una fattoria poco lontana da Sde Boker, chiamata Zeit Midbar (Olivo del deserto): io e mia moglie nell’unico bungalow disponibile mentre i miei figli, con relativi coniugi e prole, in tende indiane riscaldate. Lì abbiamo goduto per lunghe ore l’atmosfera del deserto, la sua luce particolare, le sue voci e la vista dei pacifici animali che ci gironzolavano intorno.Quello stesso giorno ci sono giunte le terribili notizie del terremoto in Giappone e dell’omicidio della famiglia di coloni nell’insediamento di Itamar: padre, madre e tre figlioletti, tra cui una neonata di quattro mesi, brutalmente assassinati nel sonno da due terroristi palestinesi provenienti da un vicino villaggio.Questo abominevole delitto è stato esplicitamente condannato non solo dal presidente dell’Autorità palestinese, ma anche dai direttori di alcuni importanti giornali della West Bank. Il primo ministro israeliano però, non contento delle condanne giunte da tutto il mondo e dall’Autorità palestinese, ha deciso di infliggere una punizione collettiva ai palestinesi annunciando l’immediato proseguimento della costruzione degli insediamenti in molte zone dei territori occupati. Dico «punizione collettiva» perché quale colpa hanno per esempio gli abitanti di Betlemme di un omicidio perpetrato a parecchi chilometri di distanza dalle loro case per essere espropriati da terreni destinati al futuro sviluppo dei loro figli?La terra è una delle principali componenti dell’identità di un popolo, forse la più importante. L’ampio deserto che ci circonda è parte rilevante e preziosa della mia identità di israeliano e di quella dei miei figli. Se qualcuno ci espropriasse anche di una sua piccola parte protesterei e lotterei con tutte le mie forze. Lo Stato di Israele nei confini del 1967 occupava tre quarti della Palestina originale mentre allo Stato palestinese rimaneva solo un quarto. Perché dovremmo impossessarci di altri territori quando abbiamo a disposizione spazi vuoti che il padre della nostra nazione, David Ben Gurion, vedeva giustamente (sotto un profilo pratico, non romantico) come potenziali zone di insediamento?Dopo tutto, con i moderni mezzi di trasporto (che continueranno a migliorare), il Negev non è lontano dal centro di Israele. E con i sofisticati mezzi tecnologici a nostra disposizione potremmo costruire nel Negev meravigliose città moderne come è accaduto in molti luoghi desolati del mondo. Perché investire denaro in provocatori insediamenti all’interno del tessuto del popolo palestinese, insediamenti che suscitano una forte opposizione nel mondo e nello Stato ebraico e per la cui esistenza e sicurezza entrambe le parti devono pagare con spargimenti di sangue? Il passato ci ha già insegnato che insediamenti simili nella penisola del Sinai sono stati sradicati dal governo di destra con l’avvento della pace con l’Egitto.E altri irrazionali insediamenti ebraici nel cuore dei campi profughi della Striscia di Gaza sono stati rimossi con il pugno di ferro dal leader più nazionalista di Israele, l’ex primo ministro Ariel Sharon. Perché ripetere errori che l’intera comunità internazionale condanna? Perché stabilirsi provocatoriamente su territori che creeranno nuovi contrasti, quando invece Israele ha a sua disposizione ampie aree desertiche che attendono solo di essere popolate da ebrei (una scelta corretta anche da un punto di vista ecologico e morale)?Queste sono state le nostre riflessioni nell’udire le tremende notizie di quel triste venerdì giunte da lontano e da vicino mentre a Sde Boker, fiorente kibbutz nel deserto, ascoltavamo le poesie di amici che ancora credono, giustamente, che la poesia sia in grado di penetrare profondamente nei cuori.A.B.Yehoshua La Stampa 27 marzo 2011
Nel cuore del Negev, il più grande deserto di Israele, c’è il famoso kibbutz Sde Boker. Famoso non solo perché i centri abitati del Negev sono pochi e ciascuno di essi merita di essere menzionato, ma soprattutto perché il primo capo del governo israeliano, David Ben Gurion, vi si stabilì già agli inizi degli Anni 50.Tale scelta fu fatta per proporre alla giovane nazione di cui lui era il principale architetto la sfida di un insediamento nazionale nella regione più desertica di Israele.Una regione vasta più della metà del suo territorio e scarsamente popolata da ebrei. «Nel Negev si determinerà il destino del popolo ebraico», aveva dichiarato Ben Gurion. E questa semplice frase è incisa su una grande roccia all’ingresso di uno dei campi militari sparsi nel deserto.La tomba di Ben Gurion si trova nel kibbutz Sde Boker e la lapide riporta, su sua richiesta, solo tre date: quella della nascita, quella della morte, e quella della sua immigrazione in Israele. La semplice casetta di legno dove lui e sua moglie Paula hanno vissuto fino alla morte è ancora meta di pellegrinaggio per molti israeliani e turisti.Nell’istituto di studi superiori intitolato a Ben Gurion e situato vicino al kibbutz si tengono numerose attività accademiche fra le quali ogni anno, in inverno, un festival di poesia denominato «Poesia nel deserto». A esso partecipano poeti ma anche autori di prosa, ai quali viene chiesto di leggere le loro opere. Nonostante Tel Aviv disti da Sde Boker soltanto un paio d’ore, io sono solito invitare i miei tre figli e i miei sei nipoti a unirsi a me e a mia moglie per un soggiorno nel deserto, ritenendo che ogni israeliano debba recarsi una o due volte all’anno in quei luoghi e trascorrervi almeno una notte.Abbiamo così preso alloggio in una fattoria poco lontana da Sde Boker, chiamata Zeit Midbar (Olivo del deserto): io e mia moglie nell’unico bungalow disponibile mentre i miei figli, con relativi coniugi e prole, in tende indiane riscaldate. Lì abbiamo goduto per lunghe ore l’atmosfera del deserto, la sua luce particolare, le sue voci e la vista dei pacifici animali che ci gironzolavano intorno.Quello stesso giorno ci sono giunte le terribili notizie del terremoto in Giappone e dell’omicidio della famiglia di coloni nell’insediamento di Itamar: padre, madre e tre figlioletti, tra cui una neonata di quattro mesi, brutalmente assassinati nel sonno da due terroristi palestinesi provenienti da un vicino villaggio.Questo abominevole delitto è stato esplicitamente condannato non solo dal presidente dell’Autorità palestinese, ma anche dai direttori di alcuni importanti giornali della West Bank. Il primo ministro israeliano però, non contento delle condanne giunte da tutto il mondo e dall’Autorità palestinese, ha deciso di infliggere una punizione collettiva ai palestinesi annunciando l’immediato proseguimento della costruzione degli insediamenti in molte zone dei territori occupati. Dico «punizione collettiva» perché quale colpa hanno per esempio gli abitanti di Betlemme di un omicidio perpetrato a parecchi chilometri di distanza dalle loro case per essere espropriati da terreni destinati al futuro sviluppo dei loro figli?La terra è una delle principali componenti dell’identità di un popolo, forse la più importante. L’ampio deserto che ci circonda è parte rilevante e preziosa della mia identità di israeliano e di quella dei miei figli. Se qualcuno ci espropriasse anche di una sua piccola parte protesterei e lotterei con tutte le mie forze. Lo Stato di Israele nei confini del 1967 occupava tre quarti della Palestina originale mentre allo Stato palestinese rimaneva solo un quarto. Perché dovremmo impossessarci di altri territori quando abbiamo a disposizione spazi vuoti che il padre della nostra nazione, David Ben Gurion, vedeva giustamente (sotto un profilo pratico, non romantico) come potenziali zone di insediamento?Dopo tutto, con i moderni mezzi di trasporto (che continueranno a migliorare), il Negev non è lontano dal centro di Israele. E con i sofisticati mezzi tecnologici a nostra disposizione potremmo costruire nel Negev meravigliose città moderne come è accaduto in molti luoghi desolati del mondo. Perché investire denaro in provocatori insediamenti all’interno del tessuto del popolo palestinese, insediamenti che suscitano una forte opposizione nel mondo e nello Stato ebraico e per la cui esistenza e sicurezza entrambe le parti devono pagare con spargimenti di sangue? Il passato ci ha già insegnato che insediamenti simili nella penisola del Sinai sono stati sradicati dal governo di destra con l’avvento della pace con l’Egitto.E altri irrazionali insediamenti ebraici nel cuore dei campi profughi della Striscia di Gaza sono stati rimossi con il pugno di ferro dal leader più nazionalista di Israele, l’ex primo ministro Ariel Sharon. Perché ripetere errori che l’intera comunità internazionale condanna? Perché stabilirsi provocatoriamente su territori che creeranno nuovi contrasti, quando invece Israele ha a sua disposizione ampie aree desertiche che attendono solo di essere popolate da ebrei (una scelta corretta anche da un punto di vista ecologico e morale)?Queste sono state le nostre riflessioni nell’udire le tremende notizie di quel triste venerdì giunte da lontano e da vicino mentre a Sde Boker, fiorente kibbutz nel deserto, ascoltavamo le poesie di amici che ancora credono, giustamente, che la poesia sia in grado di penetrare profondamente nei cuori.A.B.Yehoshua La Stampa 27 marzo 2011
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Cinema
Il tempo si riavvolge come una vecchia pellicola e riparte il film. La fermata degli autobus, barelle che passano, Gerusalemme. Lo sguardo si appunta su chi è vivo: un hassid è uguale al atri hassidim; un giovane con la barba incolta urla a un poliziotto, il poliziotto non fa niente; un infermiere si muove con calma tra le lamiere contorte, come in un familiare spazio domestico: al posto dei mobili, macerie. La vita è bella? Il Tizio della Sera http://www.moked.it/
Il tempo si riavvolge come una vecchia pellicola e riparte il film. La fermata degli autobus, barelle che passano, Gerusalemme. Lo sguardo si appunta su chi è vivo: un hassid è uguale al atri hassidim; un giovane con la barba incolta urla a un poliziotto, il poliziotto non fa niente; un infermiere si muove con calma tra le lamiere contorte, come in un familiare spazio domestico: al posto dei mobili, macerie. La vita è bella? Il Tizio della Sera http://www.moked.it/
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Per chi in Israele ancora ritiene possibile una normalizzazione - se non una vera pace - in Medio Oriente, non è facile esprimere un giudizio sulle sommosse che nelle ultime settimane hanno agitato una decina di paesi musulmani. Da un lato, la diffusa rivolta popolare ci insegna che nel corso degli anni la politica di ostilità nei confronti di Israele è stata portata avanti da regimi dittatoriali, poco rappresentativi, e insensibili ai veri interessi della popolazione. D'altra parte, non è chiaro chi andrà al potere dopo eventuali libere elezioni in quei paesi: una coalizione moderata e pragmatica, o un gruppo di potere fondamentalista islamico? Onestamente, vista anche l'ondeggiante e contraddittoria strategia mediorientale dei paesi occidentali, nessuno lo può dire. Con chi condurre il dialogo di pacificazione, dunque? Con chi spara sulla folla e così impedisce la riforma? O con con chi tra poco sarà spazzato via dalla volontà riformatrice? Intanto andiamo a cercare sul dizionario come si dice in arabo "società civile".Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme http://www.moked.it/unione_informa/
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Terrore a Gerusalemme, triste déjà vu
Gerusalemme. Ore 15, nella saletta di montaggio, dove sono rinchiuso notte e giorno per terminare il mio documentario su: “Quest’anno a Gerusalemme” (Tg2 Dossier prima di Pasqua) arriva, sordo, un botto inconfondibile. “Pigua pigua”. “Balagan, balagan”. Attentato! Che casino! il lessico ebraico di base che si apprende appena si arriva in Israele.La fermata dell’autobus dove mani ignote, scoprirò, hanno lasciato il pacco bomba esploso è a 200 metri dall’ufficio. Esco con il mio cameraman. In ascensore, voglio ancora credere che non sia vero. Su Jaffa road, non ho più dubbi. Decine e decine di ambulanze, decine e decine di auto della polizia , decine e decine di persone corrono verso il luogo dell’attentato. Mi metto a correre anch’io, facendo zigzag tra le auto con le sirene spiegate.Dall’esplosione sono passati pochi minuti. Vedo un ferito in barella. Il primo autobus colpito dall’onda, i vetri anteriori in frantumi. Il secondo è a 20 metri , sono i vetri posteriori che si sono sbriciolati. L’ordigno è esploso sul ciglio della strada, vicino ad una cabina telefonica.Il telefonino inizia a squillare, gli sms ad arrivare. “Come stai? Tutto bene?” Arriva anche una mail dal Giappone. Avital è lì, a 500 chilometri da una centrale nucleare impazzita , eppure si preoccupa di accertarsi che i suoi amici siano in salvo.Gerusalemme , Israele, avevano rimosso gli anni 2000 - 2005. E anche io. Ieri, per tutti, il triste senso di un dèjà vu.Claudio Pagliara Per vedere il servizio sull’attentato, Tg1 20.00 del 23/3/2011, cliccca qui.
http://www.claudiopagliara.it/ 24 marzo
Gerusalemme. Ore 15, nella saletta di montaggio, dove sono rinchiuso notte e giorno per terminare il mio documentario su: “Quest’anno a Gerusalemme” (Tg2 Dossier prima di Pasqua) arriva, sordo, un botto inconfondibile. “Pigua pigua”. “Balagan, balagan”. Attentato! Che casino! il lessico ebraico di base che si apprende appena si arriva in Israele.La fermata dell’autobus dove mani ignote, scoprirò, hanno lasciato il pacco bomba esploso è a 200 metri dall’ufficio. Esco con il mio cameraman. In ascensore, voglio ancora credere che non sia vero. Su Jaffa road, non ho più dubbi. Decine e decine di ambulanze, decine e decine di auto della polizia , decine e decine di persone corrono verso il luogo dell’attentato. Mi metto a correre anch’io, facendo zigzag tra le auto con le sirene spiegate.Dall’esplosione sono passati pochi minuti. Vedo un ferito in barella. Il primo autobus colpito dall’onda, i vetri anteriori in frantumi. Il secondo è a 20 metri , sono i vetri posteriori che si sono sbriciolati. L’ordigno è esploso sul ciglio della strada, vicino ad una cabina telefonica.Il telefonino inizia a squillare, gli sms ad arrivare. “Come stai? Tutto bene?” Arriva anche una mail dal Giappone. Avital è lì, a 500 chilometri da una centrale nucleare impazzita , eppure si preoccupa di accertarsi che i suoi amici siano in salvo.Gerusalemme , Israele, avevano rimosso gli anni 2000 - 2005. E anche io. Ieri, per tutti, il triste senso di un dèjà vu.Claudio Pagliara Per vedere il servizio sull’attentato, Tg1 20.00 del 23/3/2011, cliccca qui.
http://www.claudiopagliara.it/ 24 marzo
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