martedì 22 aprile 2008

campi d'Israele montagne della Giordania


“Icone nazionaliste. Per un’analisi della rappresentazione geografica del contenzioso territoriale.”

10 aprile 2008 Marco Paganoni,

Storia e Istituzioni dello Stato di Israele,università di Trieste; Storia di Israele , Corso di Laurea in Studi Ebraici, Collegio Rabbinico Italiano, Roma.

Sintesi della conferenza

E’ con un’affermazione paradossale che il prof. Marco Paganoni ha iniziato la conferenza, tenutasi nella sala della Comunità ebraica di Verona, sul tema “Icone nazionaliste. Per un’analisi della rappresentazione geografica del contenzioso territoriale”. Ha ricordato infatti che, alla domanda di un giornalista se per la pace in Medio Oriente si deve trattare con Hamas anche se non riconosce lo Stato di Israele, Sergio Romano ha risposto: “Sì, perché il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere è materia del contendere!” A 60 anni dunque dalla fondazione dello Stato di Israele, sancita anche dal diritto internazionale, la sua esistenza, e non i suoi confini, sembra ancora materia di discussione.” Ma - ha proseguito l’oratore- anche se aberrante, purtroppo per molti è ancora così”.Ufficialmente il problema non sembra porsi più da tempo dagli interlocutori delle trattative mediorientali: nelle varie dichiarazioni rilasciate la posizione sembra ormai chiara, con la soluzione del conflitto a portata di mano. C’è la Palestina occupata, il conflitto c’è perché parte è occupata dagli Israeliani; liberare la Palestina significa porre fine al conflitto arabo-israeliano. Coerentemente tutte le fonti arabo-palestinesi (dalle più moderate alle estremiste) parlano di liberare la Palestina.Ma il dubbio sorge quando ci si pone la domanda relativa a quale Palestina si vuole liberare. E la conferenza del prof. Paganoni ha dimostrato, attraverso un’ampia serie di immagini talvolta veramente agghiaccianti, che esiste ancora oggi, sia ufficialmente sia a livello di propaganda arabo-palestinese, una pubblicistica che quando parla di Palestina non intende i territori occupati dagli Israeliani nel 1967 (sostanzialmente Gaza e Cisgiordania), ma l’integrità della terra della Palestina mandataria, cioè parla esplicitamente di terra rivendicata come la totalità della terra, per cui lo stato di Israele non ha diritto di esistere. E’ questa la posizione di Hamas e del presidente iraniano. Tale posizione si può comprovare in vari modi, citando comizi e dichiarazioni, ma il prof. Paganoni impernia la sua lezione sulla documentazione attraverso un’icona, cioè la rappresentazione geografica della mappa della Palestina come la terra rivendicata, la terra dell’irredentismo arabo-palestinese, presentando una carrellata di immagini con un’iconografia consolidata e indiscussa che caratterizza tutta una certa posizione politico-diplomatica. Spicca la costanza quasi ossessiva dell’icona della terra da rivendicare.
Oggi c’è un’evidente frattura fra le correnti palestinesi a livello religioso, culturale, territoriale così come c’è nel mondo arabo in generale: sembrerebbe allora che ci fosse una lacerazione anche a livello di progetto politico. Se Fatah ha acquisito l’idea della spartizione della terra, cioè dell’esistenza di una stato palestinese a fianco di quello israeliano, è logico che è possibile un negoziato per la pace sugli infiniti problemi che si pongono (confini, sicurezza, profughi). Ma se esiste ancora una convinzione comune, radicata e coltivata di rivendicazione di tutta la terra anche da parte delle correnti palestinesi più moderate, allora non c’è spazio per un negoziato. Come osservava giustamente la scorsa settimana il Jerusalem Post, bisogna capire se il problema è la questione dei confini o dell’esistenza dei due stati. Purtroppo vi è la rivendicazione della totalità della terra e ciò è comune a posizioni palestinesi anche molto distanti fra loro.Dopo queste premesse il prof. Paganoni ha mostrato le immagini da lui scelte, facendoci notare che sono tutte molto recenti e non vogliono certo riferirsi alla Palestina storica.

Tre sono i modi legittimi dal punto di vista storico e giuridico di rappresentare la terra di cui si parla:
1 la carta geografica che rispecchia la situazione della spartizione dell’ONU del 1947, con uno Stato Ebraico, uno Arabo e la zona internazionale di Gerusalemme (mappa che per altro è rimasta sulla carta per il rifiuto arabo e lo scoppio della guerra )
2 la carta storica che rappresenta la situazione di fatto dopo la I guerra di indipendenza. La terra è divisa: abbiamo Cisgiordania e Gaza sotto il controllo degli eserciti arabi rispettivamente giordano e egiziano e lo Stato di Israele che comprende tutto il resto. La situazione di fatto si è protratta dal ‘49 fino al 1967. E qui abbiamo Israele entro i confini (linea verde) così come li ha riconosciuti la comunità internazionale al momento della nascita dello stato ebraico ed è su questa situazione che si svolgono i vari negoziati.
3 la mappa che rappresenta lo stato di fatto giuridico e diplomatico dopo il processo di pace degli anni ’90. Qui Israele è entro i confini di Egitto (pace 1979), Libano , Siria (linea separazione delle forze1974) Giordania (pace 1994); Gaza e Cisgiordania divisa in zona A e B con parziale giurisdizione palestinese secondo gli accordi del ’95. Questa è la mappa che si trova sui siti ufficiali per esempio del Ministero degli Esteri israeliano. Ma il mondo arabo-palestinese non usa nessuna di questa tre carte. Quando parla di Palestina intende sempre la terra integrale e in un manifesto, che l’oratore ci mostra in foto, qualora non bastasse l’icona, il concetto è ribadito dallo slogan “ from the river to the see Palestine will be free”.Il Prof. Paganoni ha dimostrato quindi, con la sua solita chiarezza e serietà di documentazione, che si indica la Palestina con l’icona della terra integrale con una costanza notevole in svariate immagini ufficiali che vanno dai simboli delle diverse rappresentanze armate palestinesi (OLP, FATAH, PFLP, DFLP, PLF, Movimenti Giovani Studenti, Comitati Resistenza Palestinese), dove alla mappa si associano spesso armi e kefiah e bimbi che tirano sassi, a quelli dei movimenti jihadisti in cui la mappa è associata a simboli religiosi quali la cupola della moschea di Gerusalemme, la Cupola della Roccia ( quasi a dire che non basta una Palestina tutta araba, si vuole una Palestina tutta islamica).

Molto spesso nelle mappe ci sono città come Gerusalemme e Jaffa, perché sono anche città arabe, ma manca Tel Aviv perché città ebraica. Particolare rilievo merita il fatto che i simboli dell’OLP e di Fatah, movimenti nati come antagonisti di Israele, passano senza modifica alcuna all’Autorità Palestinese, che invece nasce grazie ai negoziati con Israele degli anni ‘90. E la mappa integrale ritorna allora nei simboli degli svariati organismi e ministeri nati dall’Autorità palestinese, così come nell’icona della televisione gestita da Fatah. Persino nei locali delle Nazioni Unite si sventolava la bandiera con la mappa integrale accanto a quella dell’ONU ogni 29 novembre, giorno in cui l’ONU votò la spartizione dei territori e in cui da allora il mondo arabo celebra la giornata di solidarietà con il popolo palestinese. Solo dopo reiterate proteste da parte anche di Israele, dal 2006 si è tolta la mappa, ma la giornata si continua a celebrare.Questi simboli ricordati fino ad ora e mostrati dal Prof. Paganoni sono tutte espressioni ufficiali dei movimenti palestinesi e dell’autorità palestinese; ancor maggiori di numero e con infinite varianti ma con la costante della mappa integrale sono quelli che si possono trovare nei vari siti web palestinesi o arabi o filopalestinesi o filoarabi: addirittura la mappa integrale è presente in AMAL, sito italiano ONLUS di “solidarietà” per la pace dei bambini.In qualche immagine la rivendicazione non è più contro l’occupazione israeliana, ma contro l’apartheid israeliana. E qui il prof. Paganoni ha espresso una riflessione e un commento molto interessante in quanto da qualche tempo nelle proteste il tema dell’apartheid sembra affiancarsi se non addirittura sostituirsi a quello della libertà. L’apartheid era il regime nato in Sud Africa quando un gruppo minoritario di bianchi, che deteneva il potere, negava i diritti civili e politici fondamentali alla maggioranza di colore. Nello stato di Israele non c’è l’apartheid perché si ha una maggioranza di Ebrei che riconosce i diritti civili e politici alla minoranza araba che vive in mezzo a loro e non c’è nemmeno nei territori. Però si denuncia sempre più spesso l’apartheid israeliana. Questo mutamento piuttosto esplicito ha una sua spiegazione profonda. Nel momento in cui Israele, come governo e come opinione pubblica e politica, si è dichiarato pronto a dividere la terra , come sempre si era dichiarato, dimostrando anche con i fatti concreti (negoziati, ritiro da Gaza, accettazione della road map, accordi di Camp David del 2000, ecc) che è pronto a far nascere uno stato palestinese al proprio fianco, non si parla più di occupazione, ma di apartheid. Quando si denuncia un’occupazione, si evoca un ritiro dell’occupante entro i suoi confini, ma quando si denuncia l’apartheid, si evoca un cambiamento totale di regime e di comando. Perciò come Israele è pronto a dividere la terra, inizia la campagna contro l’apartheid e inizia con l’icona della mappa integrale. Non interessa dividere la terra, interessa cambiare gli assetti di potere di quella terra.Ritroviamo poi la nota icona in giochi grafici, poster recenti, vignette satiriche in cui i cartoonist con notevole abilità tecnica e artistica presentano sempre, come costante, il riferimento alla Palestina attraverso la mappa integrale ( spesso con giochi dei colori della bandiera palestinese), ora calpestata dall’invasore israeliano brutalmente sovrapposto, ora incatenata e bloccata da lucchetti Usa e Israele, ora trasformata in grattacielo accanto al gemello grattacielo Iraq a commento dell’attentato dell’11 settembre alle Twin Towers con un’ apoteosi del revisionismo storico che mostra questi due stati quali vere vittime dell’attentato. Talvolta c’è il colono con i tratti somatici dell’ebreo del nazismo degli anni ’30, ma vestito con jeans e con mitra imbracciato, trafitto dalla mappa Palestina. L’icona si usa anche senza alcun riferimento politico: quando si vuole identificare una famigliola comune palestinese, si pone sullo sfondo la mappa.

Accanto alla mappa vi è spesso Handala , il personaggio creato da un cartoonist palestinese di fama mondiale che rappresenta il palestinese in esilio: è un bimbo ripreso sempre di spalle, lacero, senza scarpe, che vive nella paziente attesa del ritorno alla sua terra rappresentata appunto dalla mappa integrale. Addirittura in una striscia di un fumetto Handala pian piano si trasforma nell’icona della mappa, segno che sta perdendo la sua pazienza. Anche nelle scuole palestinesi che esistono dal 1994-95, cioè da quando esiste l’Autorità palestinese, le mappe per spiegare agli alunni la situazione del loro paese sono tutte con la terra integrale. Molto spesso l’icona è inserita fra gli altri stati arabi indicando un’unità araba in medioriente, segno che il nazionalismo arabo è più forte di quello palestinese e che in quella zona non c’è spazio per un’altra comunità diversa. Un’immagine mostra la scuola a ispirazione religiosa di Hamas a Gaza con la carta geografica con la terra integrale e la maestra che, alla domanda di un bimbo “ dove abitano i Palestinesi?”, risponde “ A Gaza, in Cisgiordania e nelle terre del ‘48”, alludendo a coloro che vivono in Israele ma evitando accuratamente anche solo di nominarlo. E’ lampante l’indottrinamento cui sono sottoposti gli alunni. Pure i libri scolastici e non rappresentano la mappa integrale, anche se editi in occidente. Due concetti importanti vengono poi esaminati dal prof. Paganoni: la Naqba e Al Awda.Naqba significa disastro e per noi occidentali allude alla situazione dei profughi palestinesi. La Naqba però viene celebrata il 14 maggio, cioè il giorno della nascita dello Stato di Israele, in quanto il “disastro” dai Palestinesi è identificato con Israele. Nella celebrazioni vi sono cortei in cui le persone portano grandi mappa integrali in compensato o cartone come vessilli.Al Awda significa “ritorno”, un tema fondamentale per il mondo palestinese che pretende il diritto al ritorno dei profughi, figli e nipoti nelle proprie case, nei propri campi, nelle proprie terre, non tanto nel futuro stato di Palestina. ( da notare che per il diritto internazionale non ha diritto alla condizione di profugo il nipote). La simbologia qui ricorre all’icona della chiave quasi sempre associata alla mappa integrale. Se in sede di negoziazione i rappresentanti palestinesi tendono a minimizzare questa rivendicazione, di fatto in sede di pubblicistica il messaggio che si dà è che la chiave deve riaprire la porta della vecchia casa abbandonata. Anche qui le immagini sono svariate ma sempre con la costante della chiave e della mappa: c’è l’aquila (simbolo del Saladino quindi del potere arabo) che porta la chiave al profugo, c’è il bimbo con la bomba in mano piangente di fronte alla mappa al quale si insegna che con le armi potrà riottenere i diritti di cui è privato, c’è la colomba della pace incatenata perché ai profughi è negato il ritorno. C’è perfino un’immagine anatomica: il cuore è dato dalla moschea di Gerusalemme, la trachea dalla chiave e i polmoni dalla mappa in questo caso per l’occasione raddoppiata. Il cuore pulsante dell’islamismo darà la chiave ai profughi perché possano rientrare nei territori da cui sono stati cacciati impadronendosi di tutta la terra.Il prof. Paganoni è passato poi ad illustrare alcune immagini dei graffiti sui muri delle strade in cui sempre e costante ritorna l’icona della mappa.Infine l’oratore ha presentato il mondo del gadget, mondo banale, se si vuole, che ha molta importanza perché fa opinione. Infiniti gli oggetti ritratti da proporre in vendita, ma tutti rigorosamente con l’icona della mappa: si va dai ciondoli alla kefiah da usare come sciarpa, dalle collane all’Handala portafortuna, dalle spille con slogan sulla Palestina libera alle magliette, in vendita anche su internet, con scritte stampate sulla mappa quali “le mie radici sono nel suolo della Palestina”, o “Palestina, 60 anni di occupazione” (Da notare che Cisgiordania e Gaza sono occupate dal ’67, quindi da 41 anni; la scritta perciò allude alla nascita dello stato di Israele, vista come occupazione di terre palestinesi). Ancora una volta quindi si nega ad Israele il diritto di esistere.

A conclusione della sua conferenza il prof. Paganoni, sollecitato da una domanda di un ascoltatore, ha ribadito la gravità dell’indottrinamento della popolazione palestinese e la presenza di un forte iato fra le posizioni ufficiali di quanti, anche in buona fede, operano a livello di negoziazione politica e l’opinione della massa e il suo immaginario collettivo. Certa pubblicistica però non solo viene tollerata, ma anche talvolta favorita per avere l’appoggio della popolazione.

Annamaria Petrone
v. mappe su ”Israele-Palestina, la lunga via per la pace”, Proedi editore 2006, pag. 26/30 e su http://www.israele.net/categories.php?type=scat&maincat=105

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