venerdì 4 aprile 2008

Gerusalemme


«Il ponte-arpa di Calatrava mette in crisi Gerusalemme»


GERUSALEMME ‹ Fania tiene le tende chiuse anche di giorno per non vedere il «mostro» che cresce. Il «mostro», come lo chiamano lei e gli altri vicini, è venuto su lentamente, più piano di quanto avrebbe voluto chi l'ha progettato. È venuto su lentamente, ma adesso è la cosa più alta che ci sia a Gerusalemme: 120 metri, un pennone d'acciaio visibile da qualunque punto della città. Dà il benvenuto a chi arriva da nord-ovest ed è risalito verso le montagne dal mare e dalla piana di Tel Aviv. Quando sarà finito ‹ il comune spera nelle prossime settimane ‹ accoglierà i capi di Stato e i primi ministri, invitati per le celebrazioni dei 60 anni dalla fondazione di Israele.

Disegnato dall'architetto Santiago Calatrava, il dito di acciaio poggia su un ponte, una virgola di metallo che si curva tra i palazzi. A raggiera, si aprono 66 cavi che reggono il viadotto, dove entro il 2010 passerà la nuova linea di treno leggero. «Ho pensato a un'arpa ‹ ha commentato Calatrava ‹ lo strumento suonato da re Davide. Mi è sembrato un simbolo per la città». I detrattori del progetto fanno paragoni con immagini meno eleganti e ispirate. «Quel punto è troppo affollato di case, persone, auto ‹ dice il poeta Haim Gouri al New York Times ‹ e il valore estetico del ponte va completamente perso, avrebbe bisogno di spazio. È stato messo nella zona più inappropriata». Calatrava è stato scelto da Ehud Olmert, primo ministro israeliano e allora sindaco di Gerusalemme. «Quando sono andato a firmare il contratto ‹ ricorda l'architetto spagnolo ‹ mi ha detto: lei ha creato molti ponti, per Gerusalemme deve idearne uno che davvero significhi qualcosa. Questa sarà l'opera più bella che avrà mai fatto».

Che Calatrava abbia creato molti ponti ‹ oltre quaranta, uno sul Canal Grande a Venezia ‹ irrita i critici più che confortarli. «Questa città è unica ‹ spiega l'architetto Arthur Spector ‹, non ha senso costruirci qualcosa che si può trovare nel resto del mondo». L'area scelta è una delle più congestionate, smog e confusione. «E anche una delle più brutte, con o senza il ponte», continua Spector. È l'incrocio dove si incontrano via Jaffa e viale Herzl, in certe ore sembra che tutti gli israeliani si siano dati appuntamento qui. In macchina. I costi del progetto sono cresciuti quanto il pennone d'acciaio e il comune arriverà a sborsare 70 milioni di dollari (circa 44 milioni di euro). «La spazzatura invade le strade e le case vengono abbattute per fare spazio a orribili palazzi moderni. Sarebbe stato meglio investire per rilanciare una città che il cemento sta abbruttendo», dice Yoram Amir, fotografo che documenta «gli scempi edilizi ». Più che cemento è pietra, i blocchi giallo-rossa pallidi vecchi di millenni, utilizzati anche per i nuovi edifici e che Calatrava ha voluto per la base del ponte.Ex ufficiale dei paracadutisti, Amir si sente «più nemico di Calatrava che dei palestinesi». Con il gruppo di anarchici che guida nelle sue azioni di guerriglia urbana, è salito due volte in cima alle gru che stanno lavorando al progetto.

Nell'ultimo raid ‹ pochi mesi fa ‹ ha minacciato di buttarsi di sotto, se la costruzione non fosse stata fermata. «È come una spada piantata nel cuore della città. Il popolo ebraico è contro gli idoli e i religiosi hanno lasciato che una statua venisse eretta alle porte di Gerusalemme ».La galleria del fotografo è in mezzo agli odori del mercato Mahane Yehuda. Sulle pareti, finestre che si aprono ormai solo sul muro, reliquie di antichi palazzi distrutti. «Rappresentano la nostra memoria e l'abbiamo seppellita troppo in fretta, come bambini che giocano al Monopoli e si sfidano a chi costruisce di più».
Calatrava spiega di aver voluto innalzare un ponte che sembrasse volare, una curva di metallo sospesa sopra i tetti delle auto. «Volevo dare l'idea di un'entrata, un punto d'accesso. Non tirar su un altro muro». Gli urbanisti progettano di sviluppare sotto al cavalcavia una piazza con centinaia di alberi. «Se un senso di rinnovamento comincia ad emergere‹ scrive Amotz Asa-El sul Jerusalem Post
‹ la città potrebbe richiamare le élite laiche che l'hanno abbandonata. Poche cose simbolizzano il suo declino più della fuga di intellettuali e scrittori. Anche Olmert, terminati i nove anni da sindaco, si è comprato un appartamento a Tel Aviv».

Corriere della Sera 3 aprile 2008 di Davide Frattini

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