venerdì 4 aprile 2008


No. 339 - 7.1.08

Tel Aviv- Gondar-Tel Aviv, un giro sulle montagne russe delle emozioni
Jacob (Yankele) SnirDirettore per l’Europa del Keren Hayesod
Cari amici,
Il mese scorso sono tornato da un altro viaggio in Etiopia. A farmi compagnia c’erano una meravigliosa famiglia olandese, che mi aveva affiancato durante una breve missione, e 50 olim, che si erano imbarcati ad Addis Abrba alle 3:00 del mattino e 4 ore dopo si sono svegliati all’aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv. Siamo scesi dall’aereo poco dopo l’alba e quel momento ha segnato la fine di centinaia d’anni d’esilio per i miei amici etiopi.
Non appena messo piede a terra la maggior parte di loro è caduta in ginocchio e ha baciato l’asfalto della pista d’atterraggio. Ancora una volta ho dovuto asciugare di nascosto una lacrima che scivolava giù lungo la mia guancia.
Il volo Addis Abeba – TLV ha letteralmente attraversato l’intera lunghezza del Mar Rosso, per cui era di fatto impossibile non ripensare all’esodo biblico. Se dividere il Mar Rosso era stata un’impresa quanto meno ardua, immaginate che cosa significhi passare dalla realtà della regione rurale di Gondar (da dove i Falashmura provengono) all’Israele del 21° secolo in sole 4 ore.
Come ha fatto questa tribù perduta a preservare la sua fede, a celebrare lo Shabbath, a cantare ninna nanne su Gerusalemme ai suoi bambini? Dove hanno trovato l’ostinata determinazione per sfidare monarchi, missionari e vicini diversi da loro, che hanno tutti cercato invano di assimilarli, e questo nonostante siano rimasti completamente tagliati fuori del resto della comunità ebraica, della cui esistenza non erano nemeno consapevoli? Perché 4.000 membri della comunità Beta Israel hanno sacrificato le loro vite (1978-1984) vagando nel deserto del Sudan alla ricerca di Gerusalemme? Che cosa li ha spinti a mandare ogni mattina i figli alla scuola ebraica lungo un sentiero di montagna traditore che non può essere percorso in meno di tre ore di cammino?
La settimana scorsa mi sono fermato di nuovo di fronte alla scuola di Ambover (dove ora risiedono non ebrei) e non ho trovato risposte. La mancanza di risposte ha solo aumentato la mia ammirazione, che è cresciuta ulteriormente mercoledì mattina, quando ci siamo uniti alla preghiera del mattino (Shacharit) nella sinagoga del campo di Gondar. Più di seicento tra uomini e donne, tutti avvolti nei Talitot, hanno seguito intensamente i giovani chazanim, si sono alzati in piedi per l’Amidah e hanno trafitto i nostri cuori quando hanno ripetuto lo Shma Israel. Un’ora dopo eravamo nel cortile della scuola, dove centinaia di bambini Falashmura hanno iniziato la giornata cantando l’Hatikwah, steccando terribilmente, ma anche così le parole Li'hiot Am Chofshi Be'arzeinu, Eretz Zion Jerushalaim (Essere un popolo libero nella nostra terra, Patria Sion Gerusalemme) hanno assunto il loro più profondo significato mentre risuonavano in quel cortile.
Ci stiamo avvicinando alla fine di un capitolo della storia degli ebrei etiopi. Ci sono ancora 1425 Falashmura che hanno ricevuto il permesso di fare l’Aliah e arriveranno tutti in Israele prima del prossimo luglio.
L’Agenzia Ebraica è stata coinvolta nel progetto etiope dal primo istante. Per più di vent’anni abbiamo mandato gli ebrei nella loro terra promessa. Hanno aspettato per generazioni che questo momento arrivasse, silenziosamente, con infinita pazienza, con impareggiabile dignità, con una capacità di resistere alle avversità che noi non avremo mai, con quella rimarchevole innocenza che rende la loro integrazione in Israele così difficile!
Negli ultimi 4 anni Ori Konforti ha guidato la squadra dell’Agenzia Ebraica per Israele in Etiopia. Ogni settimana è responsabile di una delle più emozionanzi visioni notturne di Addis Abeba: l’arrivo degli olim, che emergono dal buio nelle loro vesti bianche e caricano i loro averi nei camion che aspettano sul ciglio della strada. In silenzio salutano i parenti che si lasciano alle spalle. I genitori baciano i figli nella speranza di poterli rivedere in un futuro non troppo lontano. Per molti di loro questo è il momento che hanno aspettato per 7-9 anni! Le forze di sicurezza lì vicino controllano ogni mossa.
Verso mezza notte il convoglio si mette in Marcia verso l’aeroporto. Per tutti loro è il primo volo della loro vita. Arrivati all’aeroporto devono superare i metal detector, che mai sveleranno la determinazione d’acciaio di queste persone a raggiungere Gerusalemme.
Quando il segnale d’imbarco si accende, Ori accompagna gli olim al cancello e li saluta; cinque ore dopo il personale dell’Agenzia Ebraica per Israele in forza presso l’aeroporto Ben Gurion dà loro il benvenuto in Israele e li assiste nei loro primi passi in patria. Se ho detto che un capitolo è quasi chiuso, devo aggiungere che la sfida più grande la dobbiamo ancora affrontare: l’integrazione. Le sfide dell’integrazione sono molto più grandi di quanto noi vorremmo pensare. È un processo complesso, a lungo termine e richiede la cura e la compassione che preferiremmo riservare a periodi di tempo più brevi. È qui che verremo giudicati dalle future generazioni.
Non possiamo permetterci di venire loro meno, non possiamo venire loro meno, e non lo faremo, con il vostro aiuto!
È grazie a Sylvia, Albert, Tsirah, Ishay e Meirah, che hanno insistito tanto per andare in Etiopia, che io ho avuto il privilegio di essere testimone di questo esodo dei giorni nostri. La mia gratitudine verso di loro viene qui ribadita.
In fede,
Jacob (Yankele) Snir

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