giovedì 5 giugno 2008


Cucina ebraica italiana

Parlando di cucina ebraica, bisogna distinguere fra le molte cucine delle diverse comunità israelitiche sparse per il mondo, e in particolare per l'Europa, il Mediterraneo e il Vicino Oriente. Ciascuna di esse, pur mantenendo fondamentali radici comuni, fra cui naturalmente quelle collegate all'osservanza dei precetti religiosi, ha assorbito caratteristiche specifiche delle regioni geografiche in cui si è trovata, talvolta trasportandole in altre regioni a seguito di esodi e migrazioni. L’evoluzione della cucina ebraica nel vecchio continente passa per l’allontanamento degli Ebrei dalla Palestina messo in atto dai romani nel 70 d.C. e la successiva distinzione degli Ebrei fuoriusciti in: ashkenaziti e sefarditi. Il nome dei primi deriva da “Ashkenaz” (Germania) e indica le comunità stabilitesi nell’Europa centrorientale. Quello dei secondi proviene da “Sepharad” (Spagna) e identifica gli ebrei della Penisola Iberica e della Francia meridionale. Questa distinzione si ritrova anche in cucina dove, ferme restano le norme religiose, gli ashkenaziti spiccano per sobrietà (brodo, pesci ripieni, aringa, patate, composte di frutta), mentre i sefarditi apprezzano piatti più sostanziosi e aromatici (stufato di carne e prugne, pesce in agrodolce, insalata di carote al cumino). La cucina ebraica ha sempre esercitato una forte attrattiva sui buongustai europei, sia per l’impiego di ingredienti poco consueti che per l’uso di spezie e particolari tecniche di preparazione. Quest’alimentazione è pervasa da sentori di cannella, zenzero e altri aromi, ma anche d’aglio, coriandolo, menta e zafferano.
L’esperienza italiana si presenta divisa dalla linea di spartizione costituita dalla dorsale appenninica. Da una parte, nelle comunità della valle del Po, dal Piemonte al Veneto e alle Romagne, oltre che nelle località delle Marche e del litorale adriatico, stà un'alimentazione e una gastronomia caratterizzate dai consumi dell'oca (allevata come succedaneo del proibito maiale), dei suoi insaccati e derivati (prosciutti, salami, foie gras, griboli, eccetera). Si tratta di una cucina unta con il grasso dell'oca, che nasceva dalla fusione di elementi propri della cucina araba con i piatti popolari della pianura padana, dove erbe e radici venivano consumate in grande quantità. Importante in questa area anche i sapori orientali in agrodolce come le celebri sarde in saor. A fianco della gastronomia padano adriatica, troviamo un'altra cucina ebraica, quella rappresentata dagli ebrei di Roma, caratterizzata dall'uso pressoché esclusivo dell'olio d'oliva per la cottura e il condimento. Questa cucina, che chiameremo romano tirrenica, condizionata da forti influssi meridionali, si introdusse in seguito, almeno in parte, nelle comunità di origine sefardita della Toscana, specialmente a Livorno. Documenti dei Cinquecento ci mostrano che gli ebrei romani abbondavano nella loro alimentazione di spezie (pepe, chiodi di garofano, coriandolo, cannella e zafferano), che consumavano spesso minestre di legumi, soprattutto lenticchie, e che apprezzavano le castagne e i marroni (lessi o arrosto). In particolare erano forti consumatori di finocchi e soprattutto di carciofi preparati alla giudia. Nell'età del ghetto (dopo seconda metà del ‘500) gli ebrei si trasformarono, più per necessità che per amore, in forti mangiatori di frattaglie e carne secca, preparate e cucinate in un'infinità di modi, dai sapori forti e seducenti. Se gli ebrei romani, a seguito delle ingerenze pontificie, s'inventarono gli aliciotti con l'indivia (tortino fatto di acciughe), o il baccalà servito con una salsa agrodolce, i livornesi tra Settecento e Ottocento crearono il cacciucco, anche se senza i vietati molluschi. Gli ebrei sono sempre stati famosi per i loro dolci tipici e ricercati. Nell’area nord era popolare la spongata, mentre al centro si preperiva il tortolicchio (miele e mandorle), dolce speciale della festa di Purim (carnevale degli ebrei) dalla origini medievali. http://www.taccuinistorici.it/

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