giovedì 5 giugno 2008


La cucina israeliana ha le sue origini nella commistione delle diverse tradizioni gastronomiche delle comunità ebraiche che nel 1948 si riunirono per la fondazione dello stato. Le caratteristiche unificanti di questa cucina sono da attribuire al sistema delle regole religiose e al calendario delle feste (il sabato gli osservanti non accendono nemmeno il fuoco).
Per gli ebrei cibarsi è un atto sacro e il modo di preparare il cibo è regolato da un codice severo di leggi d’ordine igienico, psicologico, estetico, religioso. Secondo la precettistica ebraica un cibo può essere consumato dall’uomo solo se è permesso, cioè dichiarato “kasher”, ossia conforme alla legge dalla Torah, composta di cinque libri dove si raccoglie ben 613 precetti, molti dei quali riguardano il comportamento alimentare.
La normativa ebraica riferita all’alimentazione riguarda soprattutto i cibi d’origine animale che vengono suddivisi in leciti oppure vietati; frutta e ortaggi sono tutti quanti permessi. Molto rigorose le leggi che regolano la macellazione rituale, effettuata solo da uno “shochet” che ha seguito un cammino specifico ottenendo il permesso a macellare dal rabbino. Quest’atto consiste nella recisione istantanea della trachea e dell’esofago dell’animale, assieme alle vene giugulari, allo scopo di limitarne la sofferenza, ed eliminare quanto più sangue possibile, il cui consumo è vietato poiché simbolo di vita. Per accertare che ogni residuo di sangue sia eliminato si ricorre alla lavatura e salatura. Gli animali definiti leciti sono quelli che hanno lo zoccolo diviso e appartengono ai ruminanti. Vietati tutti gli animali carnivori, oltre a maiale, cinghiale, cavallo, asino, mulo, coniglio. Tra i volatili sono leciti quelli tipici da cortile come oca (da alcuni definita il maiale degli ebrei), pollo, tacchino, colombi, tortore. Vietata la selvaggina da piuma perché uccisa con mezzi contrari al rituale ebraico. Come animali acquatici sono leciti tutti quelli che hanno pinne e squame (pesce azzurro, tonno, sardine, aringhe, carpe, salmoni ecc.). Divieto viene fatto di consumare le anguille, tutti i crostacei (aragoste, gamberi, granchi), frutti di mare e molluschi.
Secondo la Torah è vietato anche mescolare carne e derivati con latte e suoi derivati. Questa proibizione pone una serie di problemi anche pratici in cucina e nell’organizzazione della dispensa. Pentole, padelle, piatti, vassoi, posate, usati per cucinare, tagliare o consumare la carne non possono essere adoperati per mangiare i latticini. Nelle mense ebraiche tutti gli utensili vanno dunque destinati all’uso di una o dell’altra categoria e riposti in contenitori e ambienti separati. Lo stesso discorso vale per la conservazione nei frigoriferi.
Sono definiti “parve” gli alimenti che non sono ne carne ne latte (vegetali o derivati della soia) che possono essere mangiati con tutto. Vengono inoltre proibite le bevande fermentate ad eccezione del vino, il quale a sua volta deve essere realizzato secondo un rigoroso sistema di produzione e certificazione.
Le varie comunità ebraiche applicano queste norme con diversi gradi di rigore, ma in sostanza la cucina elaborata nello stato d'Israele si basa su latte, yogurt e formaggio (zefat e labana), sugli spiedini di carne (kebab e shashlik), e sul pane preparato nelle molte varianti, dal pane azzimo (khubz), ai panini dolci destinati al “Shabbat” (brahes). http://www.taccuinistorici.it/

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