domenica 30 novembre 2008


«Muro rosa»

GERUSALEMME — È piccolo, 38 centimetri per 46. E non è un capolavoro. Pur sempre un Matisse, però: quando glielo chiedevano, nemmeno il grande Henri sapeva più dove fosse finito. Il «Muro rosa» l'aveva dipinto in Corsica a fine Ottocento, pochi giorni di lavoro, esposto in un paio di gallerie parigine. Si ricordava d'un mercante d'arte bavarese, Justin Thannhauser, che l'aveva comprato nel 1914 e in treno l'aveva portato a Monaco. Tutto qui. Fra le due guerre, se n'erano perse le tracce. La tela era sparita nel nulla. Inghiottita nei gorghi della storia. Finita nella tragedia dell'Olocausto. Sballottata fra musei e magazzini. L'estate scorsa, «Il muro rosa» è stato esposto con altre opere a Gerusalemme, una mostra intitolata «Di chi sono questi quadri?». Giovedì, è arrivata la risposta: il governo francese ha restituito il Matisse a un'organizzazione benefica inglese e a Magen David Adom, la crocerossa israeliana. Restituendo a noi la straordinaria odissea di questo piccolo, grande quadro.La sua storia emoziona più dei suoi colori. E la pazienza d'una ricercatrice, Marina Blumberg, ne ha ricostruito le vicende. Passato di mano in mano, «Il muro rosa» era finito nell'eredità paterna d'un rampollo ebreo della telefonia tedesca, Henri Fuld Junior, fuggito a Londra (1937) dopo aver lasciato dov'era la collezione d'arte del padre.Messo all'asta cinque anni dopo da un antiquario berlinese, Hans Lange, il Matisse non fu mai battuto: Lange preferì regalarlo a un amico chimico, ufficiale delle Ss, Kurt Gerstein. Figura controversa, questo Gerstein, raccontata anche in un film di Costa- Gavras, Amen: quando scoprì d'aver brevettato un diserbante, il Zyklon-B, che veniva usato per le camere a gas, cercò di contattare il Vaticano per denunciare l'orrore, quindi si consegnò ai francesi, scrisse un dossier contro i gerarchi nazisti (utilizzato a Norimberga) e infine s'impiccò in cella, venendo riabilitato solo nel '65.E il Matisse? Dopo la guerra, Henri Fuld si mise a cercarlo.Inutilmente. Perché la tela, recuperata fra le cose di Gerstein, sul retro aveva un timbro dei doganieri francesi: era stato apposto nel 1914, quando il gallerista Thannhauser aveva portato l'opera in Germania, ma ciò bastò a far credere che fosse di proprietà della Francia. Finì nei magazzini, poi in esposizione al Museo d'arte moderna di Parigi. Nel '63, Fuld morì senza saperne nulla. I suoi averi passarono a una donna, Gisela Martin, pure lei ignara, che nel 1992 lasciò tutto a questa charity inglese legata alla crocerossa israeliana. Di qui, la lunga battaglia legale e la restituzione del maltolto: «Magen David Adom venderà il Matisse — commenta Stuart Glyn, il presidente — e i soldi saranno usati per fornire ospedali e acquistare ambulanze ». Chi esporrà il quadro, è da vedere: se lo contendono musei tedeschi e israeliani. Delle 60mila opere ritrovate dopo la guerra, molte rese a famiglie ebree, ce ne sono duemila in cerca d'un padrone: Vlaminck, Delacroix, Ernst, Courbet, Fragonard, Utrillo, Picasso, Léger, Monet, Cézanne... «Ora — dice Glyn — stiamo cercando di riavere in Russia, dall'Hermitage, due tele italiane del '500 e un Buddha del XII secolo». La caccia ai nazisti è quasi finita. Ai loro bottini, appena cominciata.

CORRIERE della SERA del 29/11/2008 che ripropone e ricostruisce una vicenda raccontata dal regista Costantin Costa-Gravas nel controversi film "Amen", da rivedere in questi giorni che hanno visto riemergere il caso delle responsabilità di Pio XII.

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