sabato 13 dicembre 2008

"E' surreale la via della libertà"

Cosmopolita, atee-anarchico, ebreo (anche), la maggiore biblioteca al mondo sul pavimento di Breton & C.
Al riparo dal frastuono della città, in un piccolo cortile trasformato in giardino, quella di Arturo Schwarz è una straordinaria casa della vita nel cuore della vecchia Milano. Dietro la grande parete di vetro, un vecchio padiglione industriale è diventato un guscio luminoso su tre piani che lascia senza fiato. Come altrettante presenze e numi tutelari, quadri, sculture, oggetti rari tappezzano muri e ripiani: Duchamp e Max Ernst, Dorothea Tanning, Jacques Hérold e Baj, maschere e totem, sculture papua e scudi africani. Non meno sorprendente è l'ala della casa riservata ai quarantamila volumi di una biblioteca frutto della varietà d'interessi e della sete di conoscenza del padronedi casa.Figura eccentrica e cosmopolita, Arturo Schwarz è apprezzato a livello internazionale come storico dell'arte, saggista e poeta. Lui ama definirsi un ateo-anarchico, un surrealista e un «ebreo, anche», come recita il titolo duchampiano del suo ultimo libro, nove riflessioni di carattere storico-filosofico in cui, sul filo della Bibbia e del Talmud, di Spinoza e di Freud, propone la sua visione del mondo. Spaziando dalla Cabala al tantrismo, dall'arte tribale e preistorica a quella d'avanguardia, dall'alchimia al marxismo, ha pubblicato una cinquantina di testi e celebri sono le sue monografie su Breton, Duchamp e ManRay di cui è stato amico. Ma non è tutto. Grande esperto e collezionista di dada e del surrealismo, ha costruito con ostinato rigore una prestigiosa raccolta di opere che in grandissima parte, quasi 450 pezzi, sono finalmente approdate alla Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma mentre la biblioteca, che comprende le preziose e assai rare collezioni di riviste ed edizioni dell' avanguardia storica, è destinata ad Israele.
Perché dividere un patrimonio così importante, soprattutto per la documentazione dada e surrealista che in Italia è davvero unica?«E' anche la più completa al mondo. La storia è lunga.Una ventina d'anni fa, ho cercato di donare allo Stato Italiano tutte le mie raccolte d'arte e la biblioteca ma l'allora ministro dei Beni culturali, Bono Parrino, mi fece scrivere da un avvocato chiedendomi come osavo proporre allo Stato una raccolta pornografica, anticlericale, e sovversiva. Allora, ho pensato a Milano ma alla mia sollecitazione il sindaco Borghini non ha neanche risposto. E così mi sono rivolto a Israele che mi ha steso un tappeto rosso, accogliendo tutto. Solo allora l'Italia si è mossa ma, nonostante l'interesse di due galantuomini come Ronchey e Paolucci, con cui avevo concordato di dividerla con Israele, due cadute di governo hanno rallentato la trattativa andata in porto soltanto nel 1997. E poiché i libri li hanno rifiutati, invece di darli al Getty Museum che mi ha offerto due milioni di dollari, li ho donati a Israele».Il suo definirsi ebreo è un po' paradossale.«Ho ricevuto un'educazione molto laica, sono un laico, ma non rinuncio né al Rosh Hashana, il Capodanno ebraico, né allo Yon Kippur. Si tratta di una presenza fisica, la testimonianza della mia appartenenza a un popolo e a una cultura. Mi interessa il discorso finale del rabbino, che non ha nessun carattere teologico ma è una riflessione sulla situazione attuale. Mi piace anche la musica, il suono dello shofar che evoca molti ricordi, e soprattutto un archetipo: l'inizio è dato da un suono, come nella mitologia indù. Lo sento come un segno di rinnovo e di continuità. La Bibbia è diventata una mia lettura molto tardi, tra il 1945 e il 1946, quando ho cominciato ad interessarmi della Cabala, un'interpretazione di carattere esoterico della Torà, i primi 5 libri della Bibbia».Si tratta forse di un interesse mistico? Si direbbe che dalla Bibbia le derivi un senso religioso della vita…«Sì, ma assolutamente laico! Per me, il primo testo formativo è stato, nell'adolescenza, l'Etica di Spinoza. Prima, ricordo mi avevano molto suggestionato Il tallone di ferro di Jack London, una violentissima requisitoria contro la società, e La madre di Gorki. Da bambino leggevo anche i romanzi di Jules Verne, in francese, perché vivevo ad Alessandria d'Egitto dove sono nato. In casa c'erano libri, ma ho cominciato a costruire una mia biblioteca, prestissimo, e l'Etica di Spinoza è stata una scoperta fondamentale perché il concetto sublime della natura naturante- natura naturata dava conferma alla mia indole di ateo. La dicotomia tra creatura e creatore per me era inaccettabile. Più o meno nello stesso periodo, intorno ai sedici anni, ho scritto un saggetto sulla Critica della ragion pura di Kant, esaltandone le antinomie che provano la non esistenza di dio, ma più che ammiratore di Kant mi sento un post-hegeliano. L'anno dopo ho scoperto e letto Il Manifesto di Marx. Mi ha colpito per il rigetto di un tabù che allora era universale, l'idea “lavoratori di tutti i Paesi unitevi”, il rifiuto del sistema di oppressione capitalista e della necessità di arrivare a una società nuova di eguaglianza e fratellanza per me era fondamentale. Più tardi mi sono interessato a Plotino, ma i filosofi veramente formativi per me sono stati, oltre a Spinoza, Eraclito e Lao Tze. I loro libri li andavo a scovare in una libreria dove passavo ogni sabato, ed è lì che più tardi ho scoperto Breton, attraverso Le revolver à cheveux blancs, una raccolta di poesie uscita nel 1934. A quell'epoca, erano i primi Anni Quaranta, scrivevo già poesie e per me fu una sorpresa perché anch'io mi esprimevo secondo un certo automatismo».A Breton e al surrealismo ha rivolto un interesse profondo e costante.«Il surrealismo mi dava conferma delle mie idee, del mio modus vivendi - dalla poesia come strumento di conoscenza alla necessità di cambiare la vita e il mondo, dall'esaltazione della donna al suo ruolo salvifico. In quel periodo avevo scoperto un altro libro importantissimo, Il Matriarcato di Johann Jacob Bachofen, che dimostra quanto essenziale sia stato il ruolo femminile nelle civiltà: tessitura, agricoltura, farmacologia, astrologia e altre attività, sono invenzioni legate alla donna che scrutava il cielo e la natura mentre l'uomo andava a caccia… I Manifesti del surrealismo costituiscono la dimensione poetica della psicoanalisi freudiana. Ci insegnano che l'inconscio ha un ruolo considerevole nella nostra vita, che la donna è il fulcro dell'esistenza, che la poesia non significa fare le rime, ma esprimere il sé interiore e che è indispensabile praticare la poesia e dunque non avere solamente delle idee politiche ma militare in un movimento politico nel senso di un umanesimo trascendente con la volontà di migliorare il mondo. Trasformare se stessi per cambiare il mondo. Esattamente. Il surrealismo è stato l'unico movimento tra le due guerre a salvare l'onore dell'intellighentia europea antistalinista, antifascista e antinazista. Nel 1935, un documento come Al tempo in cui i surrealisti avevano ragione fa capire che per essere rivoluzionari bisogna essere antistalinistie antinazisti».Le sezioni della sua biblioteca dimostrano un esclusivo interesse per la saggistica, per i classici e per la poesia, soprattutto francese, americana e inglese.Ma il racconto e il romanzo?«E’ una mia lacuna.Ho letto molto giovane qualche romanzo, ma poi sono stato così preso dai miei interessi e studi di carattere filosofico e psicoanalitico, che per me sonostati formativi.Tra i miei autori, ci sono anche Darwin e Einstein. Sul principio dell'evoluzione delle specie umane c'è un fraintendimento totale che la società capitalista ha sfruttato. Darwin non ha mai detto che sopravvive il più forte, ma il contrario. Sopravvive chi meglio si adatta al proprio ambiente, cioè il più intelligente.Darwin ha avuto lo stesso ruolo di Galileo, insegnandoci che l'uomo è al centro di tutto, il punto finale di un processo evolutivo e solo gli imbecilli possono ribellarsi all'idea che l'uomo derivi dalla scimmia. Einstein invece col suo principio della relatività ci insegna che quanto succede a livello cosmico nell' universo che ci circonda è anche attuale a livello umano. Sono stato l'editore italiano del suo Idee e opinioni, specchio di un grande umanista e di un pacifista il cui unico scopo è stato arrivare alla conoscenza più ampia possibile.Amotesti come Nadja o L’amour fou, che ho riletto più volte, ma non sono dei veri e propri romanzi, come non lo è Le rivage des Syrtes di Julien Gracq. Preferisco la poesia, la leggo, la scrivo. I due poeti cui sono visceralmente attaccato sono André Breton e Benjamin Péret. Aggiungo Pierre Réverdy e Réné Char con cui ho avuto unafitta corrispondenza».E la letteratura italiana?«Beh,... (esita) confesso che la trovo provinciale. Se debbo scegliere, penso a Giordano Bruno e Tommaso Campanella, o a Errico Malatesta (uno dei primi teorici del pensiero anarchico, ndr) e al filosofo Giulio Preti. Seguo la saggistica italiana contemporanea, stimo immensamente Piergiorgio Odifreddi, di cui ho molto apprezzato Perché non possiamo dirci cristiani. Leggo i poeti, Campana, Caproni, amo Saba e il primo Ungaretti, quello di “Siamo come foglie d’inverno” che considero quasi surrealista. Saba mi piace tutto, è più coerente e ad accomunarmi a lui è il fatto che sia stato libraio per molti anni, come me».12/12/2008 , http://www.lastampa.it/

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