giovedì 22 gennaio 2009

Tel Aviv - parco sul fiume Yarkon

IL VIAGGIO
Erano più di vent’anni che non partecipavo a un viaggio organizzato, ed ero un po’ intimorita da tutta quella serie di cose che sono intrinseche a un viaggio di questo genere e alle quali non ero più abituata: orari prestabiliti, levatacce mattutine, programmi intensissimi ai quali non ero sicura di poter reggere e, non ultime, le condizioni non ancora perfette delle mie zampe. Invece è andato tutto bene. Ho avuto momenti di emozione e commozione intensissime. La registrazione della proclamazione dello stato di Israele da parte di Ben Gurion, che infinite volte avevo già sentito – e ogni volta mi aveva scossa fino al midollo – ma risentirla là dove era stata pronunciata, il trovarmi là dove la Storia era avvenuta, è stato qualcosa di sostanzialmente diverso.E Yad Vashem. Non ce l’avevo fatta, l’altra volta, ad entrarci, e anche questa volta temevo di non riuscirci; poi ho provato, sono andata avanti, ad ogni passo mi dicevo basta, non ce la faccio, adesso torno indietro, poi facevo ancora un passo, e ancora uno, alla fine sono riuscita a farlo tutto. Anche il padiglione dei bambini. Sono contenta di averlo fatto, ma è stata una sofferenza davvero indicibile. E sempre, dietro al pensiero di ciò che stavo vedendo e vivendo, dietro alle impressioni ed emozioni del momento, una sorta di retropensiero: vengono qua, si commuovono da matti per gli ebrei morti, ma ogni volta che gli ebrei vivi si difendono per restare vivi cominciano a latrare come cani rabbiosi, ogni volta che gli ebrei vivi tengono fede al “mai più come pecore al macello” si indignano come vergini violate. E il tunnel, quello che corre all’esterno del muro occidentale, detto muro del pianto e che i palestinesi hanno propagandato come “il tunnel che passa sotto le moschee e rischia di far crollare tutta la spianata” - propaganda prontamente raccolta dai generosi amanti della pace nostrani. Risultato di questa menzogna: almeno un centinaio di morti israeliani, travolti dalla “rabbia popolare” dei poveri palestinesi, indignati per l’affronto. Lungo il tunnel, di tanto in tanto, alcune nicchie, dove alcune donne si recano a pregare nel luogo più vicino a quello del Tempio originario; così profondamente immerse nella loro preghiera che probabilmente neppure si accorgono delle centinaia di visitatori che passano a pochi centimetri da loro. E le due notti passate nel kibbuz di Kfar Giladi, al confine con il Libano, chiedendoci se i missili avrebbero cominciato a piovere subito o avrebbero cortesemente aspettato la nostra partenza. Hanno aspettato, ma va detto che quasi nessuno di noi era davvero preoccupato. Lì abbiamo anche incontrato un colonnello che ci ha informati sulla situazione. Ha spiegato che questa operazione è stata preparata durante molto tempo, studiando accuratamente la guerra del Libano di due anni e mezzo fa, analizzandone dettagliatamente tutti gli errori. Uno degli errori è stato quello di condurre l’operazione quasi esclusivamente con azioni condotte dall’aria, e questo errore, ha detto, non sarebbe stato ripetuto. Quando è stato dato spazio alle domande ho chiesto se oltre che della lezione del Libano sull’errore del condurre solo azioni dall’aria, è stato tenuto conto anche della lezione di Jenin sui rischi, per i nostri soldati, connessi alle operazioni di terra. Ha risposto: «Un esercito che, trovandosi nella situazione in cui noi ci troviamo, non è disposto a mettere in gioco la vita dei suoi soldati, non merita di vincere»: una risposta davvero degna di un soldato israeliano. E la meravigliosa Angela – un’autentica forza della natura - che ci ha guidati, infaticabile e indistruttibile, per tutto il viaggio, con la sua competenza, con la sua dedizione, con la sua passione.E poi ancora visi e paesaggi e incontri e racconti e storie ed emozioni ed esperienze e le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto e poi giù il deserto e poi sì, è andata a finire ci siamo anche persi, nel deserto. Ma questa è un’altra storia – e comunque il record dei quarant’anni non lo abbiamo battuto. Barbara

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