giovedì 12 marzo 2009

Karma Kosher, i figli d'Israele tra sogni di pace e rock'n'roll

di Daniela Amenta http://www.unita.it/, 01 marzo 2009
La copertina è del fumettista israeliano Mish: ritrae una combriccola che beve, mangia, cazzeggia. Mish pubblica le sue strisce su Achbar Ha ‘Ir che spiega Anna Momigliano “è la rivista più figa di Israele”. E allora benvenuti nel party di Karma Kosher, sottotitolo “i giovani israeliani tra pace, guerra, politica e rock’n’roll”, il libro della Momigliano per Marsilio (144 pagine, 12 euro). Lei, giornalista, si è presa la briga di raccontare la generazione Rabin, i modi di dire, le fughe e la musica dei ragazzi di Israele. I figli laici e progressisti degli anni Novanta. Quelli che dopo Gaza hanno gli attacchi di panico e le crisi di ansia, quelli che vivono con la sensazione di una bomba pronta ad esplodergli sopra la testa o nell’angolo di una discoteca, quelli che subiscono le strategie politiche ma fanno i conti con l’anagrafe, la voglia di vivere, di divertirsi. Spiega l’autrice: “Scrivere di Israele senza scrivere di politica non avrebbe senso, perché lì il pubblico diventa quasi sempre privato. Ma scrivere di Israele riducendolo solo a un simbolo politico non renderebbe giustizia a questa nazione unica. Avere la pretesa di raccontare in un solo libro Israele in tutta la sua storia e in tutte le sue sfaccettature, poi, sarebbe impossibile”. Però il punto di vista scelto da Anna Momigliano è inusuale. Così ne viene fuori un ritratto generazionale tra tic e slang, rock e passioni, droghe e draghi. E soprattutto ricerche di vie di fuga. Per lasciarsi alle spalle le tensioni, le paure, le coliti, la leva obbligatoria nell’esercito. Se ne vanno in India, questi figli floreali e spaventati d’Israele, come i freakettoni degli anni Settanta. Vanno a Goa, la Tel Aviv Beach, a celebrare rave, sedute psicoanalitiche collettive, un po’ psichedelici e un po’ new agers, talvolta Buddisti, più spesso semplicemente disincantati eppure legatissimi all’identità nazionale, al concetto di terra, alla metafora di Patria. Karma Kosher descrive con leggiadria ma senza sconti gli ex bambini d’Israele alle prese con lo Zen e l’arte della manutenzione del sé. Voglia di libertà e paure nel “balagan” che descrive il caos e le situazioni che non migliorano. Eppure, eppure Karma Kosher suona come un assolo rock vibrante, rappresenta un percorso forte, schizoide tra vittorie e sconfitte, manifestazioni di piazza e solitudini privatissime. Sarà che Anna non ha ancora trent’anni e sa trovare in fretta le parole per raccontare i suoi simili, sarà che questo libro non ha pretese semiologiche e attraversa la realtà con passo lieve. Il risultato è un testo appassionato, come una fotografia con un taglio di luce imprevisto. Lo dice l’autrice stessa: “tra le guerre, gli attentati, la nevrosi collettiva e le piccole assurdità quotidiane, non esiste al mondo un posto vivo, disperatamente attaccato alla vita e alla gioia di vivere, come Israele". E Karma Kosher è, soprattutto, un omaggio alla vita.

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