martedì 24 marzo 2009

Un’opera del veronese Gerolamo Navarra

Pittori ebrei in Italia. 1800-1938

Finalmente riscattato il valore degli artisti ebrei UN APPROFONDITO STUDIO DI ELENA CASOTTO.Ugo Ojetti negava che potessero fare arte ma la produzione dimostra il contrario.
Nel 1942 Ugo Ojetti scriveva: «Da Duccio di Boninsegna a Giovanni Segantini, da Giotto a Fattori, illustri e oscuri, maestri o praticanti, artisti o artigiani, nell'arte italiana tutti, che io sappia, sono stati cristiani battezzati. Il fatto è tanto palese che se ne può dedurre un'incapacità ereditaria degli ebrei a fare arte, almeno come si intende in Italia». Un'altra delle frottole ingiuriose contro gli ebrei?Bisogna distinguere. E una serie di distinzioni sagge ed equilibrate le troviamo a questo proposito nel libro nuovissimo, come impostazione e argomento, di Elena Casotto, Pittori ebrei in Italia. 1800-1938. (Verona, Colpo di Fulmine, 2008), con due prefazioni, una di Gadi Luzzatto Voghera, l'altra di Sergio Marinelli. L'autrice, specializzata in storia dell'arte, è autrice di vari studi sulla pittura veneta.Chi si prende la briga di scorrere le vicende dell'arte italiana fra l'inizio del XIX e la metà del XX secolo si accorge in realtà che i pittori ebrei sono un numero proporzionalmente piuttosto alto in rapporto alla popolazione israelitica in Italia e spesso sono artisti famosi e acclamati; basti pensare ad Amedeo Modigliani. Ma è un fatto che nell'età moderna, susseguente all'emancipazione, le tracce della identità culturale ebraica vanno attenuandosi, sicché si potranno individuare molti artisti ebrei , ma non una vera arte ebraica. Così afferma Paolo D'Ancona. Eppure anche questa affermazione moderata può essere parziale. Ribatte, idealmente, Marc Chagall: «Se un pittore è ebreo e dipinge la vita come potrebbe rifiutarsi di accogliere elementi ebraici? Ma se è un buon pittore, il quadro si arricchisce. L'elemento ebraico è ovviamente presente, ma la sua arte vuole raggiungere una risonanza universale». Insomma una questione complessa, in cui la Casotto si muove con equilibrio e senza preconcetti, dando il giusto peso al contesto storico e culturale in cui l'artista ebreo si trova ad operare e alla tradizione religiosa così sentita e praticata negli ambienti dell'ebraismo, nonché a quell'interdetto visivo, per cui l'ebreo non può rappresentare il divino e le creature viventi in immagini. L'autrice osserva che nei secoli l'inevitabile contaminazione con altre culture e il bisogno di espressione spinsero i pittori a trovare varie strade per aggirare il divieto, per esempio raffigurare il divino come ali senza corpo, come fosse l'allusione a un angelo. Il divieto veniva ignorato anche nei numerosi ritratti commissionati da ebrei, spesso askenaziti; ne abbiamo uno splendido esempio in alcuni quadri di Rembrandt. Ma dalla metà dell'ottocento i pittori ebrei si applicarono ad ogni tipo di raffigurazione e il divieto si spostò sui modi della rappresentazione. In particolare essi tendono a una rappresentazione delle due categorie del tempo e dello spazio come categorie sfuggenti, problematiche, in cui si specchia una profonda angoscia. Coloro che in modo più evidente espressero questa angoscia esistenziale, furono gli artisti dell'École de Paris tra cui Chagall e Modigliani. Infatti per alcuni critici l'unica corrente artistica appropriata all'anima ebraica sarebbe l'espressionismo, con il suo spirito demolitore e visionario. Il libro della Casotto svolge poi un' articolata e acuta indagine dei pittori ebrei italiani, dall'emancipazione napoleonica alle leggi razziali fasciste, esaminando la presenza e l'importanza di artisti ebrei in vari luoghi della penisola. Nell'indagine si giova di quanto i critici letterari hanno scritto e indagato a proposito degli scrittori ebrei italiani e mette acutamente in sintonia varie osservazioni in un campo diverso come codice espressivo, ma immerso nello stesso clima storico. In Toscana spicca Vittorio Matteo Corcos, ritrattista dei maggiori personaggi del tempo: Carducci, Lina Cavaglieri, Puccini, Mascagni e infine lo stesso Benito Mussolini. A Trieste è proprio il ceto intellettuale ebraico a introdurre i primi interessanti segnali della modernità interessandosi alla teoria della psicanalisi. Uno dei pittori ebrei più noti Raffaele Nathan, si curò nel 1919 da una crisi di depressione dovuta alla guerra, presso il dottor Edoardo Weiss, allievo di Freud e fu Weiss a spingerlo a dipingere. A Venezia, dove viene istituito il primo ghetto, o quartiere chiuso, riservato agli ebrei e sorvegliato di notte perché gli ebrei non uscissero in città, le progressive difficoltà della Serenissima rendevano essenziale la presenza dei commerci e delle tasse, molto alte, pagate dagli ebrei per poter risiedere nel territorio della Repubblica. Soprattutto nel Seicento a Venezia gli ebrei non sono solo commercianti e banchieri; si sviluppano nel ghetto molti circoli intellettuali.Nel Veneto, a Verona e a Padova, gli ebrei erano molto numerosi fra gli artisti, mentre alcune facoltose famiglie ebraiche iniziarono importanti collezioni di arte antica e moderna. Nel XIX secolo, tra gli artisti veronesi immeritatamente poco noti va ricordato Gerolamo Navarra; nella prima metà del 1900 si intrecciano influenze veriste e simboliste e spicca la personalità di Ise Lebrecht, grande ritrattista. Tra gli artisti ebrei veneti ci sono parecchie valorose personalità femminili. Tra le più originali sono Gabriella Orefice e Alis Levi, presenti a Cà Pesaro. http://www.larena.it/

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