martedì 26 maggio 2009

Ops, ultraortodossi simpatici. Separazione non è più "apartheid". Religione e hard rock. Ma per sole donne

Spopolano le Ashira, band femminile i cui concerti sono vietati agli uomini. Anche a mariti e fidanzati
di Francesco Battistini 24 maggio 2009 http://www.corriere.it/
I fazzoletti in testa non somigliano esattamente a bandane trasgressive, stile Little Steven. I sandaloni e le gonne lunghe non sembrano una citazione femminista di Patti Smith. E se qualcuna oscilla avanti e indietro sul palco, non è per fare il verso alle trance lisergiche dei Van Halen. Però alle Ashira, sei ragazze sei tutte rock e sinagoga, non manca nulla per essere una band come le altre. Qualche sera fa, hanno suonato in un pub per religiosi vicino a Gerusalemme e chi c’era - e non era un uomo - racconta d’essersi divertita molto: schitarrate pesanti, batteria in assolo, il basso che martellava. Rock doc, insomma. Musica dura, parola pura: «Siamo partite dall’idea di creare più conoscenza e cultura intorno al mondo religioso - spiega Pnina Weintraub, 24 anni, diplomata violinista - e la scelta è stata di creare un genere che prima non esisteva: un rock femminile che mischi, in ebraico, la Bibbia ai gusti giovanili».
Non suoneranno in modo divino, ma certo suonano per Dio. Le Ashira, nate tre anni fa, sono le prime a farlo e stanno diventando un piccolo fenomeno, in Israele. Si esibiscono in pubblico a capo coperto, com’è tradizione delle ebree ultraortodosse, e soprattutto cantano solo davanti a un pubblico femminile, per non venir meno alla rigida legge Halachic e non incorrere nell’ira dei rabbini estremisti: «Questo è un punto fermo - dice Pnina -, perché secondo il precetto nessun uomo può ascoltare una donna che canta. Noi ci atteniamo alla regola. Se suonassimo e basta, non ci sarebbero impedimenti. Ma la nostra particolarità, più che la musica, sono proprio le parole: i versi della Bibbia, le preghiere messe a ritmo rock. E allora, nessuna eccezione: una volta è venuto a uno spettacolo anche mio padre, ma ha dovuto aspettare fuori». Le Ashira amano l’hardrock e non hanno casa discografica, perché non hanno ancora trovato una - sottolineano: una - producer. Non hanno mai inciso un cd, le loro voci non si possono scaricare da internet (si trovano solo i testi), anche se le loro registrazioni girano. L’unico uomo ammesso ai loro concerti (nel backstage, beninteso) è un tecnico del suono, «che però sostituiremo fra poco con una donna».Le sei si conoscono dai tempi dell’Ulpana, il liceo religioso dei coloni nella West Bank, e si sono messe insieme dopo una serie d’audizioni all’università Bar Ilan: dove studiano diritto, fisioterapia, scienze economiche e dove, questa settimana, s’esibiranno. Nato da un’idea anni ’90 d’un rabbino, Karlibach, il rock religioso degli ultraortodossi è ormai un fenomeno. A ottobre, ogni anno, si celebra a Beit Shemesh un festival con tutto quel che occorre, spinelli e birra compresi. Per le vie di Gerusalemme Ovest, Haifa o Tel Aviv, è piuttosto comune imbattersi in band improvvisate su furgoni, hip hop e rap sparato negli amplificatori, ragazzi con kippa e riccioli scatenati a ballare. Ci sono gruppi e cantanti che vendono migliaia di dischi, da Aron Razel a Adi Ran. Finora, però, ci avevano provato solo i maschi: «Sarebbe bello se le ragazze si buttassero - osserva Ishai Latidot, star degli Uf Simchas, gruppo che musica i salmi e passa spesso sulle radio -. Una volta c’erano le Tofaa, molto popolari in Israele, che rifacevano le canzoni americane in chiave religiosa. Le Ashira sono una bella novità».Ashira è un acronimo di due parole ebraiche - ragazze e canzoni - ed è un fenomeno molto cavalcato dalla destra dei coloni, anche se loro sei preferiscono mantenere una dimensione religiosa. E se, per qualche tempo, resteranno in cinque: Teitz, 25 anni, voce e flauto, è al nono mese di gravidanza, «ma resto fuori solo un mese dopo il parto, perché ci sono le date del tour da rispettare e mia madre mi ha già promesso di tenere il bambino»”. Tre della rockband sono sposate e i mariti non le hanno mai viste esibirsi, né sentite: «Va bene così - dice Baruch Weintraub, 25 anni, che vive con Pnina -. Sono molto curioso, ma capisco che non si può fare». E le altre tre? «Quando ho un fidanzato - ammette Maayan Sweitzer, 23 anni, la batterista -, non è facile tenerlo. A molti uomini non piace quel che facciamo. E poi, finché ai concerti vengono solo donne, mi spiegate come faccio a trovarmene uno?».

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