sabato 24 ottobre 2009

Israele e i mondiali di calcio Quando lo sport divide

La nazionale israeliana difficilmente si qualificherà per i mondiali di calcio del 2010, ma nel caso c’è già chi vuole escluderla per motivi politici, come avvenuto agli ultimi Giochi del Mediterraneo
I paesi arabi e gli attivisti europei pro Palestina tireranno forse già da oggi un sospiro di sollievo: volevano fare escludere Israele dalla fase finale dei mondiali di calcio che si terranno in Sudafrica quest’estate ma Israele ha buone probabilità di farsi eliminare da solo e quindi amen. Dopo l’esclusione dello stato ebraico dai Giochi del Mediterraneo tenutisi a Pescara nel giugno 2009 sarebbe stato il secondo schiaffo da parte del mondo dello sport in pochi mesi. Se poi ci aggiungiamo anche il caso della tennista israeliana Shahar Peer, boicottata dagli organizzatori del torneo di Dubai lo scorso febbraio, con le tv che si rifiutarono di dare la diretta per paura delle ritorsioni arabe, abbiamo il quadro preciso di come lo sport sia ormai occasione e vetrina di odio piuttosto che di pace tra i popoli. L’allarme per i prossimi mondiali, come capita spesso in questo periodo, era arrivato una settimana fa tramite il social network per antonomasia, cioè Facebook. In uno dei gruppi che sostengono Israele e fanno campagna attiva contro il boicottaggio, era giunta in inglese la notizia che in Svizzera alcuni attivisti antiisraeliani e anti semiti avevano fatto di tutto anche solo per evitare che potesse avere luogo la partita di ritorno del girone di qualificazione per i mondiali di calcio in Sudafrica del 2010. Inutile dire che in un paese condannato a rifondere i danni per l’oro di 31 mila ebrei di cui le banche locali si appropriarono dopo che i nazisti ce lo avevano depositato e dopo che nessuno era andato a reclamarlo nei primi anni del dopoguerra una simile campagna trova i propri bravi sostenitori. Però la campagna perché Israele fosse esclusa dalla fase finale dei mondiali che si svolgeranno in Sudafrica, anche qualora fosse riuscita a qualificarsi (fino a ieri stava a 12 punti e proprio la Svizzera è una diretta concorrente avendone 17) è continuata a spron battuto sino al fischio di chiusura della partita vinta dalla Svizzera a Basilea. Proprio dal paese elvetico l’altro ieri era giunto il seguente messaggio: “abbiamo ricevuto un urgente richiesta d’aiuto da parte dei nostri amici in Svizzera. E’ in atto un tentativo di bloccare la partecipazione di Israele agli incontri di qualificazione per il campionato del mondo di calcio. Per favore scrivete al presidente della Fifa Blatter per supportare la partecipazione di Israele”.Va ricordato il precedente dei mondiali di Giappone e Corea del 2002 quando furono i presidenti della Lega calcio della Giordania e della Siria a chiedere a Blatter che Israele venisse esclusa dalle competizioni. Il principe Alì in persona, a capo della Federazione giordana e fratello del re Abdallah, spiegava allora che la partecipazione di Israele agli incontri calcistici avrebbe dovuto essere congelata, “così come si fece con il Sudafrica ai tempi dell’apartheid”. Su posizioni analoghe si era posto il presidente della Federazione siriana Frank Bouzo: “Ci appelliamo al comitato esecutivo della Fifa affinché sospenda l’adesione di Israele e vieti ogni partecipazione israeliana alle sue attività”. Adesso però con i mondiali in Sudafrica c’era l’occasione ghiotta delle simbologie: cioè il solito paragone dell’apartheid razziale del Sudafrica dei tempi che furono con quello, supposto, che Israele opererebbe tuttora ai danni dei palestinesi. Per gli attivisti dell’odio ogni occasione è da sfruttare così come per i loro cugini carnali che fanno i terroristi. E infatti Israele e i suoi atleti già pagarono un alto prezzo di sangue nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco con tredici morti dopo un’incursione di un commando di palestinesi nel villaggio olimpico dove erano alloggiati gli atleti che gareggiavano sotto la bandiera della stella di Davide. A finanziare quell’atto di terrorismo fu, all’epoca, nientemeno che “il moderato Abu Mazen”, che oggi Israele considera come un interlocutore credibile. Ma se i tempi e le persone cambiano, la costante dell’odio anti israeliano, e il tentativo di usare le manifestazioni sportive per veicolarlo, resta immutata. D’altronde l’Italia ha già sperimentato a Pescara a giugno con l’esclusione dello stato ebraico dai Giochi del Mediterraneo (una vicenda per niente esaltante per il Coni e le nostre istituzioni sportive e diplomatiche) imposto dai paesi arabi, cosa sia questo odio. In fondo, a volersi consolare così, l’eventuale eliminazione di Israele dalle qualificazioni ci potrà risparmiare un’ignobile appendice anche durante i prossimi mondiali di calcio a Johannesburg. E a Gerusalemme potranno sempre dare la colpa all“arbitro cornuto”.
15 Ottobre 2009 http://www.opinione.it/

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