mercoledì 7 ottobre 2009

Kochin Jewish Synagog

Mumbai e Cochin: quel Talmud al profumo di curry Ebrei Globali

Poeti e attrici di Bollywood, artisti e banchieri. Nobiltà e successi, splendori e fuga degli ebrei dell’India, il Paese che non fu mai antisemita.Festeggiare Purim travestendosi da star di Bollywood. Una cosa che ai ragazzi può capitare solo a Mumbai/Bombay, la capitale del cinema indiano. Qui, fra gli studios di Bollywood, è cresciuto uno star system che fa sognare grandi e piccini non solo in India: attori e attrici sono gli eroi di un’industria cinematografica che, com’è noto, è ormai la più grande del mondo. Molto meno noto invece - almeno in Italia - è il contributo fornito allo star system di Bollywood da tanti membri delle due Comunità ebraiche che da secoli risiedono in India. Si tratta della Comunità dei Bené Israel, storicamente la più numerosa in India (oggi però ridotta a cinquemila persone perché moltissimi fecero l’alyà, tanto che in Israele vivono quarantamila Bené Israel); e della Comunità dei Baghdadi, sephardim arrivati negli ultimi tre secoli dall’Iraq, dalla Siria, dallo Yemen e dalla Persia. I membri di entrambe le Comunità hanno saputo inserirsi in tutti i campi della società indiana arrivando ai suoi vertici: dall’economia alla cultura, dall’esercito al cinema. Se Mumbai è diventata l’affascinante e vivace metropoli che è oggi, e se Bollywood è Bollywood, molto lo si deve alla “storia d’amore” che le due Comunità hanno avuto con questa città, capace di accoglierli e di lasciarsi plasmare dal loro talento.Cominciamo da Bollywood: la “storia d’amore” tra ebrei e cinema indiano viene da lontano. Inizia negli anni Venti del secolo scorso, quando regina del cinema muto divenne Ruby Myers, nota al grande pubblico con il nome d’arte di Sulochana; lei, nata a Pune ma trasferitasi giovanissima a Mumbai, concluse la sua carriera ricevendo la massima onorificenza riservata dallo Stato indiano agli artisti del cinema. E dopo di lei, tantissime altre e altri, alcuni nati a Mumbai, altri sbarcati qui per Bollywood: attori e attrici come Florence Ezekiel (celebre con il nome d’arte di Nadira), Susan Solomon (nome d’arte Firoza Begum), David Abraham Cheulkar (nome d’arte David), e poi protagonisti della scena teatrale di Mumbai come la regista e attrice Pearl Padamsee, famosi critici cinematografici come Bunny Reuben, il pluripremiato documentarista Ezra Mir, il cartoonist Abu Abraham…. Arte, cinema e poesia Ma non è stato certo solo il mondo dello spettacolo a veder emergere il talento di tanti membri delle Comunità ebraiche indiane. Basterebbe fare un nome: i Sassoon. Una famiglia Baghdadi la cui storia meriterebbe un libro. Prima mercanti, poi commercianti e banchieri, hanno disseminato varie città di opere pubbliche legate al loro nome, fra cui uno dei maggiori ospedali di Pune (il Sassoon Hospital appunto) e l’edificio che a Mumbai è tra i più importanti dell’economia indiana: la Bank of India, oggi State Bank of India, di cui Sir Jacob Hai David Sassoon fu il principale fondatore nel 1906.Il mondo delle arti e delle lettere non è stato da meno, quanto a importanza della presenza ebraica. Anche qui, basti un solo nome: lo scultore Anish Kapoor, star indiscussa dell’arte contemporanea oggi. Nato a Mumbai nel 1954 da padre hindu e madre della Comunità Baghdadi, oggi le sue sculture sono esposte e premiate in tutti i maggiori musei del mondo. Un altro caso esemplare di successo è quello di un poeta internazionalmente noto come Nissim Ezekiel (1924-2004), ormai considerato il “padre nobile” della poesia di lingua inglese nell’India indipendente, una specie di Ungaretti studiato sui banchi di scuola dai ragazzi di tutta l’India. Nato a Mumbai (Bombay, in età coloniale) in una famiglia della Comunità Bené Israel, Ezekiel dimostrò presto le sue doti letterarie diventando non solo poeta ma anche drammaturgo, editor e critico d’arte. La raffinatezza dei suoi versi intimisti, venati di ironia, raggiunge a volte una struggente bellezza. In Italia, purtroppo, è ancora poco tradotto, ma si possono leggere alcune sue opere (con testo originale a fronte) nella bella antologia Poeti indiani del Novecento di lingua inglese curata una decina di anni fa da Shaul Bassi (Supernova editore). Alcune poesie dell’antologia, come la magnifica Jewish Wedding in Bombay, sono veri ritratti di vita ebraica. Altri componimenti, più autobiografici, accennano invece alle difficoltà di crescere in un ambiente culturalmente diverso; nella poesia Background, casually, Ezekiel parla di sé in questi termini: “Andai alla scuola cattolica/un ebreo sgobbone in mezzo ai lupi/mi dicevano che avevo ucciso il Cristo/quell’anno vinsi il premio di scrittura/un atleta musulmano mi prese a botte”. Questo ricordo giovanile di Ezekiel - relativo al suo disagio in una scuola cattolica di Mumbai - ci conduce a un tema fondamentale: quello dell’antisemitismo. Ebbene, l’India, a questo proposito, costituisce una felicissima eccezione. In duemila anni di storia (a tanto risale la presenza ebraica in India, secondo le tradizioni della Comunità ebraica più antica, i Cochin Jews del Kerala), gli storici non registrano nessuna significativa azione antisemita, se non da parte dei colonizzatori cattolici europei, in particolare i portoghesi. Ma da parte indiana, mai. I regni hindu ebbero rapporti di reciproco rispetto e collaborazione con i vari gruppi di ebrei che, nel corso dei secoli, giunsero in terra indiana e si stabilirono in molte sue parti. E quanto ai rapporti con i sultanati islamici, si ricorda un solo episodio negativo, nel 1524, quando la conquista musulmana del villaggio di Cranganore comportò anche la distruzione della Comunità lì residente. Ma gli ebrei non furono attaccati “in quanto tali” bensì in quanto abitanti di Cranganore. Comunque un episodio isolato, in un arco di tempo lunghissimo. Se si fa un confronto con la storia dell’antisemitismo europeo, la differenza è gigantesca. E infatti, gli unici veri atti di antisemitismo in tutta la storia indiana furono “importati”, come s’è detto, dai colonizzatori portoghesi a Cochin e a Goa: nel XVI secolo i portoghesi istituirono nei territori colonizzati dei tribunali dell’Inquisizione, provocando a Goa una diaspora della piccola Comunità che finì per portarla all’estinzione.La storia ebraica in India, comunque, è storia di un radicamento su tutto il territorio indiano: non solo Mumbai e Goa ma Calcutta (oggi Kolkata), Delhi, Ahmedabad, Thane, Cochin (oggi Kochi), per dire solo gli insediamenti più importanti; due scuole ebraiche e quattordici sinagoghe (ma un tempo erano molte di più) stanno a testimoniare oggi quel persistente radicamento. Il monopolio delle spezie La storia di Cochin, in particolare, non può essere ignorata. Accanto ai Bené Israel e ai Baghdadi, infatti, i Cochin Jews furono l’altra grande Comunità indiana. Quel passato remoto, “furono”, è d’obbligo, perché della più antica e florida Comunità dell’India ora rimangono appena una cinquantina di persone, per lo più anziane, mentre i giovani hanno fatto l’alyà o sono emigrati negli Usa. Da tempo gli storici discutono per stabilire quando gli ebrei arrivarono nell’area di Cochin, ma se si deve credere alle tradizioni della Comunità vi giunsero dopo la seconda distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, nell’anno 70.Cochin, città costiera della regione meridionale del Malabar, oggi inclusa nello stato del Kerala, fu sempre un importantissimo porto delle spezie, e la Comunità si inserì perfettamente in questo grande mercato di “tesori profumati”, con l’unica infelice parentesi del periodo in cui i portoghesi occuparono la città. Quando i portoghesi furono cacciati, la Comunità di Cochin continuò a crescere sviluppando usi e costumi del tutto peculiari, compresa una propria lingua, detta giudeo-malayalam (il malayalam è la lingua usata in Kerala) e facendo fortuna col commercio delle spezie. Ancor oggi Cochin profuma di spezie - cardamono, sesamo, anice a stella - conservate a mucchi all’aria aperta nei cortili, un profumo che arriva anche nella piccola Jew Town, nelle vie degli antiquari che circondano l’antica, meravigliosa sinagoga Pardesi della città. Nonostante la decadenza, Jew Town conserva ancora parte del proprio fascino, e riserva varie sorprese al visitatore: non si può non rimanere colpiti vedendo case con il Magen David sulla facciata accanto a case con lo Swastikà, quella svastica che per gli hindu è solo un simbolo solare, ma che comunque non lascia mai neutrale l’osservatore… Oltre agli antiquari, in Synagogue Lane si trova la raffinata libreria ebraica Incy Bella, che perpetua la memoria della Comunità e offre anche una ricca scelta di testi sulle religioni. Ma la sorpresa più forte di Jew Town è offerta proprio dalla sinagoga Pardesi (la più monumentale delle tre in città): questo Tempio risalente al 1568 è la più antica sinagoga di tutti i Paesi del Commonwealth, ed è un autentico capolavoro d’arte, con oggetti di culto del decimo secolo e tesori come il pavimento di piastrelle in porcellana cinese del diciottesimo secolo, di una bellezza da togliere il fiato. Per questo rende tristi sapere che oggi qualcuno sta pensando di mettere in vendita il Tempio. Il Tempio è una testimonianza del passato splendore della Comunità di Cochin, ed è augurabile che lo Stato indiano si faccia carico della sua conservazione. È lecito aspettarselo dato che l’India, storicamente, deve molto agli ebrei. A fianco di Gandhi C’erano anche indiani di religione ebraica fra gli uomini e le donne che si strinsero attorno al Mahatma Gandhi nella sua lotta non-violenta per la liberazione del Paese dal colonialismo britannico; fra loro si ricorda un medico, Abraham Solomon Erulkar, che fu intimo amico del Mahatma e ne ebbe cura durante i suoi numerosi digiuni di protesta. Il padre di Erulkar aveva donato alla Comunità di Ahmedabad la terra su cui costruire la sinagoga della città. Il Tempio è tutt’ora attivo, così come i duecento ebrei della Comunità di Ahmedabad, pronti ancora oggi a unirsi alle celebrazioni che ricordano il Mahatma nel suo ashram di Ahmedabad, dove visse per vent’anni. Un legame che non si è mai spezzato.La tribu di Menashe è in India? Si trova in India una delle dieci tribù perdute di Israele? È quanto affermano i membri della Comunità Bnei Menashe, circa novemila persone appartenenti a una tribù di lingua tibeto-birmana, i Chin-Kuki-Mizo, che vivono nel Mizoram e nel Manipur, stati nord-orientali dell’India. Per generazioni hanno conservato tradizioni ebraiche, nel XIX secolo si sono convertiti al cristianesimo, ma negli anni Settanta del secolo scorso molti di loro sono tornati all’ebraismo. Il nome di Bnei Menashe si deve a Rabbi Eliyahu Avichail, che dal 1979 ha visitato più volte i loro villaggi per riportarli all’ortodossia. Nel marzo 2005, uno dei due Rabbini Capi di Israele, Shlomo Amar, ha riconosciuto la Comunità. Negli ultimi vent’anni, quasi duemila fra loro hanno fatto l’alyà. Marco Restelli http://www.mosaico-cem.it/

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