martedì 17 novembre 2009
Bernard Lewis
“È con l’orgoglio di essere ebreo che mi innamorai del mondo arabo”Intervista a Bernard Lewis
È il più grande storico dell’Islam, ma anche un teorico irriducibile dello scontro di civiltà. eppure la sua passione per la civiltà araba viene da lontano: dall’amore per la storia e le lingue mediorientali, a cominciare dall’ebraico. Tutto nasce dalla parashà del suo Bar Mitzvà "La mia iniziazione agli studi mediorientali risale alla mia infanzia, in occasione della preparazione del Bar Mitzvà. Imparai i rudimenti dell’ebraico che allora erano richiesti giusto per poter recitare il brano della parashà, pur senza comprenderlo. Ma io fui affascinato dalla lingua ebraica, in particolare dalla scrittura. Le lettere che prima mi sembravano un codice misterioso per le preghiere e i rituali, si rivelarono le basi di una lingua viva, allo stesso tempo classica e moderna. Ebbi un maestro all’altezza del mio entusiasmo e da lì proseguii gli studi che mi portarono all’aramaico e poi all’arabo, che mi conquistò. E poi ancora al persiano e al turco”. Così racconta Bernard Lewis, il più grande storico vivente dell’Islam, professore emerito di Studi sul Vicino Oriente alla Princeton University, arabista e turcologo specializzato in storia dei popoli islamici e in rapporti tra l’Islam e l’Occidente, tra i curatori della Cambridge History of Islam, strumento di riferimento fondamentale per gli studiosi.Che cosa significa per lei essere ebreo?Ricordo perfettamente una conversazione che ebbi più di 60 anni fa. Ero nell’esercito britannico, i miei documenti mi dichiaravano “di nazionalità britannica, razza inglese e religione ebraica”. Una notte, mentre ero di guardia, chiacchieravo con un collega, di tutto e di niente . Improvvisamente George affrontò un argomento completamente diverso: “Perdonami, non voglio intromettermi, ma se non mi sbaglio tu sei ebreo?”. “Sì, - gli risposi- non ti sbagli, sono ebreo e non hai niente da farti perdonare”. “Scusami nuovamente, ma ho l’impressione che tu non sia un ebreo osservante, vero?”. “Hai nuovamente ragione”, dissi. “Allora non capisco, perché ti complichi la vita?”. “Cosa vuoi dire?”. “Lasciami spiegare”, rispose, “converrai con me che essere ebreo è spesso difficile e certe volte pericoloso”. “Infatti”, risposi. Nel 1942, non si poteva contraddire l’osservazione di George. “Allora non capisco. Tu saresti pronto ad affrontare la persecuzione o la morte per le tue convinzioni religiose. Ma se non rispetti queste convinzioni, allora perché complicarsi la vita?” George credeva che l’ebraismo fosse una specie di setta o culto. Essere membro di questo gruppo aveva senso se la persona era devota o attiva, in caso contrario non c’era una buona motivazione per farne parte specialmente se implicava inconvenienti o peggio. Ma oltre alla fede e alla devozione ci sono altri elementi rilevanti come la memoria e l’esperienza che condividiamo con gli altri. Se volessi definire tutto questo lo chiamerei “ebraicismo”, un termine senza connotazione teologica, un’identità che non è unica ed esclusiva, ma è parte di tutte le identità che formano la civilizzazione.Il patrimonio culturale si conserva nel corso dei millenni grazie al coraggio, alla conquista e alla lealtà; per tutte queste motivazioni il patrimonio culturale ebraico è per me una fonte di legittimo orgoglio, da proteggere e da trasmettere ai posteri.È in libreria il suo nuovo libro Le origini della rabbia musulmana (Mondadori). Come nasce questo sentimento, che si è trasformato in un grido di battaglia?La mia passione per i testi arabi medievali e il rispetto che nutro per una delle maggiori religioni non mi impediscono di criticare il processo di radicalizzazione islamico moderno. Gli estremisti hanno pervertito le loro tradizioni rendendole irriconoscibili. Ma possiamo dire che ebrei e musulmani hanno qualcosa in comune, sentono la storia dei loro popoli come se i secoli fossero ore. Nella Moschea della Roccia a Gerusalemme, sorta sulle rovine del Tempio di Erode e poi di una Chiesa cristiana, ci sono scritte che esaltano la superiorità dell’Islam sulle altre religioni e civiltà. L’Islam non ha mai smesso di sognare la rivincita sul mondo occidentale che l’ha soggiogato e che viene considerato infedele, corrotto e perverso. E il Salahadin è qui, oggi, con loro a combattere. Le vittorie e le sconfitte, i riferimenti coranici della propaganda e dell’incitamento al jiahd sono puntuali riferimenti a una memoria storica collettiva. I musulmani hanno invaso tre volte l’Europa: con i Mori in Spagna, coi Tartari in Russia; e coi Turchi che sono arrivati alle porte di Vienna. Prendiamo poi l’Afghanistan, dove come si vede la situazione è ben lungi dall’essere sotto controllo. Alcuni anni fa la vittoria dei mujaheddin sui russi, allora l’altra grande Potenza mondiale, ha dato agli islamisti un enorme incoraggiamento. Hanno pensato che se erano stati in grado di sconfiggere l’Urss considerata “dura”, avrebbero avuto gioco facile con l’America, che è “morbida” perché non vuole rischiare la vita dei suoi soldati, cosa di cui invece ai russi importava poco. L’Islam si sente rafforzato dalle circostanze storiche, mentre noi come Occidente, che vogliamo affermare i nostri valori di convivenza e tolleranza, abbiamo difficoltà ad affrontare i problemi posti dall’incontro con l’Islam e questo ci fa paura. Ai loro occhi siamo quindi dei deboli. Ma in Occidente ci sono anche molti musulmani che la pensano diversamente e che lavorano per la democrazia, la pace e la comprensione reciproca.Che ruolo vede per l’Europa?L’Europa non è agli occhi dei musulmani un interlocutore di rilievo, né un nemico che possa spaventarli. Anche per risolvere la questione del Kosovo abbiamo avuto bisogno degli americani. L’Europa è considerata ancora una terra di conquista. Gli islamici sono favoriti da diversi fattori: per esempio la demografia, l’immigrazione massiccia non più solo degli uomini-lavoratori, ma di famiglie intere. Inoltre ci disprezzano, disprezzano la nostra debolezza, la nostra mancanza di una identità forte.Ma una delle cose che oggi nemmeno i regimi più oppressivi possono fronteggiare è la moderna comunicazione su Internet. Capiscono gli aspetti negativi delle loro società, perché vedono il contrasto con l’Occidente. E ci sono sempre più persone interessate a creare società aperte, disposte a rischiare molto per ottenerle, come è avvenuto con le manifestazioni del dopo-elezioni in Iran.Si dice che se gli Usa non avessero sostenuto Israele, non ci sarebbe oggi questo “scontro di civiltà”.È una considerazione priva di ogni fondamento e una forma di antisemitismo. La Palestina è stata citata tardivamente da Bin Laden e per motivi strumentali. Ma è l’ultimo fra i motivi di questo scontro. La questione israelo-palestinese è marginale e non c’entra nulla.di Ester Moscati e Lea Malki http://www.mosaico-cem.it/
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