sabato 28 novembre 2009



Eilat parco del ghiaccio


Israele congela gli insediamenti, in cambio di cosa?

Per capire la decisione del governo israeliano, che ha portato al momentaneo congelamento delle costruzioni di case nei territori contesi, bisogna tenere presente qual è, nello specifico, la zona cui si riferisce la decisione stessa. Questo perché è bene ricordare che, stando alle trattative, andate avanti per mesi, una mappa dei territori Cisgiordani occupati da Israele durante la guerra dei sei giorni del 1967 che potrebbero effettivamente essere evacuati in cambio della pace, già esiste. La zona in oggetto non ne fa parte. Tra l'altro, e questo i palestinesi lo sanno bene, Male Adumim, a ridosso di Gerusalemme, una città con migliaia di cittadini, visto lo "Status Quo", non può essere presa in considerazione come territorio restituibile. La soluzione proposta da Israele per risolvere questo problema era lo scambio di territori israeliani disabitati con quelli dove oggi sorge la fiorente città. Proposta alla quale non c'è stata alcuna risposta. La decisione di ieri, che riguarda in massima parte proprio la zona di Male Adumim, è un modo per scrollarsi di dosso le invadenti pressioni statunitensi e dare nel frattempo un contentino ad Abu Mazen che ha tanto bisogno di esibire dei "successi" per giustificare se stesso e la carica che ricopre. Proprio il fermo dei lavori era una condizione, posta dall'A.N.P. per la ripresa delle trattative con il governo israeliano. Chi però conosce le dinamiche Mediorientali sa perfettamente che queste condizioni sono unicamente dei pretesti per rimandare il momento in cui si dovranno affrontare i problemi, quelli seri, come lo status finale di Gerusalemme e la pretesa palestinese del rientro in Israele dei nipoti e dei pronipoti di coloro che si videro costretti a lasciare le loro case prima, durante e dopo la guerra di aggressione che le nazioni arabe mossero nei confronti del neonato Stato ebraico nel 1948. Abu Mazen, poi, si troverebbe a trattare con Israele rappresentando solo una piccola parte dei palestinesi, per intenderci quelli che vivono in Cisgiordania, questo perché i palestinesi di Gaza che, con le buone o, soprattutto, con le cattive, sono rappresentati da Hamas sarebbero comunque tagliati fuori da ogni eventuale decisione, sia territoriale sia politica che Abu Mazen potrebbe prendere a un tavolo di trattative con il governo israeliano e la supervisione della comunità internazionale. Secondo il parere degli esperti di faccende mediorientali non è impossibile pensare che, una volta ottenuto il blocco delle costruzioni il presidente palestinese e la sua "corte" non tirino fuori dal cilindro una nuova precondizione per non permettere la riapertura delle trattative, trattative che, anche se fossero riaperte, sarebbero caratterizzate da grande incertezza e pessimismo. Possiamo immaginare quale potrebbe essere lo stato d'animo dei negoziatori israeliani impegnati su un tavolo di trattative che, nella migliore delle ipotesi, porterebbe solamente alla cessione di territori senza raggiungere quella pace di cui si ha, oggettivamente, tanto bisogno. Trattative che si svolgerebbero sapendo di negoziare come chi non rappresenta la totalità del popolo "nemico", e con la "spada di Damocle" delle minacce di una potenza come l'Iran che giorno dopo giorno ricorda al mondo che la fine “dell’entità ebraica", come in uso chiamare Israele nel mondo arabo, è ormai solo una questione di tempo. C'è da chiedersi che senso abbia trattare una pace con una controparte parziale sapendo che i nemici, quelli pericolosi, cioè Hetzbollah e Iran, stanno solo aspettando il momento giusto per incendiare il Medio Oriente e scatenare l'attacco finale. In Israele, ormai è chiaro a tutti, che i tempi di un attacco sono maturi, e le continue esercitazioni della protezione civile, che coinvolgono la popolazione, sono una spia costantemente accesa. L'Opinione, 27 novembre 2009

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