Il Giornale, 17 novembre 2009, Fiamma Nirenstein
Il senso comune accredita alla donna un ruolo rassicurante e materno, nutriente, di servizio. Basta richiamare appunto questi stereotipi con un titolo accattivante per cui la donna, lo stereotipo della donna, si batte contro, mette sempre qualcosa in tavola, sconfigge la fame, perché persino la moglie di Ahmadinejad, Azham al Farahi, piazzata in pole position nella prima foto a sinistra, la passi liscia. È diventata una first lady in lotta contro la fame, e proprio per questo l’aveva spedita il regime degli Ayatollah. Eppure, non le vede l’Unità?, da sotto il suo chador spuntano inaudite persecuzioni dei diritti umani, si affaccia la figura della donna che davvero è il simbolo dell’Iran che soffre anche a causa di donne come Azham e il suo regime: Neda Agha Soltan, uccisa in piazza a 27 anni. Come ignorare che le esecuzioni nel 2009 finora sono 343, non sappiamo incluse quante donne lapidate accusate di adulterio? Come scordarsi, in un Paese armato fino ai denti e in corsa verso l’atomica, la mortalità infantile al 30 per mille, la popolazione sotto la soglia della povertà al 53 per cento, l’inflazione al 30 e la disoccupazione fra il 10 dichiarato e il 25 reale? Questo, mentre la first lady iraniana ha pontificato, proprio nello stile di suo marito, sui crimini del capitalismo che ha causato la miseria del mondo, e ha suggerito di seguire lo stile iraniano. Furbescamente poi, ha anche chiesto (piuttosto che di distruggere Israele come al solito) di occuparsi dei bambini di Gaza: è molto più umanitario, ma la scelta di quegli specifici bambini con tanti che soffrono nel mondo dice, come il marito: gli ebrei sono infami persecutori.
Oltre a Azham, sulla copertina, a farle da cornice rassicurante appaiono due donne nere, fra cui Juliana Nwanze, moglie del presidente dell’Ifad, il fondo internazionale per l’agricoltura e un’altra che, benché in prima, resta non identificata; e poi, Suzanne Mubarak, la moglie del presidente Mubarak d’Egitto, e Leila Ben Ali, moglie del presidente tunisino. Certamente non due star della democrazia, con i dovuti distinguo. Al vertice c’era anche la moglie di quello che viene ritenuto a buon diritto uno dei peggiori dittatori del mondo, Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Molti regimi dittatoriali hanno approfittato della discussione alla Fao per mandare la sua figura materna a fargli propaganda: ha parlato anche la signora Maria Esther Reus Gonzalez, ministra cubana della giustizia, ovvero di un Paese i cui dissidenti sono incarcerati.Non vogliamo fare di tutte le erbe un fascio, sappiamo che la signora Mubarak si è battuta a fondo contro le mutilazioni genitali e per la pace. Sappiamo anche che l’Egitto è un Paese dove il rais ha addosso il terrorismo della Fratellanza Musulmana. E tuttavia non possiamo ignorare che vi si reprimono duramente i dissidenti, e un terzo dei bambini soffre di malnutrizione. Quanto a Mugabe il 75 per cento della sua popolazione vive in disperata povertà, 10 milioni sui 13 ogni giorno lottano per sopravvivere a causa delle sue politiche.
Salvo eccezioni, i Paesi più affamati sono quelli dittatoriali: la mancanza di controllo da parte della popolazione, crea situazioni di corruzione in cui la classe dirigente può arricchirsi alle spalle del popolo purché ubbidisca. In generale da queste conferenze si esce preoccupati, perché da una parte si pianificano aiuti mentre un mare di accuse investe il mondo capitalista, dall’altra si sa che almeno in parte non saranno utilizzati a favore delle popolazioni. Il mondo non sarà salvato da agiate mogli in rappresentanza dei loro dittatori, ma da donne che, e sono tante, capiscono che libertà e benessere devono formare una parola sola.
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