mercoledì 4 novembre 2009




Legge 4 luglio 1857

Regio Decreto 30 ottobre 1930

Vent'anni dalle Intese - Giorgio Sacerdoti:"Una conquista importante per gli ebrei italiani"

Sono trascorsi vent'anni da quando il Parlamento ha approvato le Intese del 1987 fra Stato e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Per fare un bilancio su questo ventennale, la fondazione Cdec e l’Università di Roma Tre hanno organizzato per il 9 novembre (alle 9.30, nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Studi Roma Tre, in via Ostiense 161) un convegno di studi, abbiamo chiesto al professor Giorgio Sacerdoti, giurista e presidente del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, alcune valutazioni sul valore di questi accordi. Qual è la sua valutazione in merito agli effetti di quell’accordo?Molto positiva. Le Intese, infatti, hanno permesso agli ebrei italiani di affrancarsi da una normativa piuttosto limitativa, che non garantiva il rispetto di alcuni diritti fondamentali, come quello di poter scegliere di non lavorare il sabato e negli altri giorni festivi. Hanno fatto sì, inoltre, che venisse meno la diversità di tutela penale delle religioni, nello spirito di piena uguaglianza che animò questo storico accordo. C’è inoltre un altro aspetto fondamentale da considerare, ed è quello culturale. Il mondo ebraico italiano, da quel momento, ha avuto un impulso sempre maggiore a proiettarsi verso l’esterno, con risultati molto positivi. Penso, ad esempio, al grande successo ottenuto ogni anno da eventi come la Giornata della Cultura o la Giornata della Memoria, prova ulteriore del crescente interesse nei nostri confronti. Va detto che non era per niente scontato che le cose sarebbero andate a questo modo. Negli anni Cinquanta, infatti, l’ebraismo italiano era diventato una “riserva indiana” e la curiosità che lo circondava era molto flebile e modesta.Lei era uno dei membri della commissione dell’Unione incaricati di trattare con la commissione governativa per la stipulazione delle Intese. Che ricordo ha di quei giorni?Sono stati tre anni (dal 1984 al 1987) di dure battaglie e di grandissimo impegno. La commissione statale, infatti, aveva un atteggiamento ambivalente nei nostri confronti. Da un lato era aperta al dialogo, dall’altra non era in grado di percepire la nostra specificità. Ad alcuni pareva assurdo, per esempio, che chiedessimo l’esonero dal lavoro nei giorni festivi ebraici. “Perché un ebreo non dovrebbe lavorare di sabato come un qualsiasi altro cittadino?”, era questa una delle domande che ci venivano poste più di frequente. Sembrava che stessimo chiedendo dei privilegi rispetto al resto della popolazione invece che il puro e semplice riconoscimento dei nostri diritti. Correvamo pertanto il rischio che il senso delle nostre richieste venisse clamorosamente equivocato. Non è stato facile far valere le nostre ragioni, come si può facilmente immaginare.Avevamo inoltre un altro fronte “caldo” sul quale trattare, ed era quello interno. Oltre alla parziale opposizione della commissione statale, infatti, abbiamo dovuto fare i conti una certa resistenza delle comunità ebraiche più piccole che, abituate al sistema vigente, non volevano essere trasformate da enti pubblici in enti “privatizzati”. Questa trasformazione, infatti, ha richiesto una maggiore attenzione nel fare quadrare i conti e nel reperire risorse, cosa non sempre molto facile per chi può contare su pochi iscritti.Anche i musulmani chiedono il riconoscimento di maggiori diritti. Le Intese ebraiche possono essere un modello di riferimento anche per loro?È un argomento molto delicato e attuale. Penso che il testo delle Intese con le comunità ebraiche possa fungere da modello a un futuro accordo tra Stato e comunità musulmane, ma solo parzialmente. C’è, infatti, una rilevante differenza tra la minoranza ebraica e quella islamica, quantomeno in Italia. Noi siamo una comunità integrata e presente su questo territorio da secoli. Loro, invece, sono prevalentemente immigrati di ultima generazione, senza un’organizzazione interna che possa essere considerata un interlocutore stabile e rappresentativo del vasto mondo islamico italiano. Senza dimenticare il sospetto, piuttosto fondato, che sotto la parvenza ufficiale di attività religiose si celino intenzioni molto meno pacifiche da parte di alcuni imam (e relativi seguaci) nostrani. Credo perciò che, fino a quando questi sospetti non verranno meno, un accordo con il governo italiano non sarà possibile.Adam Smulevich http://www.moked.it/

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